1 Marzo 2022

Liberarci del gas russo è possibile (e doveroso)

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Liberarci gas russo è possibile nel giro di una decina d’anni facendo ricorso a tutte le tecnologie disponibili e investendo su quelle nuove. Una strategia che interessa il breve, medio e lungo termine e che deve essere attuata con convinzione, mettendo da parte gli egoismi nazionali in nome di un interesse superiore. L’editoriale di ENERGIA 1.22.

La cosa più importante nel decidere il che fare è di imparare la lezione dai tragici fatti di questi giorni: che non vi è sovranità, non vi è possibilità di pace, non vi è libertà, se si è ostaggi nelle forniture di energia da paesi che le usano come arma di ricatto politico. Se non riusciamo, in sostanza, a recuperare l’obiettivo prioritario, ahimè dimenticato, della ‘sicurezza energetica’ che ha pervaso le passate politiche energetiche.

L’intero Occidente capì la lezione da trarre dalle crisi petrolifere degli scorsi anni Settanta, che ne avevano evidenziato l’estrema vulnerabilità da paesi politicamente ostili, diversificando il mix energetico (dal petrolio a metano, carbone, nucleare) così da ridurre il peso del petrolio ed aumentandone al contempo le produzioni fuori dai paesi OPEC (specie Mare del Nord). I prezzi crollarono parimenti al ruolo dell’Organizzazione di Vienna.

Georges Pompidou e Valery Giscard d’Estaing non avviarono la nuclearizzazione del loro parco elettrico per ragioni di convenienza economica, ma per preservare la sovranità nazionale disponendo, affermò Giscard d’Estang, “d’une réserve d’énergie comparable à celle de l’Arabie Saoudite avec son pétrole”.

Euratom fu istituita per accrescere l’autosufficienza energetica dei paesi che vi aderivano e contenere i costi dell’energia

E, risalendo ad anni prima, vale rammentare che il Trattato di Roma, che istituiva la Comunità Economica Europea, fu firmato il 25 marzo 1957 contemporaneamente al Trattato che istituiva la Comunità Europea dell’Energia Atomica (Euratom) su cui si pensava, illudendosi, di avviare una grande cooperazione europea nel nucleare civile. Con il duplice obiettivo di accrescere l’autosufficienza energetica dei paesi che vi aderivano e di contenere i costi dell’energia.

Dalla tragedia di questi giorni dobbiamo trarre la medesima lezione degli anni Settanta. La scelta non può che essere quella di liberarci del gas russo. Per quanto e prima possibile. Tutti i paesi europei dovrebbero farla propria, in stretta alleanza con gli Stati Uniti, rinunciando agli egoismi nazionali in nome di un interesse superiore: la riduzione del potere russo, la difesa dei principi di autodeterminazione dei popoli, la sconfitta del ricorso alla guerra.

La prima condizione è che questa scelta sia fatta con convinzione, determinazione, volontà da tutti i paesi europei. Se ci si riuscirà, ed è possibile riuscirci, piegheremo le ginocchia all’economia russa che vedrà crollare le sue entrate economiche mentre per rimpiazzare le esportazioni di metano verso il mercato europeo dovrà investire massicciamente per riorientarle verso la Cina. Nei cui confronti non potrà di certo usarle come arma di pressione politica.

Intervenire sia sul breve che sul medio e lungo termine, su tutti i fronti possibili

È possibile e in quali tempi liberarsi del gas russo? È possibile se si farà ricorso a tutte le tecnologie disponibili e investendo su quelle nuove. Bisogna investire massicciamente:

  • nelle tecnologie che consentono di superare l’intermittenza delle risorse rinnovabili, così da potervi far conto stabilmente e non necessitando della supplenza delle centrali a gas;
  • nella nuova generazione di reattori nucleari;
  • nell’idrogeno verde ed ogni altra opzione tecnologica.

Azioni che richiedono però tempi non brevi. Nel frattempo,

  • bisogna massimizzare l’utilizzo degli impianti e delle infrastrutture energetiche esistenti sviluppando le opzioni ad oggi disponibili: dalle risorse rinnovabili sveltendone i processi autorizzativi ai biofuels, biometano e biogas;
  • la Germania dovrebbe rinunciare a chiudere entro fine anno le ultime tre centrali nucleari ancora in esercizio, superando l’opposizione del partito dei Verdi, ed anzi riattivare le altre tre appena chiuse;
  • dovremmo rafforzare la connessione dei gasdotti dalla Spagna al resto d’Europa per disporre delle sue ampie e sottoutilizzate capacità di rigassificazione superando l’opposizione ambientale che sinora le ha impedite;
  • similmente, si dovranno sviluppare le infrastrutture di trasporto del gas dal bacino del Mediterraneo, attingendo alle gigantesche riserve che vi sono state ritrovate (3,5 mila miliardi metri cubi) iniziando dal progetto del gasdotto EastMed portato avanti dal consorzio IG Poseidon (italiane Edison e greca DEPA) che ha già ottenuto il benestare della Commissione che lo ha inserito tra i Progetti di Interesse Comune dell’Europa (nel 2019 scrivemmo di Non affondare la nave Eastmed-Poseidon prima del suo varo);
  • ancora si dovranno sfruttare le riserve di metano di cui l’Europa dispone, ad iniziare da quelle italiane, riprendendo l’attività di ricerca mineraria;
  • la Commissione dovrà svolgere un’azione di coordinamento per lo sviluppo su scala europea delle tecnologie di cui si è detto (ad esempio delle batterie) e per aver conto delle decisioni che i singoli paesi intendono adottare al loro interno;
  • Lo European Green Deal dovrà essere perseguito ma tenendo prioritariamente conto degli interessi europei, onde evitare di cadere dalla padella della Russia (per il metano) alla brace della Cina (per le rinnovabili).

Il potere dell’OPEC venne fortemente ridimensionato in poco più di dieci anni

Quanto ai tempi – se tutto venisse fatto in modo celere e determinato – potrebbero non essere particolarmente lunghi. Conforta al riguardo un dato: il potere dell’OPEC venne sconfitto in poco più di dieci anni. Nel 1973 essa contava per il 51% della produzione mondiale e la quasi totalità dell’import dei paesi occidentali. Nel 1986 questa percentuale era scesa al 30%!

La ‘sconfitta’ fu possibile con la sostituzione tra 1973 e 1986 del petrolio col metano aumentato nei consumi energetici primari del 44%, col carbone con un +87% e col nucleare con +700%.

Oggi possiamo puntare su queste e altre opzioni tecnologiche su cui non è accettabile ogni sorta di veto. Certo l’ambiente deve restare una priorità da perseguire a parità d’ogni altra condizione ma non può costituire un ostacolo fin quando l’obiettivo non sarà raggiunto. Perché nel lungo termine bisogna arrivarci vivi. L’Europa si impegni in ogni modo a conseguirlo, anche in ragione dell’assenza di altre efficaci strategie.

Un’intesa triangolare Europa-Arabia Saudita-Stati Uniti sul petrolio

Lo faccia anche sul piano diplomatico, cercando di raggiungere un’intesa di lungo termine con il paese che oggi con la Russia domina il mercato del petrolio: l’Arabia Saudita, per evitare che la rinuncia al petrolio russo, che oggi contribuisce per il 25% delle importazioni europee, non trovi corrispondenza in un aumento di quelle dal mondo OPEC, anche in considerazione della stretta alleanza tra Riad e Mosca nell’OPEC Plus. Un’intesa triangolare Europa-Arabia Saudita-Stati Uniti per quanto politicamente molto complessa faciliterebbe il raggiungimento di questo obiettivo.

Mi si potrà obiettare che sottrarsi o ridurre la dipendenza energetica da un paese, oggi la Russia col metano ieri l’OPEC col petrolio, non ti sottrae – nell’impossibilità a produrre internamente – dalla dipendenza da altri paesi fornitori magari per altre fonti, nell’impossibilità di aver contezza di non escludibili tensioni geopolitiche. Ma questo è esattamente lo scenario che si è aperto su scala mondiale dalla fine dell’Ottocento col graduale passaggio dal carbone, consumato dov’era prodotto, al petrolio e successivamente al metano.

Non una semplice commodity

Un passaggio ove l’energia cessava di essere un fatto prevalentemente economico per divenire motivo e arena di scontro politico tra Stati importatori, tra questi e gli Stati esportatori, tra imprese e Stati.

L’energia non può considerarsi, quindi, come ci si era illusi fosse con l’apertura al mercato dagli scorsi anni Novanta, una semplice commodity affatto diversa da ogni altro bene, soggetta alle normali logiche di mercato senza vincoli ed obblighi di perseguire interessi nazionali. L’energia è piuttosto un fatto politico che rientra nella sfera della difesa e sicurezza nazionale e come tale va considerata.

Per concludere: l’eccezionalità della situazione richiede il ricorso a misure eccezionali. Tragico sarebbe se questo non avvenisse e non dovessimo imparare la lezione che dobbiamo trarre dai terribili fatti di questi giorni. Da cui dipende la nostra stessa libertà.


Il post è l’anticipazione dell’editoriale del nuovo numero di ENERGIA
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Alberto Clô è direttore del trimestrale ENERGIA e del blog RivistaEnergia.it


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Foto: Unsplash

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