Gas, petrolio, carbone. La scelta di porre l’embargo è politicamente chiara, ma chiare devono anche essere le sue implicazioni nei confronti dei cittadini per poi fidarsi del loro senso di responsabilità già mostrato durante la pandemia.
Nel gran bailamme quotidiano che si solleva su ogni evento, voce, proposta sull’energia è quasi impossibile capire come stiano effettivamente le cose, come potrebbero evolvere in meglio o in peggio, quali siano i rischi che corriamo.
Mentre da più parti si invocano a gran voce embarghi verso il gas, il carbone, il petrolio importati dalla Russia, quasi che il non volerlo significhi stare dalla parte di Putin, nulla si dice sulla loro effettiva praticabilità e possibili conseguenze.
Dire come stanno le cose è, o meglio dovrebbe, essere il criterio da seguire
Dire come stanno le cose, avendone contezza, dovrebbe invece essere il criterio da seguire, per non alimentare ingiustificate illusioni o timori. Ma chi meno ne sa più pontifica in questa direzione.
I quotidiani del 1° maggio hanno informato a grandi lettere sull’intenzione della Commissione di Bruxelles di decretare un embargo “graduale” sulle importazioni europee di petrolio e suoi derivati dalla Russia entro fine anno.
La domanda è molto semplice: esistono sul mercato alternative con cui rimpiazzarle? O siamo disposti a ridurne in egual misura l’impiego rinunciando ad esempio all’uso dell’auto?
Da inizio guerra, l’import di greggio e prodotti raffinati dalla Russia resta invariato su livelli molto elevati
Nel mese di aprile le importazioni europee di petrolio greggio russo sono ammontate a 1,5 mil. bbl/g e a quelle di prodotti raffinati a 1,4 mil. bbl/g, identiche a quelle precedenti il 24 febbraio, data d’inizio della guerra.
Secondo il Petroleum Intelligence Weekly, il settimanale al mondo più informato in materia, le possibilità di rimpiazzarle sono alquanto ridotte specie per i prodotti petroliferi, a partire dal gasolio che già scarseggia sui mercati internazionali (molto veniva dalla Russia) con prezzi che hanno superato quelli della benzina.
Conclusione: le cose stanno diversamente da ciò che narrano i fautori dell’embargo.
Gas: è possibile ignorare la clausola ‘take-or-pay’ o ci troveremo a pagare più del doppio?
Lo stesso può dirsi per quanto riguarda il gas con la ‘diplomazia metanifera’: la fitta rete di incontri del nostro Governo con gli altri paesi esportatori per acquisirne quantità addizionali per sostituire quello russo. Rassicurazioni a mio avviso ingiustificate.
Mettere sullo stesso piano rifornimenti alternativi da Congo, Angola, Algeria, Qatar, Azerbaijan, Egitto, Mozambico è del tutto errato perché dal Congo o dall’Angola potrà arrivare metano solo nel giro di diversi anni, mentre dall’Algeria ci si riuscirà in tempi minori per quantitativi però di molto inferiori a quelle che si riportano.
Conclusione: l’aritmetica del ‘nuovo gas’ è priva di senso anche perché resta ignoto il dilemma se esso potrà effettivamente sostituire quello russo, stanti gli impegni contrattuali che impongono di ritirarlo o pagarlo. Dilemma che, una volta per tutte, dovrebbe essere risolto da Eni.
Questa incertezza aumenta per la confusione alimentata dalla Commissione europea su quali siano le modalità di pagamento del gas russo compatibili con le sanzioni economiche nella diversità tra i paesi disposti a pagarlo in rubli, quelli che hanno adottato le procedure indicate dalla Russia, quelli che si rifiutano di farlo.
Come Polonia e Bulgaria, che il 27 aprile hanno visto l’improvvisa interruzione delle forniture da parte di Gazprom. Una mossa di Putin che segna un salto di qualità nella ‘militarizzazione’ delle sue risorse energetiche contro l’Occidente.
Price cap: perché i paesi esportatori dovrebbero fare sconti all’Europa?
Non minor confusione vi è riguardo l’oscura telenovela sulla fissazione di un ‘tetto’ ai prezzi di mercato del gas, quelli spot, che molti paesi europei vorrebbero introdurre, senza considerare l’indisponibilità dei fornitori ad accettarlo. Perché mai l’Algeria, il Qatar, l’Azerbaijan dovrebbero beneficiarci di minori prezzi a loro discapito?
Il punto dirimente è che se, malauguratamente, dovesse venir interamente meno il gas russo al nostro paese (per nostro embargo o decisione di Mosca) non vi sarebbero possibilità, checché se ne dica, di sostituirlo se non marginalmente.
Dovesse accadere, si dovrebbe procedere inevitabilmente al suo razionamento. Quanto di più impopolare possa esservi. Lo si dovrebbe fare in base ad un Piano che dubito sia stato predisposto per l’estrema difficoltà anche politica ad elaborarlo dovendo indicare gli specifici settori e singoli usi da privilegiare e quali penalizzare.
Italia: esiste un piano di razionamento?
In assenza di questo Piano, mi risulta difficile comprendere come la Banca d’Italia possa ritenere che una totale assenza del gas russo possa causare solo una “recessione moderata” (dopo il calo dello 0,2% registrato nel I trimestre dell’anno), diversamente da quanto ritiene la tedesca Bundesbank che stima in un 5% la perdita di prodotto interno loro del paese derivante da un embargo totale del gas russo.
Anche nel nostro paese, la perdita di PIL dipenderà soprattutto dalla riduzione degli impieghi di gas nell’industria e nell’elettricità destinata all’industria. Tanto più essi rimarranno inalterati tanto più si dovranno tagliare le forniture alle famiglie in vista della stagione invernale.
Dovremmo a quel punto far conto sulle altre forniture, come detto solo marginalmente ampliabili, e sugli stoccaggi di cui potremo disporre (con un tasso di riempimento aggi del 36%). In mancanza del gas russo, esauriremmo gli stoccaggi in circa cinque mesi.
Da agosto stop al carbone russo
Al possibile embargo del gas russo deve aggiungersi quello già decretato dalla Commissione europea il 5 aprile (a partire da agosto) nel 5° pacchetto di sanzioni per il carbone russo (terzo esportatore al mondo con 210 mil. tonn.).
Il carbone è la fonte di energia che ha registrato nel 2021 la maggior crescita (+9% a livello mondiale e +12% in Europa), alla faccia delle (false) promesse dei governi alla COP26 di Glasgow. Mentre i prezzi del carbone sono aumentati dai 100 doll/tonn. del benchmark australiano ai 280 dollari nello scorso ottobre sino ai 440 dollari successivi allo scoppio della guerra.
Fidarsi del senso di responsabilità degli italiani
La verità è, bisognerebbe capirlo una volta per tutte, che siamo prigionieri di Mosca non per un amaro destino ma per le specifiche scelte politiche che l’Europa ha consapevolmente fatto in passato e di cui oggi stiamo pagando le amare conseguenze.
Dire le cose come stanno o come potrebbero stare se si seguirà la via degli embarghi è in conclusione doveroso verso l’intera collettività che merita rispetto.
Il responsabile comportamento mostrato dagli italiani nella dura vicenda della pandemia ci rassicura sulla loro capacità di dare il contributo che eventualmente si richiederà come necessario, anche se con loro sacrificio.
Alberto Clô è direttore della rivista Energia e del blog RivistaEnergia.it
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