Niente gasdotti e poco GNL, in caso di interruzione «secca» delle forniture all’Europa, il gas dalla Siberia occidentale non verrebbe dirottato verso l’Asia, ma resterebbe «tappato» nei giacimenti con conseguente deterioramento degli impianti di estrazione. Mosca non ha il coltello dalla parte del manico.
[prima parte: l’Europa e gli Stati membri]
[seconda parte: focus gasdotti]
[terza parte: focus GNL]
Per quanto riguarda i gasdotti esistenti e l’orizzonte ragionevole degli aumenti di capacità e dei nuovi cantieri, la Cina non è minimamente in grado ad oggi di porsi in competizione per i volumi europei e non lo sarà in buona sostanza fin oltre il 2025.
Mentre finché la morsa delle sanzioni rimarrà così stretta, anche a livello di nuova capacità GNL si muoverà davvero poco. La tecnologia cinese o altrui non è in grado di rimpiazzare in tempi utili quella occidentale: per quest’anno e gran parte del prossimo non dovrebbe essere dirottato verso l’Asia più di una ventina di miliardi di metri cubi – sempre ammesso che si trovino i noli delle necessarie navi gasiere e i premi assicurativi non stritolino i contraenti.
Davvero Mosca tiene il coltello dalla parte del manico?
Si tratta di quantità davvero scarse per continuare a indulgere nel luogo comune semplicistico secondo cui Mosca tiene il coltello dalla parte del manico. Per farla breve, se crollano i circa 200 mld mc che fluiscono e navigano annualmente verso l’Europa (per volontà nostra o meno) poco o nulla (circa una ventina per l’appunto) potrà andare in Cina in un orizzonte in cui il bilancio russo possa ragionevolmente tenersi in piedi senza gli introiti giornalieri dei fossili.
E gli impatti, non solo per noi, ma anche e forse ancor più il Cremlino sarebbero difficili da ripianare e decostruire in un futuro di ritrovata stabilità. Infatti, come abbiamo argomentato, in caso di un’interruzione «secca» delle forniture all’Europa i giacimenti nella Siberia occidentale correrebbero il rischio di venir «tappati» – una volta riempiti fino all’orlo gli stoccaggi domestici.
Lungi dal voler inoltrarci nelle complesse ragioni degli ingegneri, ciò si tradurrebbe in fretta in un deterioramento degli impianti di estrazione e in un aumento dei costi e del tempo necessario per farli ripartire. Qualcosa di simile già si vide con il forte calo dei consumi europei durante i primi lockdown nel 2020.
Sia Mosca che Bruxelles tengono il coltello dalla parte della lama: un eventuale “taglio” delle forniture ferirebbe entrambi, ma probabilmente di più Mosca
In tutto ciò andrebbe ricontestualizzato come un “ricatto monco” l’obbligo intimato da Putin di un “pagamento del gas in soli rubli”. L’obbligo era già andato declinandosi, nel corso di una telefonata chiarificatrice con Scholz, nella laboriosa apertura di doppi conti presso Gazprombank “senza tangibili effetti” sui contratti in essere. I pagamenti dal lato europeo continuano ad essere denominati in euro e Gazprombank – l’unica rimasta esente dalle sanzioni SWIFT, non a caso – provvede a convertire gli euro in rubli in un secondo momento.
Verso coloro che non vanno a sottostare a questo sotterfugio, nella fattispecie Varsavia e Sofia, il Cremlino ha dato ad oggi prova di intransigenza: nessuno dei due paesi, tuttavia, ritirava volumi così grandi da non poter essere prontamente ri-dirottati sempre in Europa (ce ne danno un indizio i transiti al confine slovacco, che sono rimbalzati poco dopo la cessazione del gas russo sui quattro entry points in Polonia).
Del resto, già durante l’inatteso incontro di persona con il cancelliere austriaco Nehammer, Putin avrebbe dichiarato (ma è emerso solo ad alcuni giorni di distanza) che “la Russia continuerà a fornire gas all’Europa” anche se i pagamenti per ottenerlo saranno denominati in euro.
Un’implorazione nascosta?
Più che di concessione magnanima potrebbe trattarsi di un’implorazione nascosta: nel quadro descritto, se la Commissione UE decidesse che è violazione delle sanzioni l’apertura dei doppi conti per la conversione in rubli (con cui – per ora con il suo nulla osta – Uniper e OMV tra le altre proseguono gli acquisti), in tanti anche a Mosca suderebbero molto freddo. La guerra sarà lunga e costosa e lo smalto dell’esercito russo è tutt’altro che brillante.
L’incertezza odierna resta senz’altro troppo elevata per poter cullarsi in rassicurazioni troppo estese. La natura stessa degli avvenimenti di quest’anno ce l’ha ricordato con drammatica brutalità.
Tuttavia, non può che venire alla mente una considerazione sulla sottovalutata vulnerabilità (estrema) del Cremlino quando si parla di “taglio dei flussi” di gas naturale: questa vulnerabilità andrebbe messa a frutto per quanto possibile, attraverso i canali diplomatici, nella difesa dell’alleato ucraino.
Michele Soldavini è analista dei mercati energetici presso FEDABO S.p.A.
Potrebbero interessarti anche:

Il miracolo della moltiplicazione dei gas, di Alberto Clò, 22 Aprile 2022

Quanto costa staccarsi dal gas russo?, di Salvatore Carollo, 16 Aprile 2022

Diplomazia energetica italiana/3: l’accordo UE-USA, le premesse, di Francesco Sassi, 14 Aprile 2022

Foto: Unsplash
Per aggiungere un commento all'articolo è necessaria la registrazione al sito.
0 Commenti
Nessun commento presente.
Login