Ridurre la domanda europea di gas russo di due terzi entro l’anno, dice l’Unione Europea. Essere “completamente indipendenti” in 24-30 mesi, rilancia l’Italia. E allora è necessario agire sul campo diplomatico in cerca di “fornitori affidabili”. Dopo Algeria e Libia, un approfondimento sull’Azerbaijan. Il Paese è al centro delle attenzioni italiane ma il quadro appare quantomai complesso e stratificato: dalla vicinanza alla Russia alla volontà di garanzie sulla domanda europea.
Entrati a pieno titolo nella terza settimana di conflitto fra Ucraina e Russia, le violenze non stentano a smorzarsi ed anzi, paiono intensificarsi su obiettivi civili e infrastrutturali. La caduta nelle mani delle truppe russe di due stazioni di compressione del network di gasdotti ucraino ha fatto scattare subito l’allarme dell’operatore OGTSU. Lo stesso ha avvertito che qualsiasi interruzione del transito di gas russo verso l’Europa sarebbe da attribuire alle forze invasori, mentre il ministro degli esteri Kuleba ha invitato i russi a ritirarsi dalle strutture energetiche gasifere e nucleari nel paese.
In generale, la strategia russa (e di Gazprom) paiono essere assai più complesse e di lunga prospettiva (pp. 27-43) e mentre al sottoscritto appare improbabile che le esportazioni cessino prossimamente per responsabilità decisionale diretta del Cremlino, i profitti russi dall’export di gas sono aumentati del 178% rispetto il gennaio 2021 e del 13% rispetto il mese di dicembre scorso. Un record storico che sfiora i 10 miliardi di dollari – il costo di realizzazione del gasdotto Nord Stream 2 – e il tutto a fronte di volumi verso i paesi europei sensibilmente ridotti rispetto lo stesso periodo dello scorso anno.
La rete elettrica ucraina continua a rimanere isolata, esposta ad attacchi hacker e a blackout
Nel frattempo, la rete elettrica ucraina continua a rimanere isolata. Dall’inizio delle operazioni militari, l’operatore Ukrenergo è scollegato sia dalla rete russa, a cui è stata storicamente legata, che da quella europea, con cui avrebbe dovuto integrarsi entro il 2030.
Il Paese è dunque ancora più esposto a possibili attacchi hacker e la possibilità che blackout devastanti colpiscano la popolazione civile e infrastrutture critiche. Dalla nostra cinica prospettiva, un blackout che paralizzasse parti o addirittura l’integrità della rete di gasdotti ucraini da cui fluisce il gas russo verso il nostro continente, e in particolare l’Italia, potrebbe avere conseguenze particolarmente nefaste.
La settimana appena trascorsa è stata però caratterizzata dalla prima risposta comunitaria in chiave energetica all’invasione russa. Il piano REPowerEU mira esplicitamente a rendere l’Europa indipendente dai combustibili fossili russi “molto prima del 2030”, riducendone la domanda di due terzi entro l’anno. Tralasciando l’analisi più approfondita di quest’ultimo obiettivo, ancor più estremo del programma presentato da IEA, balza agli occhi la proposta della Commissione di diversificare entro l’anno le importazioni per circa 60 mld/m3, di cui 50 mld/m3 attraverso LNG e 10 mld/m3 attraverso gasdotti.
La necessità è dunque quella di stabilire, come asserito dalla Presidente della Commissione Von Der Leyen, nuovi accordi con “fornitori affidabili”, accelerando su transizione verde ed efficienza energetica, ma anche proteggendo i consumatori europei, destinati a subire le conseguenze di alti costi energetici “almeno sino al 2023”.
Il governo italiano ha già previsto sostegni di 16 miliardi di € fino al secondo trimestre, ma viste le condizioni del mercato la cifra è destinata ad incrementare considerevolmente, gravando sulle finanze pubbliche e cannibalizzando parte del PNRR. Secondo il Ministro della Transizione ecologica Cingolani, saranno circa 15-16 mld/m3 di gas russo che verranno “rimpiazzati da altri fornitori” attraverso un “rinforzo delle nostre infrastrutture” che dovrebbero consentirci di essere “completamente indipendenti” in 24-30 mesi ed evitare una “tragedia sociale” in caso di uno stop improvviso alle importazioni di gas russo.
Un compito che sprona il Governo ad agire in campo diplomatico per ovviare alla, Draghi dixit, “sottovalutazione incredibile” degli esecutivi che si sono succeduti dal 2014 in poi, ovvero da quando la Federazione Russa decise con un colpo di mano di annettere la Crimea.
Azerbaijan, al centro delle attenzioni italiane ma il quadro appare quantomai complesso e stratificato
Secondo Draghi, fra i paesi su cui l’Italia dovrebbe poggiarsi per diversificare le importazioni dalla Russia spicca l’Azerbaijan. Collegato al nostro Paese tramite il sistema di gasdotti TAP, entrato in funzione all’inizio del 2021, il Paese è attualmente il nostro terzo fornitore di gas dopo Russia e Algeria.
Nella seconda metà degli anni 2000 la messa in operazione del giacimento di Shah Deniz (fase 1) ha reso il paese in larga parte autosufficiente, riducendo le importazioni di gas russo, le quali persistono in periodi di forte oscillamento della domanda, ora affiancati da un nuovo accordo tripartitico con Iran e Turkmenistan.
Il settore ha altresì alimentato la crescita economica interna, rafforzatasi negli ultimi 12 mesi dopo un crollo verticale nel 2020, accentuato dai bassi prezzi del petrolio. Il settore degli idrocarburi rimane assolutamente strategico per Baku, con Oil & Gas a rappresentare circa il 50% del PIL e oltre il 90% dell’export. Detto ciò, il declino strutturale della produzione petrolifera previsto nei prossimi decenni produrrà nuovi incentivi alla compensazione del deficit grazie a un rinnovato interesse verso la produzione e l’export di gas naturale.
Il gasdotto TAP, colonna portante del Southern Gas Corridor (SGC) e in grado di trasportare ingenti volumi grazie alla seconda fase del progetto Shah Deniz, è stato promosso fra i “progetti con la più alta priorità per la sicurezza energetica europea” e nasce da un accordo siglato nel gennaio 2011 per collegare nel lungo periodo le risorse del bacino caspico e del Medio Oriente ai consumatori europei.
Oltre a questi volumi, Baku esporta gas verso Georgia e Turchia attraverso la South Caucasus Pipeline (SCP). La Russia ritiene il primo paese cadere all’interno di una propria sfera legittima di influenza. Da più punti si osserva una crescente militarizzazione delle regioni occupate nel conflitto del 2008 e un tentativo del Cremlino di allargare il proprio ascendente su Tbilisi. Il conflitto in Ucraina rimane un esempio lampante dell’estremizzazione di dinamiche territoriali anche qui attivate da tempo. Nel caso di una recrudescenza del conflitto fra Russia e Georgia, la sicurezza del gasdotto SCP, il cui prolungamento si innesta nel TANAP turco e nel TAP europeo, non è per nulla scontata.
La Turchia è invece un partner strategico per l’Azerbaijan e interdipendente dal punto di vista energetico. Ad esempio, durante l’ultimo rigido inverno, il gas azero ha costituito una safety net di fondamentale importanza per la Turchia, in piena crisi per l’improvvisa interruzione delle forniture dall’Iran. Un mercato in forte crescita quello turco e che è destinato a partire da una posizione di sostanziale vantaggio in una contrattazione per nuove forniture rispetto i paesi europei. Del resto, il sostegno turco durante il conflitto con l’Armenia sul finire del 2020 è stato esplicito e di strategica importanza, anche se il broker finale dell’accordo di pace è rimasta Mosca, con cui Baku da tempo coltiva un rapporto privilegiato.
L’incognita della domanda europea e la necessita di “contratti a lungo termine”
Il Paese ha ampie riserve gasifere e nuove stanno per essere rese operative, come il giacimento di Absheron (2022). Detto ciò, il quadro appare quantomai complesso e stratificato. Secondo il presidente azero Aliyev, l’aumento dell’export verso l’Europa è subordinato “dalla domanda dei consumatori europei” e l’accordo su una timeline chiara dove la sigla dei contratti di fornitura è imprescindibile rispetto nuovi investimenti.
Di nuovo, parliamo di diversi anni prima del possibile flusso di gas verso l’Europa. In visita nel Paese lo scorso febbraio, il Commissario all’Energia Simson ha discusso con la controparte azera la possibilità di un’estensione del network SGC verso i Balcani Occidentali, ma nessun riferimento esplicito è stato fatto all’incremento di export verso il nostro Paese o altri membri UE.
Anche su questo versante, nei giorni appena precedenti lo scoppiare del conflitto ucraino, vi sono stati sviluppi dirimenti per la nostra sicurezza energetica. Innanzitutto, Putin e Aliyev hanno sottoscritto una nuova Dichiarazione di Interazione Alleata fra i due paesi, nell’ottica di espandere la cooperazione politico-economica e sviluppare l’interazione nel “mutuo rispetto e considerazione degli interessi reciproci”; nei fatti, la dichiarazione segnala un avvicinamento fra Russia e Azerbaijan senza precedenti dopo il crollo dell’URSS.
Recentemente ribadita la cooperazione Russia-Azerbaijan
Incalzato dai giornalisti russi, Aliyev ha confermato che ora il paese “non prevede siano necessari volumi aggiuntivi di gas” verso l’Europa e che qualsiasi futuro investimento necessita di “contratti a lungo termine”, i quali richiedono “garanzie” da parte dei compratori. Al momento, i giacimenti di prossima apertura potranno solamente incrementare la vendita di gas nel mercato a pronti, mentre nel lungo periodo è la Turchia, e non l’Europa, il primo mercato di riferimento per qualsiasi progetto gasifero. Non pago di queste dichiarazioni, il presidente azero si è spinto sino a confermare che, viste le condizioni del mercato e gli alti prezzi, “un coordinamento dei nostri sforzi” e dei volumi in vendita “rimane nei nostri interessi e in quelli della Russia” e che l’Azerbaijan è più che disponibile a lavorare con la Russia in questa direzione.
La cooperazione russo-azera in campo energetico, uno degli assi portanti dei rapporti bilaterali, si è rafforzata ulteriormente proprio in campo gasifero. Nel 2021, la russa Lukoil è infatti divenuta un partner di BP nel giacimento di Absheron, destinato a produrre 5 mld/m3 a pieno regime e da aggiungersi ai 26 mld/m3 della seconda fase di Shah Deniz ed esportati verso occidente. Lo scorso febbraio, la stessa compagnia è anche divenuta la seconda azionista (19,99%) nello stesso progetto Shah Deniz, di cui sono partner anche BP (29,99%) e SOCAR (14,35%). Lukoil è anche destinata a divenire il partner principale nello sviluppo del giacimento di Dostluk, a lungo conteso fra Azerbaijan e Turkmenistan e ora al centro di una convergenza di interessi economici e diplomatici fra Baku e Asgabat.
La partecipazione russa evidenzia come Mosca sia non soltanto in grado di offrire una expertise tecnologica di valore nello sviluppo dei giacimenti caspici. Infatti, traendo profitti dall’export di idrocarburi verso occidente attraverso le proprie compagnie, la Russia continua ad avere un ruolo di coordinatore fondamentale per lo sviluppo dei giacimenti e progetti energetici nella regione del Caspio, fungendo al contempo da garante degli interessi politici di tutti i partner statali e commerciali qui presenti.
Smarcarsi dal gas russo con il TAP?
Con la sospensione di Nord Stream 2 e il conflitto ucraino, per Roma si apre una nuova finestra di opportunità per giocarsi la carta di hub europeo per l’importazione di gas. I limiti e rischi insiti alla nostra strategia sono però evidenti.
L’obiettivo italiano di smarcarsi dal gas russo raddoppiando la capacità del TAP risulta particolarmente ostico, ben oltre le problematiche infrastrutturali ed ambientali, con l’opera resa per anni terreno di scontro politico e sociale nel nostro Paese. Innanzitutto l’Italia, come membro UE e final buyer del gas azero, dovrebbe ancorare a livello politico il ruolo del gas ad un progetto di doppia transizione, sia da fonte energetiche maggiormente inquinanti, che dalla dipendenza energetica russa. TAP ha aderito al progetto White Dragon, il quale prevede l’importazione di volumi di gas verde dai Balcani. Eppure oggi questo orizzonte temporale non può essere di supporto per il piano del Ministro Cingolani di sostituire il metano russo.
Allo stesso modo, la Turchia è con ogni evidenza un concorrente energetico per il nostro Paese nello sfruttamento delle riserve azere. Con rapporti resisi ancor più precari durante il governo Draghi e posizioni contrastanti fra Roma e Ankara in scenari dinamici come la Libia, un coordinamento su di una tematica così scottante come la sicurezza energetica appare assai tortuoso e ricco di insidie. La questione georgiana è inevitabilmente un altro punto focale per l’ampliamento del SGC e un’inasprirsi delle relazioni fra Mosca e Tbilisi avrebbe oggi effetti deleteri per l’intera regione caucasica, riflettendosi inevitabilmente sulle opportunità di investimento nel Caspio. Infine, i recenti avvenimenti bellici e l’avvicinamento azero alla Russia risalta l’ambiguo posizionamento del Paese in un contesto internazionale turbolento.
L’approccio freddo e scettico di Baku evidenzia come la crisi energetica abbia dato nuovo vigore agli interessi nazionali legati all’export di risorse energetiche. Il nostro Paese, in bilico fra rischi di stagflazione e ambizioni di transizione energetica, deve riconoscere il ritrovato primato della geopolitica dell’energia nel suo approccio diplomatico se vuole davvero terminare la propria dipendenza dal gas russo.
Il post è il secondo approfondimento sulla diplomazia energetica italiana di fronte alla crisi ucraina curato da Francesco Sassi.
Leggi anche l’approfondimento su Algeria e Libia
Francesco Sassi è dottore in geopolitica dell’energia presso l’Università di Pisa e analista dei mercati energetici presso Rie-Ricerche Industriali ed Energetiche
Sulla crisi ucraina e la sicurezza energetica leggi anche:
Il panico nei mercati energetici,
di Alberto Clò, 10 marzo 2022
Crisi ucraina, sicurezza e transizione,
di Enzo Di Giulio, 9 Marzo 2022
Diplomazia energetica italiana/1: Algeria e Libia,
di Francesco Sassi, 5 Marzo 2022
La sicurezza delle forniture gas secondo il GECF,
di Redazione, 30 Settembre 2021
Foto: PxHere
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