16 Aprile 2022

Quanto costa staccarsi dal gas russo?

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Il governo manca di una strategia unitaria in campo energetico e di un’attenta valutazione delle ricadute economiche di una decisione unilaterale di rottura dei contratti con la Russia. Scarsi i risultati delle azioni diplomatiche intraprese sinora, poco da attendersi da quelle in programma. L’unica vera opzione è riaprire i giacimenti di gas.

La crisi russo-ucraina ha amplificato la percezione della nostra fragilità legata alla dipendenza energetica dall’estero ed in particolare dalla Russia. Si tratta del risultato di una serie di decisioni storiche prese nel corso dei passati decenni che, oggi, mostrano aspetti di fragilità con cui bisogna fare i conti per tentare di porvi rimedio.

Fortunatamente, il Paese dispone di risorse nazionali e di un sistema tecnologico sviluppato che consentono di affrontare il problema energetico cercando soluzioni equilibrate nel medio lungo termine. Si è così avviata una ricerca di soluzioni che ci consentano cambiare il mix dell’approvvigionamento nazionale, così come stanno facendo altri paesi europei.

La Germania, non disponendo di produzione di gas nazionale (ha molto carbone) né avendo un’azienda come l’Eni con una storia ed una presenza attiva presso i vari paesi produttori di idrocarburi nel mondo, si è mossa subito con azioni commerciali mirate all’acquisto di GNL dal Qatar.

L’interruzione delle forniture russe non pare al momento all’orizzonte

L’Italia sta muovendosi su diversi fronti sviluppando possibili alternative cercando di aumentare i volumi di gas che già da tempo ci arrivano attraverso storici gasdotti da Algeria e Libia e più di recente dall’Azerbaijan (TAP), rafforzando la capacità di ricevere e rigassificare il GNL in modo da poterlo importare da vari paesi e, soprattutto, mettere nuovamente in moto la produzione del gas naturale, drasticamente ridotta nell’ultimo decennio.

La crisi potrebbe assumere carattere di vera e propria emergenza nel caso di interruzione del flusso di approvvigionamento da parte della Russia. Questo creerebbe la necessità di dover ricorrere ad approvvigionamenti di gas decisamente più costosi, ma anche all’attivazione di produzioni di energia elettrica alternativa massimizzando l’attività delle centrali a carbone esistenti. Ad oggi questo non sembra essere il caso. La Russia non solo sta continuando a fornire i volumi contrattuali, ma ha anche aumentato i flussi di gas verso l’Europa.

Potremmo, tuttavia, dover prendere in considerazione la possibilità di diminuzione o interruzione dell’approvvigionamento del gas russo per una decisione politica unilaterale condivisa in sede europea. La Germania ha già informato che una simile decisione sarebbe insostenibile per l’economia tedesca.

L’Italia non sembra ancora disporre di un’attenta valutazione delle ricadute economiche di una decisione unilaterale di rottura dei contratti con la Russia.

Take or pay: il rischio del doppio fardello

Prima ancora di esaminare in dettaglio le alternative da ricercare ed il loro costo, occorre valutare attentamente il peso e gli effetti derivanti dalle clausole di “take or pay” che caratterizzano il contratto del gas russo. Sulla base di queste clausole, se il compratore non dovesse ritirare i volumi di gas previsti contrattualmente, avrebbe comunque l’obbligo di pagarli al prezzo contrattuale.

Il che vuol dire che sui consumatori italiani verrebbe a gravare non solo il costo del gas alternativo ma anche quello dei volumi non più ritirati dalla Russia. Ci potremmo trovare, in parallelo con la Germania, in una situazione assolutamente insostenibile per l’economia e per le famiglie italiane.

Le azioni intraprese dal governo nelle ultime settimane, sembrano suggerire che l’Italia stia sviluppando un esercizio per dimostrare a sé stessa ed ai propri partner che, dopo aver esplorato tutte le alternative praticabili, saremo costretti almeno per un altro decennio ancora a far uso del gas russo.

Abbiamo visto l’incontro con l’Algeria, un paese amico cui siamo storicamente legati. Abbiamo visto la volontà italiana di investire nel paese su diversi fronti, ma non abbiamo registrato alcuna dichiarazione formale che impegni le autorità algerine a fornirci volumi aggiuntivi di gas in tempi definiti ed a prezzi in linea con quelli attuali. Forse se l’Eni parteciperà a nuovi investimenti per lo sviluppo di campi a gas, una parte del nuovo gas potrà essere immesso nel gasdotto che lo esporta verso la Sicilia. I tempi saranno medio lunghi, ma non certi.

Algeria, Angola, Mozambico, Congo: nulla di sconvolgente

Non possiamo aspettarci nulla di diverso nei prossimi incontri programmati.

In Angola non ci sono giacimenti di gas. Esiste solo il gas associato ai campi petroliferi (di pessima qualità) che viene inviato ad un impianto di liquefazione di proprietà di una Joint Venture di 5 partners e di cui l’Eni possiede solo il 13,6%. Il GNL viene commercializzato con tender internazionali normalmente vinti da compratori asiatici, che pagano il prezzo più alto. Sicuramente l’Italia sarà accolta amichevolmente, ma certamente non potrà ricevere garanzie di forniture di gas.

In Mozambico, si ripeterà una storia simile. L’impianto di liquefazione che dovrebbe sfruttare il grande giacimento scoperto da Eni è gestito dalla Exxon (nuovo partner di Eni), ma i lavori non stanno procedendo come previsto, per ragioni economiche. Un giacimento più piccolo dell’Eni, che alimenterà un impianto di liquefazione galleggiante, comincerà a produrre GNL a fine anno, ma tutto il gas è già stato venduto da Eni alla BP.  Con il mercato indiano sull’altro lato dell’oceano Indiano, sarà difficile che i volumi di GNL del Mozambico vengano inviati verso il Mediterraneo. Bisognerebbe pagare prezzi astronomici.

Rimane il Congo, dove però i dati disponibili presso le varie fonti internazionali non mostrano l’esistenza di riserve certificate che possano garantire una produzione importante e duratura nel tempo e men che mai esportazioni di un certo rilievo verso l’Italia.

L’unica vera opzione rimane quella di riaprire i giacimenti di gas produttivi nel territorio nazionale superando i vincoli regolamentari che sono stati imposti nell’ultimo decennio e che hanno praticamente ridotto drasticamente la produzione di gas.

Soprattutto, nelle aree in cui l’attività è stata ripresa dalla Croazia, che si accinge ad impadronirsi delle preziose riserve energetiche dell’Adriatico. Non possiamo e non dobbiamo dimenticare che agli inizi degli anni 2000 la produzione nazionale di gas era di oltre 21 miliardi di metri cubi all’anno.

L’unica vera opzione è riaprire i giacimenti di gas

La coincidenza temporale fra l’aggravarsi della crisi ucraina e l’approvazione ed ufficializzazione del PiTESAI (Piano della Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee), che conferma e rafforza tutti i vincoli verso la ricerca e produzione di idrocarburi in Italia, la dice lunga sulla mancanza di una strategia unitaria del governo in campo energetico.

Se dobbiamo far fronte a delle emergenze energetiche nazionali dovremo avere la forza di affrontare una battaglia culturale e sociale per superare i contrasti del passato. D’altronde, la stessa battaglia andrà fatta anche per l’installazione dei rigassificatori e per qualunque altra infrastruttura energetica. Tanto vale farla per la madre di tutte le battaglie.

Per affrontare una crisi che potrebbe diventare drammatica, non possiamo rinunciare all’imponente patrimonio energetico nazionale ed essere obbligati a rivolgerci a paesi che hanno ruoli secondari nel panorama energetico mondiale e non potranno fornirci sicurezze per il futuro.

Il gas nazionale è quello a più basso costo rispetto a qualunque altra alternativa, senza contare le positive ricadute sul sistema delle imprese italiane coinvolte nella ricerca e produzione. Il GNL, dobbiamo averlo chiaro, è il più costoso ed il più soggetto alla competizione internazionale, per cui sia il prezzo sia la disponibilità potrebbero essere poco affidabili.

Occorre avere la piena consapevolezza che l’utilizzo di canali alternativi di approvvigionamento al gas russo, a parte la produzione nazionale, avverrà a costi più molto alti di quelli attuali con ricadute negative sul sistema delle imprese e delle famiglie italiane.

Il sistema istituzionale italiano richiede una profonda revisione per essere messo in grado di governare l’energia. Troppe crisi del sistema energetico non vengono affrontate e galleggiano in balia delle vicende internazionali facendoci pagare costi altissimi. Forse è giunto il momento di una seria riflessione e di azioni efficaci per garantire l’approvvigionamento energetico del paese.


Salvatore Carollo è Oil and Energy Analyst and Trader


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Foto: Unsplash

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