9 Marzo 2022

Crisi ucraina, sicurezza e transizione

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Alcune lezioni che ci vengono da questa sciagura: l’energia è un fatto politico; un assetto energetico saldo può dissolversi fulmineamente; la sicurezza energetica conta ancora anche se ce n’eravamo dimenticati. Ecco perché torna sui tavoli una riflessione che mancava da molto tempo: come affrancarsi da un eccesso di dipendenza da un paese potenzialmente ostile. Riflessione che si interseca con quella sulla transizione energetica: l’invasione russa può fungere da catalizzatore straordinario della transizione spingendo le rinnovabili?

La guerra tra Russia e Ucraina è uno spartiacque per l’Europa e per il mondo? Come impatta sull’energia e, in particolare, sulla transizione? Siamo di fronte a una frattura della Storia, come lo furono la caduta del muro di Berlino oppure l’11 settembre? Quale posto occuperà nei libri di storia futuri? Poche righe, un paragrafo, un intero capitolo?

È presto per dirlo, perché la guerra è ancora in corso e non sappiamo quale scenario emergerà domani.

Un’Ucraina finlandizzata, ovvero neutrale? Una conquista parziale da parte dei russi, con conseguente guerra civile strisciante per anni? Un collasso dall’interno del potere di Putin? Una nuova Yalta che ridisegna confini e zone di influenza? Il campo è oggi totalmente aperto.

Di certo, siamo di fronte a una sciagura della Storia, uno di quei momenti nei quali essa è attraversata dalla follia umana e dal veleno eterno della megalomania mescolata alla paranoia.

Torna alla mente il grandioso affresco della Storia fatto da Luigi Zoja, là dove la paranoia ne è il motore principale. Oppure l’ironia amara di Bertrand Russell che ne “La conquista della felicità” scriveva: “il megalomane differisce dal narcisista per il fatto che desidera di essere potente piuttosto che simpatico e cerca di essere temuto piuttosto che amato. A questo tipo appartengono molti dementi e la maggior parte dei grandi uomini della storia”.

E gli effetti di questo cataclisma già si scaricano sul mondo dell’energia: prezzi di petrolio e gas alle stelle, spinte inflazionistiche, timori di interruzione dei flussi. Rispetto all’energia, la guerra sta svolgendo il ruolo di un vaccino, immunizzandoci nuovamente contro il virus dell’omologazione che aveva allineato l’energia agli altri beni. Ecco alcune lezioni che ci vengono da questa guerra.

3 lezioni da una sciagura della Storia

Primo, come ha spiegato molto bene Alberto Clò in questo Blog, l’energia non è e non può essere solo una commodity. Ipnotizzati dal vento liberista e dalla fine della Guerra Fredda, adagiati sul divano della pace, abbiamo creduto che l’energia potesse essere trattata come gli altri beni, una semplice transazione di mercato che risponde alla mera logica economica.

Abbiamo rimosso le lezioni apprese nel secolo scorso con le due Crisi Petrolifere o con la prima Guerra del Golfo: la politica internazionale, e a volte le guerre, muovono i prezzi assai più di quanto facciano le forze di mercato. L’energia è un fatto politico, o almeno può diventarlo in certe circostanze, a volte nel corso di una sola notte.

E qui veniamo al secondo insegnamento che traiamo dalla crisi attuale: un assetto energetico saldo può dissolversi fulmineamente, creando precarietà e incertezza laddove prima vi era stabilità.

È successo lo scorso 24 febbraio, con l’ingresso dei carri russi in territorio ucraino, così come è accaduto il 2 agosto del 1990, quando le truppe di Saddam Hussein fecero il loro ingresso in Kuwait.

La terza lezione, che discende in parte dalla seconda, è che la sicurezza energetica conta ancora, e non ha mai smesso di farlo, anche se lo avevamo dimenticato (si veda Un tempo si chiamava “sicurezza energetica” sempre di Alberto Clò).

Se l’economia è un organismo – e lo è – l’energia è il sangue che scorre nelle sue vene e lo alimenta. Si può vivere senza una gamba o un braccio, ma non senza sangue. L’energia non è una giacca o un’auto, ma un bene indispensabile e strategico: ed è così che al fragore delle bombe russe ci siamo risvegliati dal sonno mercatista e abbiamo riscoperto questa banale verità che ogni buon libro di economia dell’energia, tra l’altro, insegna.

Al di là di quanto mai accaduto in piena Guerra Fredda

Non solo: l’avvio della riflessione su una minore dipendenza energetica ha coinciso anche con una potenziale risposta di lungo periodo che il mondo occidentale intende dare al regime russo: affrancandoci dal vostro gas e dal vostro petrolio infliggiamo un danno profondo alla vostra economia e quindi, in ultimo, al vostro potere politico. Oggi le sanzioni, domani la rendita energetica.

La dimensione della crisi è tale che quanto accade oggi va al di là di quanto accaduto ieri, in piena Guerra Fredda: il conflitto ideologico non ha mai impedito al gas di scorrere nei tubi. Il business era più forte dello scontro politico.

Oggi, con un’accelerazione imprevista, veniamo all’improvviso catapultati nella contrapposizione della Guerra Fredda – come la definì George Orwell – con la differenza che, all’improvviso, il conflitto non è più gelido, ma di ferro e di fuoco, vivo nel cuore dell’Europa.

Ecco perché oggi si avvia una riflessione nuova che mancava sui tavoli delle istituzioni e della politica da molto tempo: occorre affrancarsi dal gas russo e, in generale, da un eccesso di dipendenza da un paese estero potenzialmente ostile.

Tuttavia, oggi, la riflessione interseca un fenomeno nuovo: la transizione energetica. Ecco dunque che l’invasione russa può diventare un catalizzatore straordinario della transizione, accelerando oltre misura la migrazione verso le rinnovabili.

L’invasione russa come catalizzatore straordinario della transizione?

Certo, nel breve periodo il fossile algerino o qatarino o americano potrà rimpiazzare quello russo, gli stoccaggi potranno essere meglio gestiti e coordinati, e nuovi reti e nuovi impianti di rigassificazione potranno essere costruiti, ma la vera battaglia si gioca nel contesto della transizione.

Se nel breve periodo la crisi ucraina potrà, paradossalmente, rimettere in gioco il carbone, nel medio-lungo essa potrà essere un volano potente per la transizione. Le grandi manovre sono già cominciate.

In Germania, si sospende il taglio degli incentivi al fotovoltaico, si accresce la nuova potenza messa all’asta da 2 a 10 GW annui per l’eolico e da 5 a 20 GW annui per il solare. L’obiettivo è avere, nell’elettrico, un mix green al 100% nel 2035, e non più al 2040, come previsto fino a ieri. In altri termini, la guerra accelera la transizione, almeno sulla carta, di cinque anni.

Al piano tedesco ha fatto eco la richiesta di Elettricità Futura – associazione che rappresenta circa il 70% del mercato elettrico italiano – di autorizzare entro il prossimo giugno 60 GW di rinnovabili (48 GW da fotovoltaico e 12 da eolico-bionergia-idro) da realizzare in tre anni, iniettando nell’economia 85 miliardi di nuovi investimenti.

Ciò equivarrebbe a ridurre la domanda di gas italiana di 15 miliardi di metri cubi all’anno, ovvero 45 totali al terzo anno, contro un import dalla Russia pari a circa 29 miliardi.

Sono numeri davvero alti se si pensa che nel recente Report della IEA specificamente dedicato alla riduzione della dipendenza europea dal gas russo, il contributo delle fonti rinnovabili al taglio dell’import di gas è stimato pari a 19 miliardi di metri cubi, per l’intera Europa.

Rinnovabili: una risposta, molte domande…

La domanda che si pone, dunque, è se l’Europa – per usare un codice espressivo abusato, ma quanto mai appropriato questa volta – saprà trasformare il vincolo in opportunità. Ma, certo, gli interrogativi non mancano: quanto è impervia la via?

Perché Elettricità Futura stima il potenziale di riduzione del gas da parte delle rinnovabili in 15 miliardi di metri cubi annui per la sola Italia, mentre l’Agenzia di Parigi parla di 19 miliardi all’anno a livello dell’intero continente? Dove sta la verità? E qual è il problema con le rinnovabili?

Perché, se il costo di un kWh verde è straordinariamente più basso di quello delle fonti fossili – come sostiene la narrazione green – esse non si espandono celermente? Il problema è solo nel permitting e nella burocrazia delle approvazioni? La burocrazia può più della spinta centrifuga, dal fossile, indotta dai carri armati e dai missili?

Oppure la barriera è tecnica e di infrastruttura? Oppure, piuttosto, è vero quello che sostiene Bill Gates quando sottolinea il ruolo critico dell’extracosto verde (green premium) quale cuneo da abbattere per favorire le fonti low carbon o, per rimanere in Italia, ciò che dice un esperto quale Massimo Nicolazzi quando asserisce che “la transizione non la fa il mercato, la transizione è sostegno pubblico (perché…) a puro market price manco si comincia”.

Oppure, infine, sono i margini che sono troppo bassi in un settore altamente concorrenziale che non beneficia né posted price né di restrizioni all’offerta esercitate da un cartello, come accadde nell’epopea del petrolio?

ma il momento è propizio

Qualunque sia la risposta a queste domande è certo che la questione ucraina ha posto il tema della transizione su un nuovo piano, perlomeno per noi europei. È un piano inclinato che la favorisce nettamente. Per le rinnovabili il periodo è estremamente propizio, per due spinte che le sostengono come non mai: gli effetti di sostituzione indotti dagli alti prezzi dei fossili e l’ampio spazio creato dalla necessità di sostituire il gas russo.

Ciò significa che in tutta Europa le rinnovabili non dovranno più operare al margine, cercando di guadagnare spazi di crescita nelle aree residuate dall’obsolescenza degli impianti fossili. Al contrario, ora vi sono praterie di domanda che le rinnovabili possono colonizzare. Ed è bene che l’Europa colga questa opportunità nata dalla sventura e dal male, perché tutto il mondo osserva con attenzione il suo “man on the moon moment”, come Ursula Von Der Leyen ebbe a definire il Green Deal europeo.

Se poi, nonostante la spinta di Kiev, il “Fit for 55” fallirà, vorrà dire che il tempo del net zero non è ancora maturo, e altre strade andranno individuate e percorse per far fronte all’altra battaglia, quella del clima.


Enzo Di Giulio è membro del Comitato Scientifico di ENERGIA


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Foto: Unsplash


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