13 Maggio 2022

La retorica politica (USA) sui prezzi della benzina

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Invece di fare chiarezza, la retorica politica contribuisce a creare confusione, sia a destra che a sinistra. Proponiamo un commento sul contesto statunitense, senz’altro differente da quello europeo ed italiano, ma che riteniamo possa offrire qualche spunto di riflessione anche da questo lato dell’Atlantico.

Essere un economista energetico non è così affascinante come sembra. Come per qualsiasi altro lavoro, ci vogliono migliaia di ore per affinare le proprie capacità. Ore in cui ci si trova a ripetere fino allo sfinimento frasi come “i prezzi della benzina sono aumentati perché i prezzi mondiali del petrolio sono aumentati”. Difficilmente, invece, ti capiterà di dire il contrario: “i prezzi della benzina sono scesi perché i prezzi mondiali del petrolio sono diminuiti”, perché a nessuno interessano le dinamiche di mercato in quelle fasi.

Un’altra abilità da affinare è rispondere diplomaticamente alle persone che insistono sul fatto che i prezzi della benzina salgono sempre, ma non diminuiscono mai. Bisogna poi imparare a spiegare il ruolo dell’inflazione e la differenza tra produzione di petrolio e la raffinazione di prodotti come benzina e diesel. Uno sforzo apparentemente infinito.

Gli ultimi mesi hanno richiesto tutto il mio impegno in quanto politici e media sono ossessionati dalla necessità di “fare qualcosa” per contrastare gli alti prezzi della benzina.

Confusione a sinistra

A sinistra, i leader esprimono indignazione per il fatto che le compagnie petrolifere stanno facendo enormi profitti senza condividerli coi consumatori abbassando i prezzi del carburante. Come se fosse normale. Apple abbasserebbe il prezzo dei suoi iPhone perché ci fa troppi soldi? Facebook dimezzerebbe, diciamo, la vendita dei tuoi dati perché fa profitti con troppi zeri?

Alcuni sostengono che nel mercato petrolifero c’è bisogno di più concorrenza, ed hanno ragione. Il più grande venditore di petrolio del mondo, l’Arabia Saudita, contribuisce a mantenere i prezzi alti contenendo la sua produzione petrolifera. E noi rispondiamo chiudendo gli occhi sulle sue violazioni dei diritti umani e sugli omicidi voluti dal governo, così possiamo chiedere a questi “amici” di sopperire all’ammanco di petrolio causato dall’aver (finalmente) imposto sanzioni alla Russia. È come se per tappare un buco, ne facessimo uno più grande.

E invece, alcuni politici chiamano in causa i produttori di petrolio statunitensi. Questi gli spiegano che i prezzi sono fissati in un mercato del petrolio che è globale e in cui loro sono solo dei piccoli attori, per cui non possono farci granché. (“È un mercato globale” è un’altra di quelle frasi cui un economista dell’energia deve fare il callo). Proprio come per i proprietari di case in un mercato immobiliare alle stelle, gli enormi profitti sono dovuti alla fortuna, non alle azioni che hanno intrapreso.

Questo è ciò che gli AD dicono con mezza bocca, mentre con la restante dicono cose come produrre meno petrolio in California causa un aumento dei prezzi alla pompa. (Se non è chiaro perché sia una frase senza senso, si prega di rileggere il post dall’inizio).

Alcuni Democratici vagheggiano di tassare gli extra-profitti per cogliere la quota che Big Oil starebbe incassando e usarli per aiutare le famiglie più colpite dagli alti costi energetici e dall’inflazione. Si tratta di un’idea che fa venire la nausea alla maggior parte degli economisti energetici perché definire cosa sono gli extra-profitti è notoriamente difficile.  L’industria petrolifera sostiene che imporre nuove tasse sulla base dei profitti non farà che minare gli investimenti.

In prima battuta sembra ragionevole, ma proviamo a tornare con la memoria alla primavera del 2020, quando i vertici dell’industria sostenevano che bassi prezzi fossero indice del malfunzionamento del mercato ed avevano bisogno del supporto del governo, in tutti i modi: dal chiedere al Texas di coordinare tagli di produzione delle imprese (altrimenti detta “collusione”), a Trump di fare pressione sugli altri paesi produttori per ridurre la produzione (parimenti detta “collusione”), fino al ricevere miliardi di dollari in sussidi governativi. 

In quel momento, i capisaldi del capitalismo non sembravano così ‘saldi’ agli occhi dei vertici delle compagnie petrolifere americane. Forse un buon compromesso sarebbe pretendere che restituiscano quei sussidi, e allora potremmo tornare a parlare del loro altalenante credo in un governo dai poteri limitati.

Confusione a destra

La soluzione politica dei Conservatori è invece “drill, baby, drill”.  Se solo concedessimo più terra per le perforazioni, la benzina sarebbe più economica. L’unica verità in questa affermazione è che un aumento della produzione petrolifera degli Stati Uniti farebbe in un qualche modo calare i prezzi del petrolio greggio, come successo nell’ultimo decennio col fracking e la shale revolution.

Ma la produzione di greggio statunitense è comunque ancora più di 1 milione di barili al giorno al di sotto dei livelli pre-pandemia, nonostante il forte incentivo a perforare dato da prezzi del barile sui 100 dollari. A frenare oggi la ripresa della produzione è soprattutto la carenza di attrezzature e manodopera, non certo le restrizioni sulle licenze governative.

Concedere oggi maggiori licenze non darebbe inoltre i suoi frutti prima di diversi anni e sarebbe l’esatto opposto di una buona politica: non darebbe nessun vantaggio in tempi brevi mentre aumenterebbe l’offerta nel lungo periodo, quando invece dovremmo ridurre i nostri consumi di fonti fossili.

In conclusione, è frustrante quando una semplice analisi economica viene accantonata dalla retorica politica e dall’ideologia. Ma dal giorno in cui ti viene assegnato il titolo di economista energetico, il tuo compito è fare luce sui mercati energetici, indipendentemente dal fatto che funzionino bene o male. E ti tocca di continuare a il refrain: “i prezzi della benzina sono aumentati perché i prezzi mondiali del petrolio sono aumentati”.


Severin Borenstein è Professore della Graduate School nel Economic Analysis and Policy Group presso la Haas School of Business e Direttore della Facoltà dell’Energy Institute di Haas

La versione originale del post è consultabile sull’Energy Institute Blog che include alcuni passaggi sull’anomalia della California qui non riportati


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Foto: Max Pixel

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