Le cifre lo certificano oltre ogni ragionevole dubbio: la penetrazione delle rinnovabili in 30 anni è stata irrilevante; stiamo diventando una società più carbon intensive, non meno. Torniamo dunque con i piedi per terra e rimettiamo i fossili al centro del discorso energetico, volenti o nolenti sosterranno le nostre economie ancora per decenni a venire.
[Prima parte: pilastri e lacune della narrativa verde]
Sul piano economico, i costi delle rinnovabili elettriche sono diminuiti costantemente nell’ultimo decennio. Ciò ha fatto dichiarare a molti che presto il costo del megawattora rinnovabile sarebbe stato competitivo con quello fossile, e ciò avrebbe alimentato una rapida transizione energetica verde usando i rodati meccanismi di mercato.
Uno scenario idilliaco che non richiede alcuna azione politica o rottura con lo status quo, semplicemente lasciar lavorare liberamente scienza e mercato. Tale dinamica è identica all’ondata di euforia degli anni 50-60, quando il nucleare prometteva energia “troppo economica per essere misurata” per gli anni 2000.
Tuttavia, la scienza dietro il solare fotovoltaico (o a concentrazione, o termico), le batterie o i profili alari delle turbine eoliche, è nota da almeno un secolo. Miglioramenti in efficienza si ottengono regolarmente, piccoli e cumulativi anno dopo anno; ma non certo dell’ordine di grandezza richiesto per poter comparare ad esempio, la densità energetica delle migliori batterie attualmente in commercio (2,81 MJ/kg circa secondo Wikipedia) con quella, ad esempio, del cherosene (40 MJ/kg circa). Dovremmo ancora aspettare parecchio per veder elettrificata l’aviazione.
A cosa è dovuto il crollo dei costi delle rinnovabili elettriche?
Eppure, il costo livellato dell’elettricità (LCOE) per il solare è sceso dell’80%, da 40 centesimi per kWh nel 2010 a 7 centesimi nel 2019. I costi dell’eolico sono diminuiti del 40%, da 9 cent per kWh a 5 centesimi. Le batterie al litio hanno visto un calo del 97% in 30 anni.
Difficilmente tali numeri sono riconducibili esclusivamente all’efficientamento tecnologico o all’aumento della capacità cumulativa installata. E se i costi decrescenti di solare ed eolico, invece di essere spinti da reale innovazione tecnologica ed economie di scala, fossero dovuti semplicemente al basso costo del capitale, dovuto alle politiche monetarie adottate?
Di fatto, così come bassi tassi di interesse possono portare a investimenti sbagliati nel mondo finanziario, lo stesso può accadere col basso costo dell’energia, investendo in tecnologie energetiche non performanti. È un’ipotesi poco studiata e sicuramente da considerare, viste le possibili implicazioni.
“Tassi di interesse nulli e misure monetarie espansive guidano questa innaturale distorsione del mercato verso capitali a buon mercato, che pagheremo nei prossimi decenni. […] Prezzi dell’energia bassi e in calo hanno distorto e parzialmente nascosto i veri costi dell’eolico e del solare nell’ultimo decennio. […] Sorprendentemente, nessuno ha collegato il calo dei prezzi energetici e il capitale a basso costo con la proliferazione nell’ultimo decennio di progetti energivori e ad alta intensità di capitale, come la produzione di batterie eoliche, solari e agli ioni di litio” (The Distorsion of Cheap Energy, Goehring L.R. e A.A. Rozencwajg, 2022).
Sorprendentemente, nessuno ha collegato il calo dei prezzi energetici e il capitale a basso costo con la proliferazione nell’ultimo decennio di progetti energivori e ad alta intensità di capitale, come la produzione di batterie eoliche, solari e agli ioni di litio
La narrativa dei “modellisti energetici attivisti” si conclude col picco di domanda del petrolio. Libero mercato, nuovi modelli di business ed innovazione tecnologica porteranno a un picco di domanda di petrolio e carbone, quindi a una graduale riduzione delle emissioni di CO2 da qui al 2050.
Nel concreto, maggiori investimenti in solare ed eolico sostenuti da più gas naturale come “combustibile di transizione”, accoppiati ad elettrificazione massiccia, efficienza energetica e veicoli elettrici permetteranno ai governi mondiali di rispettare gli impegni climatici sottoscritti e permetteranno la realizzazione di “un’economia europea ricca, equa e a basse emissioni”.
Per mettere in prospettiva tale narrativa senza entrare in dettagli tecnici, basterà ricordare pochi semplici numeri. Dagli anni 90, decade nella quale con la Conferenza di Rio de Janeiro 1992 il Cambiamento Climatico è entrato ufficialmente nelle agende politiche internazionali, siamo passati globalmente da una dipendenza relativa dai combustibili fossili del 91%, all’89% del 2018 (nella misura di energia primaria consumata).
Di quel circa 10% non fossile, eolico e solare ne rappresentano più o meno il 4%; il resto viene da nucleare ed idroelettrico.
Nello stesso periodo, i consumi assoluti di carbone, petrolio e gas, e le emissioni di anidride carbonica relative, sono aumentate rispettivamente del 69%, 47%, 83% e 57%.
Tali cifre certificano oltre ogni ragionevole dubbio che, nonostante i proclami politici, i sussidi verdi e la performance economica di solare ed eolico, la penetrazione delle rinnovabili in 30 anni è stata irrilevante: stiamo diventando una società più carbon intensive, non meno.
Stiamo diventando una società più carbon intensive, non meno
Ancor peggio, al momento siamo in una delicata fase di sviluppo a livello globale dove circa quattro miliardi di persone, soprattutto nelle emergenti economie asiatiche (tra cui spicca l’India), hanno raggiunto un livello di reddito compreso tra 2.000$ e 20.000$ di PIL pro capite annuo. Tale reddito spinge in alto la domanda di combustibili fossili in maniera esponenziale.
Un maggior potere di acquisto implica una maggior domanda di trasporto (di persone e cose), una dieta più carnea, il consumo di più beni industriali e servizi; alimenta l’urbanizzazione e il desiderio di maggiori comfort nel settore residenziale. Torniamo dunque con i piedi per terra e rimettiamo i fossili al centro del discorso energetico, volenti o nolenti sosterranno le nostre economie ancora per decenni a venire.
Tirando le somme, data la crisi energetica che ha investito il mondo post pandemico e il massimo storico di emissioni del 2021 con 36,3 miliardi di tonnellate, l’unico risultato ottenuto finora dalla narrativa verde è stato minare le strutture energetiche fondamentali che sostengono le società moderne, tagliando capitale dal mercato ciclico dei combustibili fossili.
Le rinnovabili non sostituiscono i combustibili fossili, ma, anzi, è possibile installarle solo grazie ad essi
L’evidenza a nostra disposizione suggerisce che le rinnovabili non sostituiscono i combustibili fossili, ma che è possibile installarle grazie ad essi. Se così fosse, alti prezzi di petrolio e gas non stimolerebbero una transizione verde, ma anzi l’affosserebbero; e proprio i bassi prezzi dell’energia fossile dell’ultimo decennio, invece che ostacolare l’implementazione di una matrice energetica rinnovabile, l’avrebbero supportata, dal momento che le rinnovabili sono una diretta estensione, se non proprio un fardello, resa possibile solo da energia fossile abbondante e buon mercato.
“La maggior parte degli investitori ritiene che i bassi prezzi dell’energia abbiano fortemente scoraggiato l’adozione di energie rinnovabili. Questo ignora completamente il fatto che l’energia stessa costituisce la più importante voce del costo finale di solare e eolico” (The Distorsion of Cheap Energy, Goehring L.R. e A.A. Rozencwajg, 2022).
Le rinnovabili elettriche non stanno in piedi autonomamente, per i motivi funzionali sopra descritti. Contrariamente a quanto si va dicendo da quando è iniziata la guerra in Ucraina, decarbonizzare sostituendo fossili con rinnovabili per assicurarci l’indipendenza energetica non ha alcun senso: non solo perché le filiere rinnovabili sono dominate in monopolio dalla Cina, ma perché le stesse hanno bisogno di un uso intensivo di fossili per essere operative. Per cui si ritorna alla dipendenza russa.
Finché non sapremo dare risposte concrete alle problematiche sopra descritte, che invalidano una completa transizione rinnovabile, ogni euro investito in tale settore sarà un euro buttato.
Michele Manfroni è PhD student presso ICTA-UAB
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