Dopo un avvio spettacolare a inizio secolo, lo sviluppo dell’eolico onshore in Europa è oggi ostacolato dall’opposizione locale, che blocca i processi autorizzativi e promuove battaglie legali a difesa del territorio. Quali le ragioni che muovono le proteste e quali le conseguenze di questa impasse? L’articolo di Dominique Finon su ENERGIA 1.22.
Secondo i dati IRENA, nel 2020 l’Europa ha installato 17,4 GW di nuovi impianti eolici portando il totale della capacità installata a 191,7 GW. Un dato in crescita del 10% sul 2019, ma lontano da un tasso di oltre il 30% di inizio secolo e comunque non abbastanza per centrare i target al 2030.
A spiegare il perché di una parabola discendente dello sviluppo dell’eolico è Dominique Finon nel suo pezzo dal titolo Il vincolo di accettabilità sociale dell’eolico onshore: il caso europeo, pubblicato su ENERGIA 1.22.
Nell’introduzione Finon spiega come, rispetto alla traiettoria spettacolare di inizio secolo, la crescita dell’eolico onshore in Europa abbia subìto un arresto nel 2020. Alla frenata hanno contribuito “il rallentamento in Germania e nel Regno Unito e il persistere di incertezze in Francia, Italia e persino in paesi pionieri come la Danimarca”. Al contrario, si registra ancora un certo interesse in paesi meno densamente popolati come Spagna e Svezia.
Rispetto alla traiettoria spettacolare di inizio secolo, la crescita dell’eolico onshore in Europa ha subìto un arresto nel 2020
Un dato però è incontrovertibile: “la crescita record del passato è ormai lontana”, i produttori storici faticano a fare profitti e numerosi posti di lavoro sono stati persi. Una montante opposizione locale, “cui fanno seguito problemi di autorizzazione e ricorsi legali”, è la principale barriera allo sviluppo.
Il punto dirimente è capire quali sono le ragioni del “no” a una fonte rinnovabile tra le più convenienti. Per Finon, il limite principale dell’eolico onshore è l’alta porzione di suolo, a causa della bassa densità energetica della sua produzione (1. L’eolico onshore e l’occupazione di spazio). “Ciascuna turbina ha bisogno di 0,6 ettari di terreno agricolo”, ingombra visivamente, ha un impatto sull’ecosistema, il che genera problemi di accettazione sociale, che si estendono anche agli impianti eolici giunti al termine del periodo autorizzativo e che necessiterebbero di un repowering.
Da qui la necessità di trovare un equilibrio tra gli obiettivi di produzione di elettricità verde sempre più ambiziosi e il sostegno locale. Per farlo, “sarà necessario rendere questi sviluppi compatibili con la tutela del paesaggio, incoraggiare il coinvolgimento dei cittadini e stimolare l’interesse dei Comuni per le entrate derivanti dalle installazioni”. Compito arduo, come emerge dall’analisi dello stato dell’arte del settore in Germania, Regno Unito e Francia.
Tra le ragioni del no: una massiccia richiesta di suolo
In Germania, all’innalzamento dell’asticella degli obiettivi (l’eolico dovrebbe coprire i tre quarti della capacità aggiuntiva di fonti rinnovabili al 2030) fa da contraltare una drastica diminuzione delle installazioni annuali. Sempre più organizzata e supportata da legali esperti, l’opposizione delle comunità locali blocca i progetti e rende difficile l’ottenimento delle autorizzazioni, con evidenti ritardi e danni economici (2. Germania: verso un calo dell’eolico onshore?).
Vincoli particolarmente stringenti al rilascio delle autorizzazioni hanno contribuito a rallentare lo sviluppo dell’eolico onshore in UK. Un solo dato dà contezza del fenomeno: “tra il 2016 e il 2020, sono state presentate solo 8 domande per nuovi siti o estensioni di parchi eolici onshore, rispetto alle 237 giunte tra il 2011 e il 2015”. Numeri troppo bassi per traguardare un obiettivo del 100% di FER nella generazione elettrica al 2035. Nonostante ciò, nulla o poco è stato compiuto dal governo “per alleggerire i vincoli del processo autorizzativo o cercare maggior sostegno dalle comunità locali”(3. Regno Unito: la prudenza degli sviluppatori).
“Numerosi ricorsi legali a diversi livelli, da parte dei residenti locali ma soprattutto di organizzazioni nazionali come la Fédération Environnement Durable” bloccano il settore dell’eolico onshore in Francia, che per raggiungere i propri target di capacità rinnovabile installata dovrebbe puntare a “un tasso di messa in servizio di 2 GW/anno, rispetto alla media di 1 GW/anno registrata negli ultimi anni” (4. Francia: una capacità di sviluppo ridotta).
Le opposizioni rallentano lo sviluppo onshore in Germania, Regno Unito e Francia
Che fare quindi? Nell’immediato i governi propendono per spingere di più sul fronte dell’eolico offshore, ma sarebbe opportuno trovare una risposta efficace alla mancanza di sostegno e accettazione di progetti locali.
Nell’ultimo paragrafo, l’autore ripropone alcune soluzioni sperimentate in Germania (par. 5), dove l’eolico onshore ha avuto successo grazie al supporto della forte rete di banche locali e al coinvolgimento diretto di cittadini ed enti locali, anche dal punto di vista finanziario. “Questo può avvenire consentendo ai cittadini di partecipare al capitale delle società di progetto (…) oppure versando un «euro eolico» ai Comuni, cioè una quota dei profitti generati dai parchi eolici, che va a sommarsi alle imposte locali”.
Ma basterà questo a contenere le opposizioni e garantire un ulteriore sviluppo dell’energia eolica onshore in Europa?
Il post presenta l’articolo di Dominique Finon dal titolo Il vincolo di accettabilità sociale dell’eolico onshore: il caso europeo (pp. 76-80) pubblicato su ENERGIA 1.22
Dominique Finon, già direttore di ricerca presso il Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS)
Foto: Pixabay
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