La similarità delle politiche si scontra con una diversità di interessi. All’elevato grado di indipendenza, grande abbondanza di risorse minerarie, bassi costi dell’energia degli Stati Uniti si contrappone un’elevatissima e crescente dipendenza energetica dell’Europa, costi molto più elevati, ridotte e decrescenti basi minerarie interne. I danni al sistema economico ed energetico saranno maggiori per l’Europa aggravando una crisi energetica di gran lunga peggiore da questo lato dell’Atlantico.
Mentre a Bruxelles, Berlino, Roma, Budapest e nelle altre capitali europee si sta discutendo se e quando avviare l’embargo del petrolio russo, molte decine di imprese – compagnie petrolifere, raffinerie, traders, società di trasporto – ne stanno facendo incetta prevedendone una futura penuria.
Un embargo, che se pienamente implementato potrebbe raggiungere i 3,5 milioni di barili al giorno, che è stato definito dalla presidente Ursula von del Leyen come “accordo politico” finalizzato insieme alle altre sanzioni a mangiarsi “giorno dopo giorno sempre più in profondità l’economia russa”. Dubito le cose stiano così.
Nei primi due mesi dall’invasione dell’Ucraina, secondo il database elaborato dal Centre for Reserch on Energy and Clean Air, la Russia ha esportato petrolio e derivati per 63 miliardi di euro, di cui il 71%, per 44 miliardi di euro, verso l’Europa.
44 i miliardi di euro versati dall’Europa alla Russia per petrolio e derivati dall’inizio della guerra
L’Italia è stato il secondo paese importatore al mondo, dietro la Germania, con circa 7 miliardi di euro, davanti alla Cina, all’Olanda, alla Turchia e a molti altri paesi. L’Ungheria, paese annoverato tra i più esposti e che usufruirà di una qualche deroga e compensazione, è appena undicesima.
Si ritiene che l’Italia sia meno esposta, ma non è così. Nel solo porto di Trieste, sempre nei primi due mesi dall’invasione, sono stati importati greggio e prodotti per 996 milioni di euro, dietro solo ai due porti olandesi di Rotterdam e Maasvlakte.
È presumibile, o almeno sperabile, che i burocrati di Bruxelles stiano informando le numerose imprese interessate dei fornitori alternativi alla Russia cui potranno rivolgersi.
Temo, altrimenti, vi siano per l’Italia seri problemi. Tanto più se si tiene conto della sorprendente decisione del nostro governo di ridurre d’imperio le scorte d’obbligo di prodotti petroliferi sino al 30 giugno. Quale ne sia la ragione non è dato sapere se non, forse, voler incrementare l’offerta di petrolio sul mercato internazionale per abbassarne i prezzi.
L’effetto sui prezzi internazionali della riduzione degli obblighi di scorta è stato più che annullato dalla prospettiva dell’embargo europeo al petrolio russo
Una decisione presa sulla scia di quella simile del presidente americano Joe Biden (adottata per altro senza minimamente consultare gli alleati dell’International Energy Agency) preoccupato che gli alti prezzi della benzina interni possano danneggiarlo nelle prossime elezioni mid-term.
Tuttavia, l’effetto sui prezzi internazionali è stato più che annullato dalla prospettiva dell’embargo europeo al petrolio russo.
Embargo proposto dalla Commissione anche in questo caso sulla scia di quanto deciso dal presidente americano Joe Biden con un ordine esecutivo emanato l’8 marzo contro l’importazione di gas, petrolio, carbone russo, al di là della loro entità marginale. Decisione avallata all’inizio di aprile dal Senato e dal Congresso americani con schiaccianti maggioranze.
Alla similarità delle decisioni americane ed europea riguardo l’embargo dell’energia russa – già deciso per il carbone col 5° pacchetto che scatterà da inizio agosto ed ora in discussione per il petrolio – sta per altro una profonda diversità di interessi tra le due sponde dell’Atlantico.
Stessa politica, interessi divergenti
All’elevato grado di indipendenza, grande abbondanza di risorse minerarie, bassi costi dell’energia (anche per le più blande politiche climatiche) degli Stati Uniti, si contrappone un’elevatissima e crescente dipendenza energetica da fonti estere, costi molto più elevati (nel gas di 5-6 volte), ridotte e decrescenti basi minerarie interne dell’Europa.
Dopo la Russia, i principali paesi esportatori petroliferi verso l’UE sono Norvegia e Stati Uniti
Dal che la conclusione che gli Stati Uniti abbiano interesse ad alimentare, attraverso l’embargo petrolifero o del gas, lo scontro con la Russia indebolendone l’economia, similmente a quello di Washington di far proseguire il conflitto in Ucraina rispetto alla ricerca di una soluzione negoziale.
A ciò si aggiunga che l’embargo petrolifero mentre non avrebbe alcun impatto sugli Stati Uniti, ne avrebbe di nefasti in Europa. Le esportazioni petrolifere della Russia verso l’Europa dall’inizio del conflitto, quindi ancor prima dell’embargo, si sono per altro ridotte, per il calo della domanda interna e l’aumento dell’import da altri paesi, mentre sono letteralmente esplose verso la Cina, disposta a soccorrere Mosca quando sottoposta a sanzioni (come dopo la Crimea).
Come ho evidenziato nel post del 6 maggio diverse sono poi le possibilità di aggirarlo, attraverso trasferimenti della merce tra petroliere o miscelazioni di greggi che ne impediscano la tracciabilità. Impedire questi escamotage è praticamente impossibile almeno che non si ricorra a quello adottato nel 1973 dai paesi arabi dopo l’embargo verso Stati Uniti e Olanda, quando per seguire l’effettiva destinazione delle petroliere imposero che su ognuna di esse salisse un loro rappresentante.
La grande crisi energetica non è finita
Tre le conclusioni da quanto ho scritto:
(a) l’embargo europeo al petrolio russo provocherà danni al sistema economico ed energetico all’Europa, di cui essa non sembra aver piena contezza;
(b) la similarità delle politiche che Stati Uniti ed Europa vanno adottando si scontra con una diversità di interessi con effetti asimmetrici a danno dell’Europa;
(c) l’Europa sta patendo una crisi energetica di gran lunga superiore a quella americana.
Quel che si riflette nella diversa componente energetica nel tasso di inflazione media a marzo che in Europa ha pesato per poco meno del 45% su un tasso medio del 7,5% e in America per meno del 10% su un tasso ancor superiore: l’8,5%.
Situazioni e interessi fortemente diversi che non richiedono similari politiche di risposta. Una riflessione al riguardo sarebbe molto opportuna.
Alberto Clô è direttore della rivista Energia e del blog RivistaEnergia.it
Potrebbero interessarti anche:
Le leggi della stupidità umana e l’embargo del petrolio russo, di Alberto Clò, 6 Maggio 2022
La Russia può abbandonare l’Europa per la Cina?, di Michele Soldavini, 2 Maggio 2022
Il miracolo della moltiplicazione dei gas, di Alberto Clò, 22 Aprile 2022
Foto: Marco Verch
Per aggiungere un commento all'articolo è necessaria la registrazione al sito.
0 Commenti
Nessun commento presente.
Login