12 Maggio 2022

La risalita del carbone, tra ripresa economica e guerra

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Dopo il 2020 dei lockdown era prevedibile attendersi un rimbalzo generalizzato dei consumi di tutte le principali commodity energetiche, incluso il carbone. Quel che, invece, non si poteva immaginare, né tanto meno quantificare, era la portata di tale rimbalzo e la sua durata, che, nell’attuale contesto di guerra, rischia di estendersi oltre le attese iniziali.

Dopo il calo del 2019 (-1,8%) amplificato nel 2020 (-4%, tasso mai così basso dalla Seconda Guerra Mondiale), nel 2021 la domanda di carbone cresce del 4,5%, riportandosi su livelli superiori al 2019 e ai massimi dal 2014.

Una perfomance sottostimata dalla stessa Agenzia per l’energia di Parigi, che l’anno scorso aveva previsto sì una ripresa della domanda, ma nell’ordine del 2,6%, per un volume quindi al di sotto dei valori pre-pandemia.

Andamento consumi di carbone a livello mondiale
Fonte: Elaborazioni Rie su dati IEA

Ripresa economica, anomalie climatiche, prezzi del gas hanno spinto la domanda di carbone nel 2021

A crescere sono tanto i consumi dell’industria, quanto quelli delle centrali elettriche. Complessivamente nel 2021, il parco elettrico mondiale ha prodotto a carbone circa 10.300 TWh, il massimo mai registrato (dati AIE), per un aumento del 9% sul 2020 (+4,7% sul 2019) e coprendo il 36% del mix elettrico mondiale.

Si tratta di una quota che stona con gli impegni di progressivo phase out dal carbone che gli Stati hanno preso durante la COP 26 di Glasgow e che risulta incompatibile con l’obiettivo di ridurlo all’8% entro il 2030 e ancor più col suo azzeramento al 2050, come auspicato dallo scenario più estremo dell’AIE (Net Zero Emissions), ma anche molto lontano dallo scenario inerziale (STEPS) che quantifica il peso del carbone nel mix elettrico rispettivamente al 26% al 2030 e al 13% al 2050.

Tre le ragioni principali di tale incremento:

1) La ripresa dell’economia con un PIL mondiale che, nel 2021, segna un +6%

2) Le anomalie climatiche, con un inverno più freddo del solito seguito da un’estate molto calda, che ha contribuito a sostenere la domanda elettrica (+6% sul 2020) con un ricorso al carbone che cresce più di ogni altra fonte (+9%, mentre il ricorso alle FER resta in linea col +6% del 2020 anch’esso per ragioni climatiche: scarse pioggie e debole ventosità in alcune regioni ).

Variazioni nella generazione elettrica mondiale per fonte
Fonte: elaborazioni Rie su dati IEA

3) Prezzi record del gas che hanno reso maggiormente conveniente la generazione a carbone. Se prendiamo a riferimento l’UE 27, dove nel 2021 i prezzi spot del gas sono più quadruplicati rispetto al 2020, produrre un MWh con gas è costato mediamente sui 112 euro a fronte dei circa 60-62 euro/MWh di lignite o hard coal (dati Ember).

Negli Stati Uniti mentre i prezzi del gas all’Henry Hub chiudono, in media annua, a 3,9 doll/Mbtu, più del doppio rispetto alla media 2020, quelli del carbone sono rimasti più stabili, muovendosi al rialzo ma all’interno di un range più ristretto, con una conseguente convenienza al suo utilizzo in fase di generazione. Il costo di produzione dell’elettricità da carbone, nel secondo semestre 2021, è aumentato di appena il 6% rispetto al pari periodo 2020, al contrario quello del gas è cresciuto di oltre il 90%.

…ma l’offerta non è stata altrettanto robusta

Ad una domanda in corsa, non ha corrisposto un’offerta altrettanto robusta: l’output carbonifero, infatti, è aumentato nell’intorno del 4%, meno rispetto al calo subito l’anno prima (quasi 5%) e meno, per l’appunto del +4,5% registrato dai consumi. Minore offerta che si è tradotta in un ricorso massiccio alle scorte e, quindi, in un inevitabile rialzo sui prezzi, cresciuti di quasi una volta e mezza in media annua sul pari periodo 2020.

Le ragioni di tale trend sono in parte di natura congiunturale, ma in parte anche ascrivibili a un trend strutturale di declino iniziato ormai da diversi anni e amplificatosi, poi, con la pandemia.

Tra le prime ragioni vi rientrano proteste e instabilità sociali, come quelle che hanno interessato l’area di Richards Bay in Sud Africa, e condizioni metereologiche avverse:

  • abbondanti piogge, come quelle abbattutesi nella provincia cinese di Shanxi;
  • un’intensa attività monsonica che ha colpito l’India (danneggiando siti produttivi e strade);
  • forti tempeste nel porto di Newcaste in Australia, inondazioni in Indonesia, nelle regioni di Kalimantan e Sumatra, tali da costringere i produttori a dichiarare lo stato di forza maggiore

Questi fenomeni hanno sottratto al mercato ingenti quantitativi di carbone, costrigendo gli operatori a ricorrere massicciamente alle scorte, peraltro nemmeno ben ricostituite. Molte miniere sono state costrette a limitare o fermare la produzione, il che ha portato le istituzioni a imporre razionamenti o peggio il blocco delle forniture elettriche.

Per far fronte alle criticità, l’intervento dei governi, specie di quelli in cui il settore è gestito da compagnie statali, è stato incisivo e ha spinto a potenziare al massimo la produzione, laddove possibile, e a ridurre le esportazioni a vantaggio dei consumi interni.

Declino dell’offerta: fattori congiunturali ma anche un trend strutturale

A disastri naturali così devastanti ed estesi geograficamente, si aggiunge una politica, ormai decennale, di scarsi investimenti nel settore, ridottisi di portata e concentrati prevalentemente nel potenziamento o riapertura di miniere già esistenti e molto meno nell’avvio di produzione da nuovi siti.

A disincentivare gli investimenti hanno concorso, in primis, politiche climatiche sempre più ambiziose in termini di obiettivi di riduzione delle emissioni in cui il peso del carbone, la più inquinante fra le fonti fossili, viene progressivamente ridotto fino al suo “teorico azzeramento”.

Misure che non riguardano solo l’Europa del Green Deal, ma un numero crescente di Stati. Il più significativo è la Cina, ancora oggi il principale consumatore di carbone, che a sorpresa annuncia il 22 settembre 2020 il target di zero emissioni al 2060 e un anno dopo, in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dichiara lo stop alla costruzione di centrali a carbone all’estero.

In secondo luogo, a frenare gli investimenti hanno contribuito:

  • difficoltà nel reperimento dei capitali, con sempre più istituti finanziari a livello globale che, pressati da un’opinione pubblica contraria, riducono o addirittura escludono ogni esposizione al carbone;
  • aumento dei costi, tanto della manodopera quanto di altri componenti (come diesel o prodotti legati all’acciaio funzionali all’attività estrattiva);
  • rialzo marcato dei noli anche a seguito delle misure restrittive di contenimento della pandemia che ha costretto alla chiusura diversi porti o all’allungamento dei tempi di caricamento/scaricamento;
  • attività di vendita del carbone sulla base di prezzi inferiori rispetto a quelli spot, che hanno disincentivato la stipula di nuovi contratti.
Offerta mondiale di carbone nel 2021 per regione
Fonte: elaborazioni Rie su dati IEA

Una performance di marcata crescita, quindi, quella del carbone, che delude le aspettative di chi pensava che, dopo la débâcle del 2019 e del 2020, per questa fonte fosse già stato raggiunto il picco di consumo e che per gli anni a seguire non potesse che consolidarsi un pattern di decrescita.

Invece, non solo il carbone è cresciuto, ma un suo maggiore utilizzo ha contribuito a un rimbalzo veloce delle emissioni di CO2, che segnano + 6% sul 2020, attestandosi a 36,3 Gt, il valore più alto di sempre. Le emissioni da carbone, infatti, crescono più delle altre fonti e raggiungono il record assoluto di emissioni prodotte (15,3 Gt), superando il precedente picco del 2014. In pratica è come se si fossero fatti tanti passi indietro fino ad arrivare a un livello antecedente allo storico accordo di Parigi.

Le emissioni da carbone hanno superato quelle del 2014, anno precedente l’Accordo di Parigi

E quel che peggio è che, a fronte della guerra in corso in Ucraina e delle conseguenti misure prese per ridurre la dipendenza dal gas russo, negli ultimi mesi i consumi di carbone sono continuati ad aumentare.

A marzo i cinque principali Stati europei – Italia, Germania, Paesi Bassi, Francia e Spagna, hanno visto cumulativamente crescere l’output elettrico prodotto da carbone di quasi il 60% sul pari mese del 2021. Trend di crescita che si conferma anche ad aprile: +27% a fronte, invece, di un calo del gas del 14%.

Una domanda in crescita che però mal si concilia con il 5° pacchetto di sanzioni approvato dal Consiglio Europeo l’8 aprile scorso e che prevede, a partire da agosto 2022, lo stop alle importazioni di carbone e di altri combustibili solidi dalla Russia, che da sola copre circa metà dell’import di questi prodotti dell’EU 27 (70% se ci riferiamo solo al carbone termico che serve per la generazione elettrica), per un valore stimato di 4 mld di euro all’anno.

Un ammanco di carbone che, secondo alcuni analisti, non dovrebbe comportare gravi difficoltà di reperimento alternativo, a differenza di gas e petrolio, ma che nondimeno rischia di causare un nuovo e inevitabile rally dei prezzi.


Agata Gugliotta è analista di politiche energetiche, collabora con Rie-Ricerche Industriali ed Energetiche

Il post riprende contenuti sviluppati nell’articolo Carbone: nel 2021 crescita oltre ogni attesa, pubblicato sulla Newsletter del GME di aprile 2022


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Foto: Unsplash

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