19 Aprile 2022

Rinnovabili e sicurezza energetica

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Rinnovabili e sicurezza sono un classico esempio win-win: vince l’ambiente, che vede ridurre le emissioni serra, e vince il posizionamento strategico di un Paese, che vede ridursi la dipendenza ed aumentare la diversificazione delle fonti energetiche, e quindi la propria sicurezza.

Per chi si occupa per professione di energia, ed in particolare di fonti rinnovabili, la cosa è sempre stata decisamente ovvia: desta quindi abbastanza stupore come oggi il dibattito pubblico finalmente si accorga del tema della sicurezza e dell’indipendenza energetica, della diversificazione delle fonti di approvvigionamento, etc. Nei nostri corsi in Università da anni spieghiamo agli studenti la differenza tra sistemi centralizzati e decentralizzati, e come le rinnovabili – per loro natura distribuite sul territorio – siano un elemento di diversificazione che contribuisce alla sicurezza energetica.

Le rinnovabili aiutano a stabilizzare e calmierare le bollette dei consumatori, siano questi produttori di calore tramite una caldaia a biomassa o prosumers: chi oggi consuma la propria energia elettrica prodotta attraverso un tetto fotovoltaico, e magari attraverso una pompa di calore riscalda e raffredda la propria abitazione (che speriamo sia ben coibentata ed efficiente, da un punto di vista energetico), sa bene quale sia il vantaggio economico, in un momento di enorme tensione sui prezzi.

L’ambiente domina la comunicazione sulle rinnovabili oscurando quello non meno importante della sicurezza

Gli interventi di supporto che lo Stato attua tramite strumenti quali il credito di imposta per l’efficientamento energetico degli edifici e per l’introduzione delle fonti rinnovabili e dei sistemi innovativi, in fondo contribuiscono anche alla sicurezza energetica, oltre che ad aiutare la bolletta del Paese nel medio e lungo termine. Ma non si osserva una analoga comunicazione su questo tema (a differenza di quello ambientale), dove ciascun singolo cittadino può fattivamente contribuire al bene comune, sia nel breve che nel medio-lungo termine. Il driver è però sempre l’ambiente, nel dibattito.

Rinnovabili e sicurezza sono un classico esempio win-win: vince l’ambiente, che vede ridurre le emissioni serra, e vince il posizionamento strategico di un Paese, che vede ridursi la dipendenza ed aumentare la diversificazione delle fonti energetiche, e quindi la propria sicurezza.

Eppure, questo non è stato un elemento su cui nei decenni passati si è posta sufficiente enfasi. Ripercorrendo alcune tra le principali direttive Europee in materia di rinnovabili e riduzione di CO2, notiamo come il termine “sicurezza” appaia molto nelle premesse ma ben poco negli articoli delle stesse, o addirittura sia del tutto assente.

Direttiva / ComunicazioneNumero di citazioni del termine “sicurezza”Note
Direttiva 2003/30/CE (promozione dell’uso di biocarburanti)5Nelle premesse: 3 citazioni, sicurezza degli approvvigionamenti energetici (rif a Libro Verde «Verso una strategia europea di sicurezza dell’approvvigionamento energetico»)
Negli articoli: 2 citazioni, ad art 1 e 3
Direttiva 2003/87/CE (ETS)0
Direttiva 2009/28/CE (RED)18Nelle premesse: 5 citazioni a proposito di sicurezza energetica; 3 circa la sicurezza della rete; 1 non rilevante ai fini del lavoro
Negli articoli: 3 per sicurezza della rete; 1 biosicurezza (non rilevante ai fini energetici); 1 sicurezza alimentare (non rilevante); 1 sicurezza degli approvvigionamenti (biofuel); 3 esercizio pompe di calore e impianti solari (ma su questione non rilevante per sicurezza energetica)
Direttiva 2009/30/CE (FQD)2Nelle premesse: 0 volte
Negli articoli: 1 biosicurezza (non rilevante), 1 a proposito della sicurezza degli investimenti (non rilevante)
Direttiva 2015/1513 (ILUC)5Nelle premesse: 5 a proposito di Food Security
Negli articoli: 0
Direttiva 2018/2001 (REDII)5Nelle premesse: 4 a proposito di Energy Security
Negli articoli: 2 energy/electricity security, 1 food security
Direttiva 2018/410 (ETS)11 sola citazione, non rilevante (riferita a sicurezza sistema ETS)
Direttiva 2018/849 (Circ.Econ. Package)33 volte, in generale riferite ad accesso a risorse come elemento di sicurezza + 1 volta nell’annesso come Key Action “Clean, affordable and secure energy”
2019, Green Deal6Non pienamente rilevanti (food security, biosecurity, raw materials)
2021, FitFor5511 volta, riferita Food Security
2021, pacchetto FitFor55varieReFuelEU Aviation – 9 volte
Alternative Fuel Instructure – 6 volte
Energy Tax Directive – 10 volte, prevalente su altri temi, non rilevante
Revision of the EU ETS for aviation – 3 volte, nessuna rilevante
Revision of the EU ETS for aviation (Annex) – 3 sole volte rilevante per energy security
Market stability reserve – 0 volte

Quanto sopra non è certo un quadro esaltante: una maggiore incisività sull’argomento “sicurezza energetica” avrebbe sicuramente promosso una altrettanto maggiore consapevolezza delle implicazioni anche per cittadini ed imprese. Difficile pretendere attenzione sul tema se il primo a porre scarsa enfasi nella comunicazione è lo stesso legislatore Europeo (e nonostante dal 2014 l’Unione Europea avesse promosso l’Energy Union con l’obiettivo di raggiungere la sicurezza energetica sostenibile dell’Europa).

Analogamente, i supporter delle fonti rinnovabili avrebbero potuto utilizzare maggiormente questo elemento nelle loro campagne di sensibilizzazione, che invece tendono a focalizzarsi solo sulla necessità di abbattere le emissioni serra, pur essendo questa certamente una priorità non più rimandabile.

Il differente approccio di Stati Uniti e India

Per confronto con l’Europa, il dispositivo di legge che negli Stati Uniti dal 2007 copre il tema dei biocombustibili per trasporti si chiama “Energy Independence and Security Act (EISA)”. Sin dal titolo stesso gli USA pongono l’attenzione sul tema, pur essendo un atto che nel merito tratta di rinnovabili. Il termine “security” compare 98 volte, nella declinazione stessa del Titolo I e del Titolo II, ed è presente (a vario titolo) in ben 49 pagine.

La stessa India, un grande continente con enormi potenzialità in termini sia di risorse che di tecnologie di conversione ed imprese attive nel settore, ha posto grande attenzione sui carburanti rinnovabili come elementi di indipendenza energetica e risparmio sui costi associati all’import di fossili, e quindi sul bilancio del Paese. Non a caso, pur in presenza di uno specifico Ministero per le Fonti Rinnovabili la gestione dei combustibili alternativi ricade sotto il Ministero del Petrolio e del Gas Naturale.

Come affermato dal premio Nobel Stiglitz nella primavera del 2020 a proposito del post pandemia, i diversi Paesi si dovrebbero concentrare su filiere domestiche in ambito food e energia: questa riflessione aveva la sua logica in ottica recovery (come già scrivemmo allora), reinvestendo nell’economia locale le risorse economiche. Nella situazione attuale anche la diversificazione delle fonti assume analoga importanza, sia in ambito fossile che rinnovabile.

La crisi costringerà i Paesi a rendersi meno vulnerabili attraverso filiere più corte e una maggiore enfasi sull’autosufficienza alimentare ed energetica – Joseph Stiglitz

Possiamo certamente osservare come, al di là del contesto tecnico, vi sia stata in Europa ed in Italia una mancanza di comunicazione e di dibattito sul valore della diversificazione degli approvvigionamenti, della sicurezza energetica, in particolare in riferimento alla introduzione delle fonti rinnovabili di energia in tutte le loro varie forme.

“Comunicare” la sicurezza e la diversificazione non significa promuovere autarchia energetica, ma valorizzare anche questi argomenti tipici delle soluzioni decentralizzate. Il tema avrebbe meritato la stessa attenzione che ha avuto l’ambiente: chi se ne è fatto carico, ad oggi? Quale avrebbe dovuto essere il ruolo degli attori istituzionali, delle imprese, delle associazioni di categoria in questo ambito, anche in relazione alla politica economica, alla salvaguardia dell’occupazione e dei redditi?

Dato che si trattava di argomenti ampiamente noti, è dunque il caso di chiedersi se i policy makers abbiano correttamente operato negli anni passati. È di questi giorni il dibattito sui media, sia italiani che esteri, sulle politiche della Cancelliera Merkel e del suo Gabinetto nel corso del lungo periodo alla guida della economia più importante d’Europa, e dell’impatto sulle politiche europee, con alcune scelte oggi profondamente riviste (il caso del Nord Stream 2 tra tutti). L’analisi in corso è quanto mai opportuna, pur se tardiva, perché capire le conseguenze delle scelte passate consente di meglio indirizzare le politiche future.

Proprio alla luce di questo elemento è giusto porre la domanda se, e sino a che punto ed in quali situazioni, abbia senso investire in nuove infrastrutture per distribuire vettori fossili, a fronte (almeno in parte) di investimenti in opzioni alternative.

Prendiamo ad esempio il caso del gasdotto TAP, con i suoi tempi e costi: l’iniziativa è partita nel 2003 con la fattibilità, la costruzione è iniziata nel 2016 e si è conclusa nel 2020, dopo aver realizzato 878 km di cui 105 km offshore. Sono quasi venti anni il periodo intercorso tra fattibilità ed inizio dell’operatività dell’opera, con circa 4 miliardi di euro di investimento per collegare Grecia ed Italia, e circa 400 milioni di euro di lavori interni, per una capacità di circa 10 miliardi di m3 di metano, incrementabili sino a 20 miliardi di m3. Un’opera che adesso ci consente di negoziare con l’Azerbaijan l’aumento di forniture, e quindi strategica, ma che necessariamente si è svolta su tempi lunghi.

Valorizzare esistente, senza vincolare le opportunità future

È quindi strategico valorizzare al massimo le infrastrutture realizzate, al fine di diversificare gli approvvigionamenti, ed in questo senso la realizzazione in tempi relativamente brevi di stazioni di rigassificazione può avere una sua logica: ma è anche legittimo domandarsi se e quanto sia profittevole concepire il progetto di una nuova infrastruttura oggi, nel 2022, un’opera i cui tempi di ammortamento si misureranno in decenni.

Si tratta di un arco di tempo in cui il nostro sistema energetico subirà profondissime trasformazioni, come sta già avvenendo, transitando alle fonti sostenibili, e con il mondo finanziario ha ormai spostato l’asse degli investimenti alle nuove tecnologie sostenibili e rinnovabili.

Quanto da fonti rinnovabili potremmo mettere a terra nella metà del tempo in cui il TAP è diventato operativo e con quella dimensione di investimento? Quali ricadute interne, in termini di PIL, occupazione, investimenti interni, vedremmo sul sistema Paese/EU, e che non avverrebbero nel caso di una infrastruttura destinata a trasportare vettori energetici da altri Paesi produttori? Ed una volta costruita e realizzata l’infrastruttura, sarà questa in grado di rimanere profittevole nei decenni futuri, vista la profonda mutazione del sistema energetico globale?

Piuttosto è da non trascurare la dimensione internazionale delle rinnovabili, la potenzialità che queste offrono di creare un ponte con le aree più critiche del Pianeta, dove abbondano risorse, e dove la valorizzazione sostenibile di queste può essere motore di sviluppo, accompagnando le azioni emergenziali e di diversificazione sulle fonti fossili.

Queste considerazioni ci portano a concludere con le stesse parole del film Interstellar, quando Michael Cain dice “Noi dobbiamo pensare come specie e non come individui”. È necessario mettere in atto tutte le strategie possibili per il bene comune, sia interne (Italia, EU) che esterne (cooperazione). È necessario ed urgente per il clima, per l’ambiente, e per l’economia.


David Chiaramonti, Politecnico di Torino e Consorzio di ricerca RE-CORD


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Foto: Unsplash

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