10 Marzo 2022

Il panico nei mercati energetici

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+138% l’aumento dei prezzi del gas da inizio anno, +63% quello del petrolio. Il panico attanaglia i mercati dell’energia, ma le proposte non paiono rassicurare: dall’assurdo embargo al petrolio russo alla ricetta europea di ridurre le importazioni di gas russo di 2/3 entro la fine dell’anno.

Le quotazioni del gas hanno toccato il 7 marzo scorso nuovi massimi storici, aprendo oltre 100 doll/Mil.Btu per poi ripiegare in chiusura a 69 dollari sulla piattaforma italiana PSV.

Idem per i prezzi del petrolio che hanno quotato (Brent Dated) 123 dollari al barile che non si toccavano dal 2014 per spingersi il giorno dopo a ridosso di 130 dollari al barile.

Idem ancora per i prezzi dell’elettricità con un generalizzato aumento in Europa, anche a causa dell’ennesimo crollo della produzione eolica (problema sempre più critico), con una crescita massima del 30% in Italia a circa 588 euro/MWh.

+138% l’aumento dei prezzi del gas da inizio anno, +63% quello del petrolio

Da inizio anno i prezzi del gas sono aumentati del 138% e quelli del petrolio del 63%, ma come si può notare dai grafici, è con l’inizio della guerra il 24 febbraio che si registra una loro netta impennata.

A causarla non è stata una riduzione dei flussi dalla Russia, al contrario di quanto avvenuto lo scorso anno. “Dal mese di settembre – notano Goldoni e Repetto nel nuovo numero di ENERGIA – Gazprom ha ridotto significativamente le sue esportazioni verso l’Europa” sul mercato spot, pur continuando “a rispettare i propri impegni contrattuali a lungo termine”.

Questi flussi hanno continuato a mantenersi sui massimi contrattuali, specie quelli che transitano dall’Ucraina, in quanto vitali per alimentare finanziariamente le operazioni militare.

La più recente impennata dei prezzi è riconducibile al panico causato dal corto circuito tra non escludibili ragioni:

  • rischi che si verifichino comunque interruzioni dalla Russia, con la minaccia espressa dal suo primo ministro Alexander Novak di interrompere i vitali flussi via Nord Stream 1 come ritorsione al mancato avvio del Nord Stream 2;
  • livelli delle scorte a livelli storicamente bassi e necessità di aumentarli prima dell’estate – ‘at any price’ ha commentato un trader;
  • possibilità che Bruxelles obblighi a detenerne certi livelli sino al 90% dal primo di ottobre (rispetto al 27% attuale);
  • effetti delle sanzioni economiche pur non decretate verso l’energia.

Ad alimentare il panico contribuiscono anche dichiarazioni rimbalzate sui media di possibili embarghi verso il gas e petrolio russo che non potrebbero che ritorcercisi contro non essendovi oggi, checché se ne dica, alternative su entrambi i versanti.

Su quello del gas perché altri produttori potrebbero rimpiazzare solo marginalmente i 155 miliardi di metri cubi che la Russia ha esportato lo scorso anno verso l’Europa: contribuendo per il 45% delle sue importazioni e per il 40% dei suoi complessivi consumi.

Azzerando l’import gas dalla Russia dovremmo razionare il 15% della domanda finale

Tutti gli esercizi fatti per verificare l’impatto di un azzeramento degli approvvigionamenti europei dalla Russia – come quello effettuato dall’Oxford Institute of Energy Studies – portano ad un esito drammatico: la necessità di razionare l’offerta per 50 miliardi di metri cubi, pari ad un 15% della domanda finale.

Tentare di calcolare i flussi addizionali di gas che potrebbero teoricamente arrivare da altri paesi è fintamente consolatorio perché ogni paese cercherebbe di accaparrarseli in una competizione dannosa sui prezzi, in assenza di ogni coordinamento a livello europeo.

Esiti non meno drammatici si avrebbero rinunciando ad acquistare dalla Russia petrolio e suoi derivati. Ammontate lo scorso anno a 8,3 milioni barili al giorno: 5,5 milioni di petrolio greggio e 2,8 di prodotti raffinati (specie diesel verso l’Europa).

Ebbene, capacità produttiva disponibile (spare capacity) per sostituire queste quantità non ve ne è. In totale viene valutata in 2,5 milioni barili al giorno, concentrata in Arabia Saudita ed Emirati Arabi.

Assurdo parlare di embargo al petrolio russo: non c’è petrolio alternativo e si causa un ulteriore aumento dei prezzi

Parlare di embargo verso il petrolio russo è quindi assurdo e irresponsabile perché produce solo l’effetto di rialzare ulteriormente i prezzi. Come accaduto in questi giorni.

La minaccia degli Stati Uniti, quasi autosufficienti, di decretare un simile embargo dipendendoci per quantitativi ampiamente inferiori a quelli europei danneggerebbe solo questi ultimi. Si sono peraltro detti disponibili ad allentare le sanzioni verso il Venezuela per riprendere le importazioni da quel Paese.

Agli Stati Uniti potrebbe far seguito una simile decisione della Gran Bretagna (anch’essa molto poco dipendente dal petrolio e gas russo) e di due majors petrolifere quali Shell e BP.

A rispondere in modo netto a queste proposte è stato il cancelliere tedesco Olaf Scholz che ha ribadito l’essenzialità dei rifornimenti russi sia di gas che di petrolio anche per garantire la “pace sociale del nostro Paese”.

Pragmatismo tedesco

Una Germania che va rispondendo in modo più determinato alla crisi energetica: riflettendo sulla possibilità di non chiudere le tre centrali nucleari che avrebbero dovute essere messe fuori esercizio entro fine anno e addirittura di riattivare le tre chiuse alla fine dello scorso anno, col pieno supporto del pragmatico partito dei Verdi al governo.

E nella ribadita consapevolezza che le rinnovabili non potrebbero sopperire alla produzione elettrica delle centrali nucleari. Non solo: Berlino ha già avviato le intese finanziarie e industriali per avviare rapidamente la costruzione del suo primo terminale LNG.

Anche altri paesi, tra cui il nostro, auspicano che questo avvenga senza vi sia però ancora niente di concreto. Al riguardo, la previsione del ministro Cingolani di poter disporre a metà anno, tra tre mesi, di un rigassificatore galleggiante appare alquanto azzardata.

Sembra invece scarsamente praticabile la proposta avanzata dall’Italia a Bruxelles di fissare un tetto massimo al prezzo di acquisto del gas (definito price cap), come espresso sulle piattaforme negoziali (istituite da noi europei): per la difficoltà a stabilire cosa possa intendersi per prezzo ‘massimo equo’ e perché tutto dipenderebbe dalla disponibilità dei venditori di vendere a sconto.

Non solo logicamente la russa Gazprom ma anche quelli di tutti gli altri paesi esportatori. Proposta che andrebbe a sbattere contro il loro diniego. Che faremmo allora? Rinunceremmo ad acquistare il gas o faremmo una ingloriosa marcia indietro?

La conclusione da trarsi è che l’Europa ha scarsa cognizione di quel che si debba e possa fare per attutire l’impatto della crisi. Con margini di manovra per altro molto ristretti.

La dipendenza energetica dalla Russia: oltre 40% per il gas, 27% per petrolio e derivati, 46% per carbone

La Comunicazione della Commissione uscita l’8 marzo – denominata REPowerEU: Joint European Action for more affordable, secure and sustainable energy – tende a rendere l’Europa indipendente dalle importazioni energetiche dalla Russia “molto prima della fine del decennio”: accelerando la transizione verso le green energy, diversificando gli approvvigionamenti, riducendo la domanda. Azzerando quindi 155 miliardi di metri cubi di gas importati dalla Russia nel 2021.

Bruxelles stima che sia possibile ridurre le importazioni di gas russo di 2/3 entro la fine di quest’anno aumentando:

  • di 50 mld mc le importazioni di GNL (vs 15 mld mc del 2021);
  • l’efficienza energetica degli edifici per 14 mld mc;
  • la generazione elettrica da solare ed eolico per altri 20 mld mc.

A differenza di quanto sostenuto in un precedente commento circa la possibilità di affrancarsi dal gas russo nel giro di un decennio, riuscirvi in appena nove mesi è totalmente fuori dalla realtà delle cose possibili. I maggiori volumi di GNL andrebbero acquistati a qualunque prezzo così da prevalere sugli acquirenti asiatici, mentre l’efficienza energetica degli edifici andrebbe ottenuta riducendo di un grado il riscaldamento domestico, nonostante si sia ormai fuori dalla stagione invernale.

Simili ricette non servono certamente ad attutire il panico dei mercati. Anzi.


Alberto Clô è direttore del trimestrale ENERGIA e del blog RivistaEnergia.it


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Foto: Francesco Toiati


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