La transizione energetica è auspicabile e doverosa, ma anche costosa. 4.000 miliardi di dollari all’anno l’ammontare di investimenti richiesto. Un ammontare ingente che deve essere gestito in modo ragionato e oculato, valutando tutte le opzioni possibili ed evitando di intraprendere soluzioni costose e la cui efficacia è incerta. Alcuni spunti di riflessioni li fornisce Olivier Appert nelle conclusioni del suo articolo pubblicato su ENERGIA 2.21.
Volere un mondo più pulito è “cosa buona e giusta”, ma nessun pasto è gratis e la transizione ambientale ed energetica presenterà, anzi ha già presentato, il suo conto salato. Come scritto da Enzo di Giulio su questo blog: “Servono soldi, tanti soldi, da mettere sul tavolo della transizione subito e senza indugi, se l’auspicato net zero emissions deve essere il corrispettivo verbale di un progetto reale e non l’eco di una retorica e di un wishful thinking”.
Secondo l’ultimo World Energy Outlook dell’Agenzia di Parigi per centrare l’obiettivo di neutralità carbonica al 2050 è richiesto un investimento di 4.000 miliardi di dollari all’anno. Un ammontare ingente che deve essere gestito in modo ragionato e oculato, valutando tutte le opzioni possibili ed evitando di intraprendere soluzioni costose e la cui efficacia è incerta.
4.000 miliardi di dollari all’anno l’ammontare di investimenti richiesto per la transizione energetica
Del costo della transizione e di come gestirla si occupa la parta conclusiva dell’articolo di Olivier Appert Transizione energetica, tra imposizioni politiche e mancanza di prospettiva pubblicato su ENERGIA 2.21 e di cui si riproponiamo le conclusioni dall’amaro messaggio: chi paga?
“La transizione energetica sarà costosa. È necessario valutare accuratamente i costi delle politiche attuate, poiché non tutte le tecnologie hanno lo stesso costo e gli stessi vantaggi. Converrebbe disporre di una matrice dei costi di ciascuna tecnologia e del loro impatto all’interno di un sistema e di una precisa traiettoria. Questa matrice consentirebbe di implementare prima le misure più efficaci riducendo i costi per un obiettivo prefissato, oppure di avere obiettivi più ambiziosi per un dato costo.
Servirebbe una matrice dei costi di ciascuna tecnologia e del loro impatto così da implementare prima le misure più efficaci
Il Protocollo di Kyoto adottato nel 1997 raccomandava l’adozione parallela di misure per la riduzione delle emissioni di gas serra, ma anche di adattamento ai cambiamenti climatici. Nel corso degli anni, l’imperativo dell’adattamento è stato dimenticato. Fortunatamente, è stato affrontato di nuovo dalla COP21 del 2015.
In effetti, ci sono alcuni fenomeni meteorologici che diversi scienziati attribuiscono al cambiamento climatico: tempeste, inondazioni, etc. Il Protocollo di Kyoto proponeva anche diversi meccanismi flessibili che i paesi economicamente avanzati possono utilizzare per ridurre le emissioni: Emissions Trading, Joint Implementation, Clean Development Mechanism.
Questi meccanismi consentono alle economie avanzate di investire in paesi con una elevata redditività degli investimenti – in termini di euro per tonnellata di CO2 – con la possibilità di beneficiare dei crediti di emissione. Durante la COP di Copenaghen del 2009 è stato creato un Fondo Verde per il clima, uno dei vettori per la mobilitazione di 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020.
Il recente rapporto OCSE (2020) sui finanziamenti per il clima ne fornisce un quadro completo. Questo finanziamento ha raggiunto i 78,9 miliardi di dollari nel 2018, di cui 62,2 in aiuti pubblici principalmente sotto forma di prestiti (74%). È lecito domandarsi quanto la pandemia impatterà sulla mobilitazione di questi fondi negli anni a venire.
Non dobbiamo dimenticare la dimensione macroeconomica
Non dobbiamo dimenticare la dimensione macroeconomica della transizione energetica. Infatti, le tasse sui prodotti energetici in Francia contribuiscono all’equilibrio dei conti dello Stato e degli enti locali. Nel 2017, l’accisa sui carburanti (Taxe intérieure de consommation sur les produits énergétiques, TICPE) valeva 30,5 miliardi di euro IVA esclusa, ovvero il 5% delle tasse e il 3% dei prelievi obbligatori. Un minor consumo di combustibili fossili si tradurrà in minori entrate fiscali.
La tecnologia da sola non sarà la soluzione a tutti i problemi, ma può sicuramente aiutare. È quindi necessario mantenere gli sforzi in ricerca e sviluppo sia nel campo della riduzione delle emissioni sia nell’adattamento ai cambiamenti climatici. Dobbiamo concentrarci su tecnologie mature che possano dare rapidamente dei frutti. La priorità dovrebbe essere data alla riduzione dei costi e all’accettazione sociale delle nuove tecnologie.
Concentrarci su tecnologie mature che diano rapidi frutti, rafforzare la competitività delle industrie, creare posti di lavoro
È necessario sviluppare una visione sistemica per evitare approcci a compartimenti stagni. L’obiettivo di questi sviluppi tecnologici deve essere sia promuovere gli usi, ma anche rafforzare la competitività delle industrie e creare posti di lavoro, evitando di ripetere quanto avvenuto col fotovoltaico.
Infine, è essenziale avviare uno sforzo di trasparenza e formazione per garantire il sostegno della società alle misure adottate. Questa azione è tanto più necessaria oggi, in un contesto in cui le fake news si diffondono senza sosta.”
…e sulla trasparenza nella comunicazione per garantire l’accettabilità sociale
Chiara è la conclusione a cui giunge Appert: non ci può essere transizione efficiente se non si agisce all’insegna del pragmatismo e della concretezza. È chiaro che per l’ambiziosità dell’obbiettivo finale non possa esistere “la” soluzione, ma bensì un ventaglio di opzioni percorribili da declinare tenendo conto del loro costo (a parità di risultati) e della loro accettabilità sociale.
Il post presenta l’articolo di Olivier Appert dal titolo Transizione energetica, tra imposizioni politiche e mancanza di prospettiva (pp. 12-16) comparso su ENERGIA 2.21.
Olivier Appert è stato Presidente del Conseil Français de l’Energie
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Foto: Unsplash
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