3 Giugno 2022

Il (condivisibile) punto di partenza della strategia sull’idrogeno UE

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Nel 2020 la Commissione europea ha fissato una roadmap per fare dell’idrogeno uno strumento centrale per l’integrazione di sistemi energetici decarbonizzati. Cosa è credibile di questa strategia e quanto invece si presta a valutazioni critiche? A questa ed altre domande risponde l’analisi di Luigi De Paoli che torna a parlare di idrogeno su ENERGIA 4.21.

Dopo aver analizzato su ENERGIA 3.21 tutte le ‘ondate di entusiasmo’ per l’idrogeno, Luigi De Paoli (Università Bocconi) torna sul tema con un lungo studio pubblicato su ENERGIA 4.21, volto a passare in rassegna la strategia europea sull’idrogeno approvata dalla Commissione europea l’8 luglio 2020.

Secondo le indicazioni della Commissione, l’idrogeno può essere impiegato nei “cosiddetti settori hard-to-abate, cioè dove l’eliminazione delle emissioni di gas serra tramite l’elettrificazione è difficile da ottenere”. È effettivamente così?

Il ruolo dell’idrogeno nel processo di decarbonizzazione

Come spiega De Paoli, “se si punta alla «carbon neutrality» per il 2050, bisogna cercare una soluzione per ridurre le emissioni di CO2 legate alla produzione e uso dell’energia in tutti i settori. (…) L’UE mira a ottenere questo risultato favorendo il più possibile l’elettrificazione dei consumi e puntando a una produzione elettrica (quasi) totalmente decarbonizzata.

Tuttavia, non è sempre possibile o conveniente impiegare energia elettrica per soddisfare gli usi finali e quindi occorre trovare un’alternativa. L’idrogeno, che è un vettore energetico fortemente versatile, può essere una soluzione a condizione che venga prodotto senza l’emissione di CO2 in atmosfera.

Sulla base delle conoscenze attuali è difficile contestare questa conclusione. Non esiste infatti oggi un’altra soluzione tecnologica che possa dare con certezza gli stessi risultati a condizioni migliori in tutti gli usi in cui è previsto l’impiego dell’idrogeno.

…É fungere da alternativa quando l’elettrificazione non è possibile o non è conveniente

L’impiego della tecnologia nucleare di fissione (o di fusione, anche se quest’ultima è ancora lontana dalla fattibilità industriale), inizialmente candidata a fornire abbondante energia «troppo a buon mercato per essere misurata»(3), passa attraverso l’uso dell’elettricità che, come detto, incontra dei limiti nella sua penetrazione”.

Una premessa, questa a cui giunge la Commissione, che per De Paoli è condivisibile dal punto di vista del perseguimento dell’obiettivo della lotta ai cambiamenti climatici.

Al contrario, si prestano a numerose critiche “il percorso e gli obiettivi indicati”. Prima di capire però per quali ragioni la strategia è contestabile (a questo verranno dedicati dei post ad hoc), proviamo a capire con le parole di De Paoli i punti cardine della strategia di sviluppo dell’idrogeno 2020-2050 della Commissione.

Per i settori hard-to-abate (siderurgia, cemento, carta) e alcune tipologie di trasporto l’idrogeno potrebbe essere una scelta vincente

“La Hydrogen Strategy del 2020 (nel seguito anche HS) può considerarsi la riedizione della Strategic Research Agenda (SRA) del 2005 con importanti differenze. Innanzitutto, adotta come base di partenza il ragionamento sillogistico-normativo già proposto, tra gli altri, dalla IEA per spiegare l’origine e le differenze della «quarta ondata di entusiasmo» per l’idrogeno rispetto al passato (IEA 2019a) che abbiamo trattato nel precedente numero di questa Rivista. Tale ragionamento può essere così sintetizzato:

(a) Per combattere i cambiamenti climatici e cercare di contenere l’aumento della temperatura entro 1,5°C, l’Europa si è data nel 2018 l’obiettivo di arrivare alla «neutralità climatica» entro il 2050 e nel 2021 di ridurre nel 2030 le emissioni di gas serra del 55% rispetto al 2030 (anziché del 40% come deciso in precedenza nel 2018) (EC 2020c);

(b) Lo strumento fondamentale per conseguire tale obiettivo è lo sviluppo della produzione elettrica da fonti rinnovabili, in particolare da impianti eolici e fotovoltaici, a cui è attribuita (implicitamente) la proprietà di essere a emissioni zero e a impatto ambientale limitato, oltre che di essere ormai pienamente competitivi rispetto agli impianti a combustibili fossili o nucleari;

(c) Non tutti i servizi energetici possono però essere soddisfatti mediante il vettore elettrico per motivi fisici o economici. Ad esempio, è difficile o non conveniente impiegare elettricità per soddisfare tutta la domanda energetica di alcuni settori industriali (siderurgia, cemento, carta, etc.) o per altri usi (trasporti marittimi, trasporto merci su lunghe distanze, etc.);

(d) In questi casi l’idrogeno prodotto senza emettere CO2 è la soluzione.

La ‘Hydrogen Strategy’ (del 2020) e le differenze rispetto alla ‘Strategic Research Agenda’ (del 2005)

Una volta «dimostrata» l’indispensabilità di un massiccio ricorso all’idrogeno, la HS si fonda su almeno tre altre affermazioni da sottoporre ad attenta verifica:

(1) «L’impiego su larga scala di idrogeno pulito con una rapida progressione è fondamentale affinché l’UE consegua obiettivi climatici più ambiziosi (tra il 50 e il 55% nel 2030) in modo efficiente in termini di costi» (EC 2020b, p. 2, corsivo nostro);

(2) A tal fine è indispensabile un forte intervento politico a livello dell’UE: «Lo sviluppo dell’idrogeno in Europa deve far fronte a importanti sfide che né il settore privato né gli Stati membri possono affrontare da soli» (ivi, p. 2). Che cosa significhi l’intervento dell’UE per la creazione di un mercato dell’idrogeno è spiegato in modo dettagliato nella HS, ma è ben sintetizzato da uno studio di Bloomberg NEF (citato nella HS): «Il costo della produzione di idrogeno da fonti rinnovabili è destinato a diminuire, ma è necessario creare la domanda per ridurre i costi e costruire un’ampia gamma di infrastrutture di fornitura. Ciò non accadrà senza nuovi obiettivi quantitativi e sussidi governativi» (BNEF 2020);

(3) Per produrre l’idrogeno senza emettere CO2 bisogna puntare sull’uso delle fonti rinnovabili. In realtà, la strategia della Commissione indica due strade possibili:

  • la produzione di clean hydrogen mediante elettrolizzatori alimentati da elettricità da fonti rinnovabili (chiamato perciò anche renewable hydrogen o «idrogeno verde»);
  • la produzione di low-carbon hydrogen ottenuto da combustibili fossili con la cattura della CO2 (detto anche «idrogeno blu») oppure con elettricità prelevata dalla rete (ivi, p. 4). Pur elencando le due strade, non c’è dubbio che la strategia indicata dalla Commissione punti decisamente all’idrogeno pulito(2).

La nuova strategia presenta anche due altre differenze rispetto alla SRA del 2005: attribuisce minore importanza al concomitante sviluppo delle celle a combustibile o fuel cell (FC) e, pur citandolo, non mette al primo posto il ruolo dell’idrogeno nella decarbonizzazione del settore dei trasporti. In questo declassamento è evidente l’importanza che ha assunto la politica di promozione dell’auto elettrica, anch’essa ritenuta a zero emissioni.

Una strategia in tre fasi: con obiettivi quantitativi e temporali diversificati

Sulla base di questi presupposti e convincimenti, la HS si articola in tre fasi con i seguenti obiettivi quantitativi e temporali:

(1) Nella prima fase, dal 2020 al 2024, dovrebbero essere installati 6 GW di elettrolizzatori alimentati da FER in grado di produrre un milione di tonnellate di idrogeno (mil. tonn. H2). In questa fase, «gli elettrolizzatori dovrebbero essere installati vicino ai centri di domanda esistenti nelle grandi raffinerie, impianti siderurgici e complessi chimici. Idealmente essi dovrebbero essere alimentati direttamente da fonti rinnovabili locali» (ivi, p. 5). Sarebbe poi necessario mettere da parte le regole sugli aiuti di Stato per consentire la produzione di «idrogeno pulito» non competitivo (p. 10);

(2) Nella seconda fase, dal 2025 al 2030, l’idrogeno dovrebbe diventare parte del sistema energetico integrato con l’obiettivo di installare almeno 40 GW di elettrolizzatori alimentati da FER e produrre 10 mil. tonn. H2 nel 2030. In questa fase ci si aspetta che:

  • «L’idrogeno rinnovabile diventi competitivo con altre forme di produzione, ma che siano necessarie specifiche politiche dal lato della domanda» (p. 6);
  • «L’idrogeno rinnovabile cominci a giocare un ruolo nel bilanciamento del sistema elettrico basato sulle FER permettendo di trasformare elettricità in idrogeno quando l’elettricità da FER è abbondante e a buon mercato e fornendo flessibilità» (p. 6). Dovrebbe inoltre emergere anche una nuova infrastruttura per «trasportare l’idrogeno dalle aree con grandi potenziali di FER ai centri di domanda, situati possibilmente in altri Stati membri» (p. 7);

(3) Nella terza fase, dal 2030 al 2050, si suppone che la produzione di idrogeno da FER raggiunga la maturità e venga impiegato su larga scala in tutti i settori difficili da decarbonizzare. Nel 2050 circa un quarto dell’elettricità da FER verrebbe impiegata per produrre idrogeno (p. 7)”.


Il post riporta un estratto dell’articolo di Luigi De Paoli dal titolo La strategia europea dell’idrogeno: un’analisi critica (pp. 24-37) pubblicato su ENERGIA 4.21

Luigi De Paoli, Università Bocconi


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Foto: Pixabay

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