6 Maggio 2022

Le leggi della stupidità umana e l’embargo del petrolio russo

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La proposta di embargo petrolifero della Commissione è stata accolta con entusiasmo dalla stampa, ma questa lettura è completamente fuori focus: la rottura dei ‘ponti energetici’ peggiorerà i conti economici ed energetici in UE, mentre avrà effetti più attenuati su Mosca

La quasi totalità dei giornali di oggi, a iniziare da “La Stampa”, inneggia col ditino alzato a ‘tagliare i ponti energetici’ con la Russia per ‘toglierle ossigeno economico’ accelerando ‘la transizioni alle rinnovabili’ (cinesi). Quel che si otterrebbe, a dir loro, con l’approvazione del 6° pacchetto di sanzioni dell’Unione Europea che dovrebbe prevedere entro fine anno il totale embargo verso il petrolio russo (con l’eccezione di taluni paesi minori).

Ciò che più mi irrita è che questi ‘inneggiatori’ nulla sappiano di petrolio e delle conseguenze che dovremmo patire; nulla abbiano fatto o detto in passato per evitare che diventassimo ostaggi del petrolio russo (magari opponendosi al referendum NO-Triv) e, cosa che più mi fa andare in bestia, che si azzardino a collocare tra i sostenitori di Putin chi oggi invita a riflettere sulle conseguenze di questa scelta. Ebbene, accertata la dominante ignoranza in materia, vale ripetersi.

L’embargo soffia sull’inflazione e ormai prossima stagflazione

Primo: la Russia è il primo fornitore di petrolio e derivati dell’intera Europa. Le sue esportazioni nel mese di aprile, quindi sino a pochi giorni fa, sono ammontate a 19 miliardi di dollari, di cui 6 incassati dall’Europa in cambio di 1,3 milioni barili al giorno di petrolio greggio e 1,3 milioni di barili al giorno di prodotti raffinati (in forte crescita rispetto all’anno scorso).

Di un prodotto in particolare l’Europa è acquirente: del gasolio diesel con una quota pari al 50% delle sue complessive disponibilità. Senza diesel e i blend dei prodotti raffinati da cui farlo derivare nelle nostre raffinerie vi è il concreto rischio di una sua scarsità, quel che è già dimostrato dal fatto che il suo prezzo alla pompa è ormai superiore a quello della benzina, quel che significa che, date le minori imposte, il prezzo industriale è molto più elevato. Morale: trovare sul mercato prodotti con cui sostituire quelli russi è praticamente impossibile.

I prezzi esploderanno mentre si dovrà gioco forza procedere ad una riduzione forzata dei consumi con devastante impatto sul trasporto merci, essenziale arteria dell’intera economia. Vi è da sperare che chi oggi inneggia a tagliare i ‘ponti energetici’ con Mosca tutto questo lo sappia, altrimenti sarebbe stato meglio il suo silenzio.

Si andrà verso una riduzione forzata dei consumi, con devastante impatto sul trasporto merci

Secondo: quanto al greggio in giro per il mondo non ve ne è per sostituire in tempi reali quello russo. La capacità produttiva disponibile è molto limitata, intorno ai 2,5 milioni di barili al giorno, contro gli oltre 5,0 esportati dalla Russia, per lo più localizzati in Arabia Saudita. Primo esportatore al mondo che ha espresso vicinanza politica a Putin con cui condivide la gestione del mercato petrolifero internazionale con l’alleanza con i paesi OPEC. Morale n. 2: scarseggerà il greggio e aumenteranno i suoi prezzi.

Forse i nostrani ‘inneggiatori’ non hanno prestato attenzione al fatto che all’annuncio il 3 maggio di Ursula von der Leyen dell’intenzione di porre l’embargo al petrolio russo i prezzi di mercato hanno segnato nel giro di un’ora un balzo del 5% portandosi a 110 dollari al barile. Altra benzina, è il caso di dire, sul fuoco dell’inflazione e dell’ormai prossima stagflazione.

Da ultimo, vale rammentare che ai danni che siamo disposti ad auto-affliggerci pur di colpire Mosca, questa non sopporterà altrettanti danni, come stoltamente sperato da Bruxelles.

Le esportazioni russe di greggio potranno, infatti, essere facilmente dirottate verso la Cina (che già importa via pipe 800 mila barili al giorno) e l’India (che ad aprile ha importato 650 mila barili al giorno contro gli appena 50 dello scorso anno) grazie anche ai consistenti sconti sui prezzi di mercato riconosciuti da Mosca (sino a 35 dollari al barile).

Difficile tracciare le esportazioni, che potranno anche essere dirottate in Cina e in India

Mentre la tracciabilità delle esportazioni sarà difficilissima da verificare per possibili travasi tra petroliere e, come accaduto nel Mar Baltico, con miscelazione del petrolio di altri paesi con quello della Russia, così da non risultare di sua provenienza.

Conclusione: la rottura dei famosi ‘ponti energetici’ peggiorerà i nostri conti economici ed energetici, mentre avrà effetti molto più attenuati su Mosca. Per capire il tutto vi è solo un modo: rileggersi le cinque leggi fondamentali della stupidità umana grandiosamente analizzate da Carlo Maria Cipolla.


Alberto Clô è direttore della rivista Energia e del blog RivistaEnergia.it


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Foto: Unsplash

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