Con l’esercito di Mosca intenzionato ad avanzare sino alla completa demilitarizzazione e neutralità dell’Ucraina, la sicurezza dell’Europa intera è a rischio. Nelle sue diverse declinazioni, vi è quella energetica dell’Italia, che resterà critica per lungo tempo. Diversificare le fonti di gas è la prima opzione. Azerbaijan, Algeria, Tunisia, Libia i paesi verso cui volgere lo sguardo. Ma serve un cambio di passo sul fronte della diplomazia energetica che ora pare del tutto mancare.
Poco dopo una settimana dall’inizio del conflitto in Ucraina e l’avanzare dell’esercito di Mosca lungo tre direttive, l’unico elemento di stabilità in questo scenario tangente alla guerra aperta fra Russia e NATO rimane paradossalmente proprio il transito di gas russo verso l’Europa. Nell’epoca del conflitto ibrido e del sabotaggio di infrastrutture critiche con mezzi cibernetici, il simbolo più eclatante dello strapotere russo in campo energetico è quanto mai in salute. Un elemento di sollievo dalle preoccupazioni più immediate per la sicurezza energetica italiana, salita a livelli altissimi nei giorni scorsi con la dichiarazione dello stato di preallarme.
Secondo quanto riferito dall’Eliseo, Putin ha ribadito allo stesso Macron che l’operazione non solo continuerà sino alla completa demilitarizzazione e neutralità dell’Ucraina, ma che qualsiasi ritardo nelle negoziazioni fra le due parti risulterà in richieste aggiuntive a quelle già presentate da Mosca, come il riconoscimento della Crimea e quello delle Repubbliche separatiste del Donbass entro i propri confini amministrativi.
Il simbolo più eclatante dello strapotere russo in campo energetico è quanto mai in salute
Mentre rimane dubbia la capacità russa di gestire e controllare un territorio così vasto anche in caso di capitolazione dell’Ucraina, è invece focale per la sicurezza energetica italiana lo stato della rete dei gasdotti ucraini, laddove transita la quasi totalità del gas russo verso il nostro Paese. Una rete per chissà quanto tempo verrà ancora minacciata dai combattimenti.
Di certo c’è che Palazzo Chigi, Farnesina e MITE non possono dormire sogni tranquilli. È in questo contesto che la diplomazia energetica italiana deve reagire, segnando uno scatto e un cambio di passo che ora pare del tutto mancare. Il rischio? Uscire da questa crisi avendo deragliato da qualsiasi progettualità di transizione, ancor più dipendenti da forniture estere e dallo stesso gas russo.
Azerbaijan, Algeria, Tunisia, Libia nell’agenda della diplomazia energetica italiana nel prossimo futuro
Nella sua informativa alla Camera di pochi giorni fa, il Presidente del Consiglio Draghi ha evidenziato come “Il Governo intende poi lavorare per incrementare i flussi da gasdotti non a pieno carico – come il TAP dall’Azerbaijan, il TransMed dall’Algeria e dalla Tunisia, il GreenStream dalla Libia” delineando di fatto l’agenda della diplomazia energetica italiana nel prossimo futuro.
Se dovesse questa fallire nell’immediato, Draghi ha preannunciato la “riapertura delle centrali a carbone”.
Un piano piuttosto vago, soprattutto visto il ruolo del gas russo nel nostro Paese, circa il 40% del nostro import. Lo stesso gas contribuisce a poco meno della metà della generazione elettrica del nostro Paese, mentre il ruolo del carbone è oramai invece residuale nel mix elettrico italiano.
L’incertezza degli scenari obbliga un ripensamento generale
Una prospettiva, quella della reintroduzione del carbone, che dovrebbe far preoccupare tutte le parti in causa per il rischio di un effetto lock-in supportato da costi di produzioni industriali in forte aumento e inflazione galoppante. Questo sposterebbe in avanti il phase-out previsto per il 2025 e che già presentava difficoltà burocratiche e finanziarie.
Ora, anche la Commissione, per voce del Vice-Presidente Timmermans, appoggia una possibile estensione dei cicli di vita delle centrali a carbone e nucleari europee. Il segno di un ripensamento generale all’interno della Commissione, affacciatasi su di una crisi di cui è impossibile anticiparne i risvolti.
A questo si allinea l’implicito riconoscimento da parte del Governo che la positiva correlazione fra promozione del comparto delle rinnovabili e sicurezza energetica non è in questo momento un’opzione percorribile. Se dunque “il gas resta essenziale come combustibile di transizione” dove può agire la diplomazia energetica italiana?
La positiva correlazione fra promozione del comparto delle rinnovabili e sicurezza energetica non è in questo momento un’opzione percorribile
In continuità con il discorso di Draghi, nei giorni scorsi il Ministro degli Esteri Di Maio ha incontrato il suo omologo algerino Lamambra nell’ambito di una visita incentrata sul rafforzamento degli approvvigionamenti energetici “con l’obiettivo di far fronte alle esigenze di sicurezza energetica europea alla luce dell’aggressione in Ucraina” e annunciando un supporto algerino che “diventerà più forte sia nel breve che nel medio e lungo periodo”.
Un annuncio senza dubbio importante visto che l’Algeria è stato nel 2021 il nostro maggior fornitore di gas naturale dopo la Federazione Russa e nel corso dell’ultimo anno ha incrementato di circa un terzo le proprie forniture di gas, passate 15 mld/m3 a circa 22,5 mld/m3. In particolare, una spare capacity di circa 15 mld/m3 sarebbe disponibile nel gasdotto Transmed, passato da 11,8mld/m3 a poco più di 20 mld/m3 dal 2020 al 2021.
L’inaffidabilità di Algeri nell’avanzare solide politiche e strategie energetiche
Il problema rimane però l’inaffidabilità dimostrata da Algeri nell’avanzare solide politiche e strategie energetiche. L’Algeria basa circa il 90% dell’export e il 60% del budget statale sugli idrocarburi, ma gli scarsi investimenti in nuovi giacimenti, dai costi produttivi ben più alti rispetto i precedenti, e l’instabilità politica e sociale sono un aspetto ormai cronico del Paese.
Dopo la destituzione di Bouteflika nel 2019, corposi sussidi energetici sono stati ampliati nei confronti di una popolazione con crescenti necessità di energia a buon mercato, incrementando consumi interni e facendo declinare le capacità di export.
Lo scorso settembre il governo ha annunciato un incremento degli investimenti da destinare al settore dell’Oil&Gas. Questi risultano però largamente sottostimati per far crescere la produzione di gas algerino, mentre la capacità tecnica degli impianti di esportazione resta ferma a poco più del 50%.
Una vera e decisa diplomazia energetica sosterrebbe la presenza delle nostre aziende sul territorio algerino e la sigla di nuovi contratti a lungo termine
Una reale svolta nella diplomazia energetica italiana in Algeria richiederebbe innanzitutto la volontà politica di sostenere la presenza delle nostre aziende sul territorio algerino e la sigla di nuovi contratti a lungo termine, a condizioni decisamente più favorevoli di quelle ottenute tramite contratti spot.
Questo però necessiterebbe di un benestare europeo, contornato da garanzie politiche difficilmente ricevibili per le importazioni di lungo corso, sulle quali insorgerebbe inevitabilmente l’incognita economica dei costi annessi alle emissioni di CO2 legate all’utilizzo di gas nei nostri impianti. Un’equazione politico-economico-sociale di portata assai complessa.
Spostandosi poco più a est le prospettive per la diplomazia energetica italiana non migliorano. La Libia vive forse le ore più buie da molti mesi a questa parte, con l’incubo di assistere ad un nuovo scisma politico e l’emergere di due strutture governative parallele e ostili.
La Libia vive forse le ore più buie da molti mesi a questa parte
L’incapacità di garantire una stabilità politica nel Paese ha inciso in maniera perentoria sulla produzione di idrocarburi e durante lo scorso anno, nonostante prezzi quanto mai attrattivi sul mercato europeo e profitti record a 21,5 miliardi di dollari, l’export di gas libico in Italia è calato di quasi il 30%. Durante il mese di febbraio, un guasto imprevisto al complesso di Mellitah ha portato ad una riduzione complessiva dei flussi libici del 60% rispetto il 2021.
Un segno incontrovertibile della crisi libica è stato dato dallo stesso direttore della National Oil Corporation che ha invocato nuovi investimenti per sostituire “equipaggiamenti vecchi di 60 anni” e riparare “reti dilapidate e bisognose di continui stop per essere riparate”.
A complicare ulteriormente il quadro, è emerso recentemente che migliaia di appartenenti alle forze della compagnia Wagner, guidata da uomini vicinissimi al Cremlino e utilizzata per intensificare la competizione asimmetrica della Russia agli Stati Uniti in Africa, si trovano ora in Libia. Qui, un asse politico fra Russia e UAE sembra essersi intensificato con il supporto al generale Khalifa Haftar, il quale ora appoggia uno dei due contendenti alla leadership libica.
Pare quindi evidente l’impossibilità, in questo momento di crisi, di considerare la Libia come un partner energetico e uno scenario su cui l’Italia potrà puntare nel prossimo futuro per rafforzare la propria sicurezza energetica in alternativa alle forniture russe.
Diplomazia energetica italiana di fronte alla prova ucraina è una rubrica di Francesco Sassi per RivistaEnergia.it.
Crisi ucraina: dal grano al gas, 14 giugno
L’accordo UE-USA, le premesse, 14 aprile
L’accordo UE-USA, le considerazioni, 14 aprile
Azerbaijan, 14 marzo
Algeria e Libia, 5 marzo
Francesco Sassi è dottorato in geopolitica dell’energia presso l’Università di Pisa e analista dei mercati energetici presso Rie-Ricerche Industriali ed Energetiche
Foto: Unsplash
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