15 Febbraio 2022

La forza dell’oceano contro il riscaldamento globale

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Tra 50 anni, gli oceani avranno assorbito il 93% del calore in eccesso sulla terra e il 25% delle emissioni antropiche di CO2. Molte misure di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici riguardano gli oceani, ma alcune presentano rischi per gli ecosistemi oppure non sono state ancora testate. Ecco perché, secondo Jean-Pierre Gattuso e Alexandre Magnan (IDDRI-Sciences Po), la ricerca scientifica dovrebbe continuare a esplorare il campo delle opportunità offerte dagli oceani. Da Polytechnique Insights.

L’obiettivo è chiaro: contenere l’aumento della temperatura terrestre ‘ben al di sotto’ i due gradi centigradi entro il 2100 rispetto al periodo preindustriale. Eppure, gli sforzi globali messi in campo finora non sembrano essere sufficienti. Per raggiungere gli obiettivi climatici è fondamentale aumentare l’impegno politico sia in termini di mitigazione che di adattamento degli ecosistemi e delle società. In questa prospettiva, quale contributo può offrire l’oceano?

Sia attore che vittima, l’oceano è una fonte di soluzioni

L’oceano è un ‘regolatore del clima’ per il Pianeta. Dal 1970, ha assorbito il 93% del calore in eccesso sulla Terra, limitando così il riscaldamento dell’atmosfera. Ha anche intrappolato il 25-30% delle emissioni di CO2 prodotte dall’uomo dal 1750, oltre ad aver ricevuto quasi tutta l’acqua rilasciata dallo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari. Senza l’oceano, il cambiamento climatico sarebbe quindi molto più intenso di quanto sia oggi.

Questa attività, però, comporta ripercussioni significative sul funzionamento chimico e fisico degli oceani, come riscaldamento, acidificazione, deossigenazione e innalzamento del livello del mare. A loro volta, tali fenomeni producono effetti negativi sugli ecosistemi e la società in più parti del mondo [1,2].

L’oceano è quindi sia un attore che una vittima del cambiamento climatico e, come tale, è anche fonte di potenziali soluzioni. Le principali misure climatiche sugli oceani descritte in letteratura [3] riguardano sia la mitigazione che l’adattamento [4,5] e si riferiscono al contrasto delle cause del cambiamento climatico; alla promozione dell’adattamento biologico, ecologico e sociale; alla gestione della radiazione solare.

Categorizzare per agire meglio, nel breve e nel lungo termine

Le azioni climatiche riferibili agli oceani sono state valutate in base a diversi criteri (efficacia, fattibilità, durata degli effetti, co-benefici, svantaggi, redditività e governabilità), quindi raggruppate in quattro categorie: misure decisive, a basso rimpianto, non provate e rischiose.

Tale categorizzazione ha lo scopo di guidare lo sviluppo e l’attuazione delle politiche climatiche, combinando mitigazione e adattamento, a varie scale di azione: a livello internazionale, come parte della revisione dei Nationally Determined Contribution; a livello locale, attraverso strategie di azione concrete e pianificate; a livello nazionale, nella definizione dei Piani climatici.

Indipendentemente dalla scala decisionale di riferimento, i contributi più ambiziosi dovrebbero stimolare un’azione basata su soluzioni oceaniche dando la priorità a misure decisive (ad esempio, energie marine rinnovabili) e a basso rimpianto (ad esempio, conservazione e ripristino della vegetazione costiera, coinvolgimento delle comunità locali in azioni di adattamento o revisione delle politiche di riduzione del rischio per tenere meglio conto dei cambiamenti climatici previsti).

Le misure non provate hanno un’efficacia potenziale molto elevata, ma finora appunto sono state poco o per nulla testate. Alcune di esse, come il miglioramento della produttività in alto mare e l’alcalinizzazione, potrebbero comportare svantaggi molto alti. È necessario migliorare le conoscenze su questo tipo di misure e su quelle considerate rischiose dati i loro potenziali effetti collaterali (ad esempio, la regolazione della radiazione solare).

Nessuna azione senza pianificazione

È fondamentale sottolineare che l’efficacia di alcune misure dipende dal contesto in cui saranno attuate. Mentre le misure di adattamento relative alle infrastrutture (ad esempio quelle che riguardano gli argini costieri) possono, in alcune situazioni, offrire soluzioni sostenibili per ridurre il rischio climatico (misure decisive), in altri contesti possono rivelarsi controproducenti nel lungo termine (rischiose).

Allo stesso modo, delocalizzare le persone e le attività economiche dalle aree costiere più basse può essere un’azione risolutiva nel lungo termine (misura decisiva), a condizione che a questa decisione venga associato a monte un lungo processo di pianificazione e sostegno, senza il quale esiste un’elevata probabilità di aumentare la vulnerabilità delle popolazioni e delle attività ricollocate (rischiosa).

Servono ‘traiettorie’ di mitigazione e adattamento

Un altro fattore di complessità si basa sul fatto che nessuna misura, da sola, può essere sufficiente. Soluzioni climatiche ‘robuste’ vanno ricercate infatti nella combinazione di più risposte, in base alle specificità contestuali.

Se si vuol dare priorità alle misure decisive e a quelle a basso rimpianto, è importante capire ad esempio che la piena attuazione di misure decisive non eliminerà completamente i rischi costieri. Allo stesso modo, l’efficacia a lungo termine delle misure a basso rimpianto, in particolare quelle basate sulla natura, sarà in parte determinata dalla dimensione che il riscaldamento globale assumerà in futuro.

La ricerca scientifica deve quindi continuare a esplorare il campo delle soluzioni non provate e comprendere le condizioni in cui è possibile applicare le misure più rischiose.

Questo elemento diagnostico rimanda a un principio chiave dell’azione climatica: non bisogna pensare in termini di soluzioni individuali astratte, ma in termini di ‘traiettorie’ di mitigazione e adattamento. Traiettorie basate sul sequenziamento di una diversità di risposte nel tempo, su nuove conoscenze sui cambiamenti climatici e sui loro impatti a livello globale e locale.


Questo post è una traduzione dell’articolo di Jean-Pierre Gattuso e Alexandre Magnan, L’océan, un garde-fou climatique, pubblicato il 25 gennaio 2022 su Polytechnique insights – La Revue de l’Institut Polytechnique de Paris

Jean-Pierre Gattuso è Direttore di ricerca presso il Centro Nazionale di Ricerca Scientifica (CNRS) della Sorbona e presso l’Istituto di Sviluppo Sostenibile e Relazioni Internazionali (IDDRI) di Sciences Po

Alexandre Magnan è Ricercatore senior presso l’Istituto di Sviluppo Sostenibile e relazioni internazionali (IDDRI) di Sciences Po


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Foto: Unsplash

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