26 Aprile 2022

PiTESAI, più vincoli che via libera al potenziale domestico

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Dopo anni d’attesa, l’11 febbraio si è concluso l’iter di approvazione del PiTESAI, il Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee, da parte del MiTE. La coincidenza temporale con l’aggravarsi della crisi ucraina pone delle criticità: il Piano rafforza tutti i vincoli verso la ricerca e la produzione di idrocarburi in Italia in un momento nel quale la produzione domestica potrebbe essere una leva importante per rendere gli approvvigionamenti energetici più sicuri e sostenibili.

L’obiettivo, per lo meno, è chiaro: “derussificare il fossile che ci resta”. Una delle conseguenze più importanti della crisi russo-ucraina, infatti, è stata un’acuita percezione della nostra dipendenza energetica dall’estero: cosa che ha scatenato la corsa di diversi Paesi europei (tra cui l’Italia) a staccarsi dal gas russo.

Nell’affrontare una crisi che potrebbe diventare molto grave, il nostro governo si sta muovendo su più fronti: in primo luogo pianificando un aumento dei flussi di gas in arrivo da Algeria, Libia e Azerbaijan attraverso dei gasdotti già esistenti e poi pianificando un rafforzamento della capacità di rigassificazione di LNG.

Nel bel mezzo dell’escalation bellica e dell’energy crunch che ne consegue, il PiTESAI diventa più che mai rilevante

In questo contesto, come ha osservato Salvatore Carollo, torna alla ribalta un’opzione spesso rimossa: ovvero la possibilità di aumentare la produzione dei giacimenti di gas sul territorio nazionale. Una produzione già in drastico calo per via dei vincoli regolamentari imposti nell’ultimo decennio e che non accenna ad una facile ripresa, a valle della recente pubblicazione del PiTESAI, il Piano della transizione energetica sostenibile per le aree idonee.

Nel bel mezzo dell’escalation tra la Russia e l’Ucraina e del crunch energetico che questa comporta, il PiTESAI diventa più che mai rilevante. Il Piano è stato preparato da istituti di ricerca specializzati (Ispra, Rse) per conto del Ministero della Transizione Ecologica, che lo ha poi sottoposto a Valutazione ambientale strategica (VAS) con una fase di consultazione interamente pubblica: l’obiettivo è di individuare le aree sul territorio nazionale in cui è permesso fare attività di prospezione, ricerca e coltivazione di giacimenti di idrocarburi.

PiTESAI, aree idonee e non idonee per attività di prospezione e di ricerca
Fonte: ArcGIS

Il trilemma energetico: sostenibilità, sicurezza, economicità

In questo senso, il PiTESAI riporta l’attenzione su un punto spesso trascurato ma importante, poiché si trova al crocevia del trilemma energetico: se allontaniamo i giacimenti da cui proviene il gas (privilegiando, quindi, la sicurezza e l’equità, cioè il prezzo competitivo, dell’approvvigionamento), facciamo aumentare le emissioni di CO2.

Consideriamo il gas trasportato via tubo. Per percorrere le grandi distanze lungo le quali si snoda il gasdotto, il gas ha bisogno di essere compresso in modo da vincere le cosiddette “perdite di carico”. Per farci un’idea: ogni 1.000 metri cubi di gas che arrivano in Italia, se ne devono estrarre mediamente 120 metri cubi in più che vengono consumati nel trasporto. Poiché importiamo una quantità dell’ordine di 70 miliardi di metri cubi all’anno, la quantità di metano “extra” legata al trasporto ammonta a 8 milioni di metri cubi: circa l’11% rispetto al totale.

Per ogni 1.000 mc di gas che arrivano in Italia, 120 ne vengono consumati nel trasporto

Ora, considerando un fattore di emissione pari a EF = 0,000038 kg CO2/Nm3 per il metano, arriviamo ad una conclusione interessante. Nel suo complesso, il trasporto del gas importato in Italia (circa 70 miliardi di metri cubi di gas all’anno) provoca l’emissione di 16 milioni di tonnellate di CO2. Per avere un termine di paragone, è lo stesso ordine di grandezza delle emissioni annuali per una città come Rotterdam (18 Mton).

Ranking delle emissioni di CO2 delle principali città europee
Fonte: T. Wei, J. Wu, S. Chen, Keeping track of greenhouse gas emission reduction progress and targets in 167 cities worldwide (Sustain Cities, July 2021)

Numeri importanti nel contesto del PiTESAI, che introduce nuovi vincoli sull’attività estrattiva di petrolio e di gas già considerevolmente in calo durante lo scorso decennio. Nel 2001, infatti, erano stati estratti dai nostri giacimenti circa 15 miliardi di metri cubi di gas, pari al 20% dei consumi.

Dal 20% al 4% il contributo nazionale al consumo di gas, e il PiTESAI rafforzerà questo trend

Con il passare del tempo, però, tale produzione è andata calando fino ai 3 miliardi di metri cubi del 2021, pari a solo il 4% dei consumi. Adesso, il Piano sembra voler rafforzare questo trend, riducendo di circa 2/3 le aree idonee e frammentando i permessi (i c.d. titoli minerari) sia a terra che a mare.

Consideriamo specificamente la situazione gas. Secondo l’analisi fatta da Assorisorse sul portafoglio di titoli minerari, delle 108 concessioni attive totali ne permangono solo 52, di cui 31 “soggette a vincoli”. Per il resto, circa un terzo del totale (26+10 = 36) è a rischio di cessazione in quanto “soggetto a verifica o ad analisi costi-benefici” mentre 20 concessioni, in pratica una su cinque, vengono revocate.

Sarà possibile sganciarsi efficientemente dal gas russo, se questi vincoli permangono? L’analisi delle riserve di gas naturale sul territorio italiano suggerirebbe maggiore cautela.

Secondo i dati del Ministero per la Transizione Ecologica, infatti, le riserve di gas potenzialmente sfruttabili in Italia ammontano a circa 111.60 miliardi di standard metri cubi. Cosa significa questo in pratica? Il consumo medio annuo di gas per una famiglia italiana si aggira sui 950 metri cubi all’anno. Considerando una città di medie dimensioni, ad es. Catania (118.596 famiglie, secondo il dato del 2020), ciò vuol dire un consumo totale annuo di 950 x 118.596 = 112.666.200 metri cubi/anno.

Qual è il potenziale italiano?

Dunque, i 111,60 miliardi di metri cubi di riserve sarebbero sufficienti a soddisfare il fabbisogno di gas delle famiglie di Catania per circa 111.588/112,66 = 990 anni. Oppure il che è equivalente: per le famiglie di 990 città di dimensioni simili a quelle di Catania, nell’arco di un anno.

Oltre a ciò, va poi considerato che l’utilizzo di canali di approvvigionamento del gas alternativi alla Russia avrà dei costi verosimilmente molto più alti di quelli attuali.

In tal senso, sembra che i bombardamenti di Putin ci abbiano finalmente svegliato dal letargo, smascherando una politica energetica europea che ha molte lacune e che quindi fluttua a seconda delle vicende geopolitiche internazionali. Per porvi rimedio, forse è il momento che il dibattito energetico esca da questa fase ideologica, quasi adolescenziale e fatta di slogan e di tabù, così da poter effettuare un’analisi costi-benefici serena delle alternative percorribili e a valle intraprendere delle azioni efficaci.


Emiliano Valerio Morgia si occupa di gestione dell’energia come ingegnere ambientale presso Saipem S.p.A.


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Foto: Unsplash


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