23 Marzo 2022

Difficile conciliare riduzioni di gas e tutela della crescita

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Ridimensionare il fabbisogno complessivo di energia è il modo più semplice per conseguire l’obiettivo di tagliare già nel 2022 le fonti energetiche importate dalla Russia. Come si ottiene? Lasciando che lo shock energetico espleti il suo effetto, provocando recessione, compressione di consumi, produzione e quindi domanda di energia, anche russa. Ma è una via socialmente accettabile?

La dipendenza di Ue e Italia dall’import di gas russo è scomponibile in tre elementi:
1) il suo peso nel consumo totale di gas;
2) l’incidenza del gas nella domanda di energia;
3) l’ammontare assoluto di quest’ultima, ovvero il fabbisogno complessivo di energia, rispettivamente, in Europa e in Italia.

Quindi l’obiettivo dello sganciamento dal gas russo può essere perseguito agendo su ciascuno di questi tre elementi. Essi non sono tutti ugualmente conseguibili nel breve periodo.

La riduzione del peso dell’import dalla Russia sul consumo totale di gas (punto 1) richiede la ricerca di forniture sostitutive che si scontra con forti vincoli d’offerta di natura strutturale (il gas arriva via tubi e non è fungibile come il petrolio e, al contempo, la produzione dei pochi potenziali fornitori non è espandibile a volontà), nonché legale (molti contratti con la Russia sono take-or-pay di lungo termine e se si taglia l’import si deve continuare a pagare fino a scadenza).

Sostituire si scontra con vincoli d’offerta, comprimere con rigidità tecnologiche

Anche l’incidenza del gas nel consumo totale di energia (punto 2) è difficile da comprimere. In Italia è tra le più elevate in Europa. La sua riduzione richiede modifiche tanto nella domanda quanto nell’offerta di fonti alternative che incontrano incomprimibili rigidità tecnologiche.

Resta dunque il terzo elemento, ossia il ridimensionamento del fabbisogno complessivo di energia.

Non comportando modifiche strutturali ardue da realizzare in breve tempo, è il modo più semplice per conseguire l’obiettivo di tagliare già nel 2022 le fonti energetiche importate dalla Russia e, quindi, il corrispondente massiccio flusso di euro verso tale paese.

Come negli anni 70

Come si ottiene un simile risultato? Lasciando che lo shock energetico espleti, come negli anni 70, il suo effetto, provocando una recessione, con compressione di consumi, produzione e quindi domanda di energia, anche russa. È la strada diretta, ma anche quella socialmente meno accettabile in paesi che sono appena usciti dalla recessione Covid e hanno alle spalle altre due forti crisi economiche.

Il fatto che vi sia una contraddizione di obiettivi (danneggiare la Russia/salvaguardare le economie) emerge chiaramente dalle misure che vengono adottate in Italia e in Europa volte ad attenuare l’impatto dei maggiori costi su famiglie e imprese, a evitare, quindi, quella caduta di domanda energetica che si verificherebbe se operasse il meccanismo dei prezzi e a sostenere, in ultima istanza, l’import di metri cubi di gas e barili di petrolio russi, con il connesso flusso in senso contrario di nostro potere d’acquisto.

A ben vedere, i sussidi europei ai prezzi tendono a fuoriuscire verso le tasche dei venditori di energia in misura tanto maggiore quanto meno elastica è l’offerta di questi ultimi. Forse è crudo dirlo in tali termini, ma sono oggettive motivazioni sociali interne che finora pongono un limite nei paesi europei all’uso dell’arma economica in funzione anti-russa e li spingono, anzi, a muoversi in una direzione opposta. 


Sergio De Nardis, Luiss School of European Political Economy

Il post è stato originariamente pubblicato su InPiù.


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Foto: Pexels


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