30 Giugno 2022

La presentazione di ENERGIA 2.22

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Alberto Clô presenta i contenuti di ENERGIA 2.22. In fondo al testo è possibile scaricare il pdf dell’intera presentazione.

Scarsità, innovazione e transizione

Il manifestarsi negli anni 1970 e a inizio anni 1980 di crescenti vincoli relativi ad alcune risorse naturali e materie prime spinse la nostra Rivista, di cui era allora Direttore Responsabile Romano Prodi, a chiedere ad Alberto Quadrio Curzio di elaborare un articolo che (…) uscì nel secondo numero del 1981(1), trattando tre grandi temi, da cui simmetriche conclusioni, «scarsa producibilità e ruolo del progresso tecnico», «ottimo uso della singola risorsa scarsa» (p. 26), «interdipendenza tra materie prime e merci prodotte sia sotto il profilo della produzione che sotto il profilo prezzi-distribuzione» (p. 27). Di fronte all’emergere di nuove scarsità naturali, specie ma non solo ambientali, si è ritenuto importante chiedere ad Alberto Quadrio Curzio, quasi quattro decenni dopo, di riprendere il filo di quell’analisi. A suo dire: «l’attenuazione delle scarsità dipenderà allora dalla scienza e dalla tecnologia, dall’istruzione, dalle norme giuridiche e dalle istituzioni nazionali e sovranazionali» non potendosi tuttavia «affidare ai soli meccanismi di mercato o alla dinamica delle imprese in competizione tra loro una questione che richiede grandi investimenti orientati da una visione di lungo periodo (…). A ciò devono porre rimedio le norme e le istituzioni che in vari casi devono imporre vincoli per preservare proprio da altre scarsità: quelle irreversibili». Due le istituzioni a cui l’Autore fa riferimento. Da un lato, quelle sovranazionali come l’ONU (…). Dall’altro, l’Unione Europea che con il Next Generation EU si è data grandi obiettivi di sviluppo sostenibile, condivisibili quanto a principi ma non facilmente traducibili nel concreto, anche per non essersi dotata «di enti funzionali adeguati alle proprie dimensioni, diversamente da quanto aveva fatto agli inizi della propria storia con la CECA e l’Euratom. “Un ritorno al passato” può servire al futuro per evitare che ai programmi e ai progetti non possano seguire le politiche della concretezza». Un passato che ritorna è invece la chimera dell’indipendenza energetica. Ma, come in passato, invocata a sproposito. Ne tratta Daniel Raimi di Resources for the Future in un articolo dove spiega come parlare di indipendenza dal sistema energetico globale – vera ossessione di tutti i presidenti americani – sia errato e controproducente. Per l’impossibilità a isolare i singoli paesi e mercati dal loro contesto mondiale, mentre si osserva semmai una crescente interdipendenza dei diversi sistemi nazionali, specie riguardo ai livelli dei prezzi fissati nelle borse internazionali. Concetto ampiamente sviluppato da Gabriel Collins e Michelle Michot Foss nel loro saggio sulla «valle della morte» dell’innovazione nel contesto della transizione energetica globale, ove sostengono che una sua forzata accelerazione – che ostacoli gli ancora necessari investimenti nelle fonti tradizionali crollati da un decennio in qua – rischi di «destabilizzare il nesso energia-cibo-acqua-benessere che, se perturbato, può far ritardare di decenni la transizione energetica». (…) Un ammonimento che rafforza quanto si legge nelle pagine di Quadrio Curzio: «le dinamiche della transizione rappresentano sempre delle incognite perché questo è il “messaggio” che ci viene dalla storia. Ex ante l’alternanza dei cicli di sostituzione di materie prime e risorse naturali non poteva essere quindi certa sui tempi e neppure sugli esiti e spesso solo ex post si può constatare l’accaduto».

Una strategia quantomeno bizzarra

La grande crisi energetica esplosa nella seconda metà dello scorso anno si sta avvitando su sé stessa dopo l’esplodere il 24 febbraio della guerra russa in Ucraina. Guerra che ha visto, da un lato, una grande unità d’intenti dell’Alleanza Atlantica a trazione statunitense e una sua rinnovata funzione in Europa, con la richiesta di aderirvi da parte di Svezia e Finlandia, come analizzato da Gaetano Di Tommaso, e, dall’altro, un ruolo sempre più cruciale della Cina nei rapporti con la Russia e gli Stati Uniti, secondo quanto scrive Francesco Sassi. (…) Il gran sbraitare di Bruxelles non ha prodotto sinora un impatto sui ricavi delle esportazioni energetiche della Russia (…). Sottoporre ad embargo contemporaneamente gas, carbone, petrolio è poi un assoluto controsenso. Il risultato non potrebbe che essere la scarsità assoluta di energia! Stessa conclusione sull’inconsistenza delle proposte comunitarie può trarsi dalla Comunicazione della Commissione dell’8 marzo REPowerEU (…). Se queste proposte avessero avuto un minimo di credibilità, i prezzi di mercato del gas si sarebbero ridotti in vista di un enorme eccesso della sua offerta. (…) Proposte che paiono, in conclusione, campate per aria. Quel che non può dirsi per la concreta opportunità, analizzata nell’articolo di Simone Nisi e Luca Franza, di sfruttare le enormi risorse di gas naturale individuate nel Mediterraneo orientale, veicolandole in pochi anni verso il nostro Paese dando seguito al progetto EastMed della società IGI Poseidon. (…) Un’opportunità che dovrebbe essere avviata quanto prima (…) la cui realizzazione accrescerebbe la concorrenza nel nostro mercato del gas naturale. Da cui, forse, l’opposizione al progetto incautamente espressa da Eni(12), mentre più scontata è quella delle lobby rinnovabili contrarie ad ogni opzione che non sia appunto quella delle rinnovabili. (…) La crisi dei prezzi elettrici pone un serio interrogativo sulla validità dell’attuale design di mercato. Ne trattano in un articolo gli economisti francesi Dominique Finon ed Etienne Beeker, che avanzano una proposta di revisione basata sull’istituzione di un acquirente centrale. Un modello compatibile con la legislazione europea e opzionale per gli Stati membri, capace di garantire la concorrenza sul mercato all’ingrosso e su quelli al dettaglio, in grado di preservare l’integrazione economica dei sistemi attraverso i mercati spot e i vari market coupling. Un modello che risponde altresì all’esigenza di stabilità dei prezzi e alle carenze del mercato in termini di investimenti in tecnologie ad alta intensità di capitale per la transizione energetica. Transazione che non gode certo di ottima salute, come attestano due fatti. Da un lato, la decisione di BlackRock, il più grande fondo di investimenti nel mondo con 10 trilioni di dollari, di non voler più sostenere le istanze climatiche nelle imprese partecipate(16), sostenendo che bisogna assolutamente riprendere gli investimenti nelle fossili(17). Dall’altro, il fatto che Aramco abbia raggiunto il primo posto come capitalizzazione di mercato con 2.382 miliardi di dollari: segno che il mercato non crede molto nella transizione energetica. Con buona pace di quegli scenari (come il recente Energy Outlook di BP)(18) che ritengono che crisi energetica e guerra non vi abbiano minimamente inciso.

Come ci siamo arrivati e verso dove stiamo andando

C’è voluta una guerra perché coloro che hanno bloccato per anni nel nostro Paese ogni iniziativa che avrebbe potuto ridurre la sudditanza dalla Russia abbiano cambiato opinione, divenendo addirittura fanatici di ciò cui un tempo si opponevano (…). Ma come ci si è cacciati nella bocca dell’orso? In un Paese di scarsa memoria storica è doveroso ripercorrere le ragioni che hanno portato l’Europa e l’Italia a far della Russia uno stretto alleato politico e il loro primo fornitore di energia, così da divenirne ostaggi e di favorirne l’aggressività forte della nostra accondiscendenza. Chi scrive ha cercato di rispondere a questo interrogativo ricostruendo le tappe della nostra sudditanza al gas russo e pervenendo a una duplice conclusione. Da un lato, che in maggior parte tale dipendenza è riconducibile a ragioni politiche, prima ancora che economiche. Dall’altro lato, che essa è l’esito degli impedimenti a realizzare gli interventi che avrebbero evitato di renderci così massicciamente ostaggi della Russia. In sintesi: l’alleanza con la Russia ha fatto aggio su ogni considerazione sulla nostra sovranità e sicurezza nazionale, ritenendo i governi che queste potessero paradossalmente esserne rafforzate! Che ora Bruxelles sostenga che nel volgere di pochi anni l’Europa intera possa rendersi indipendente dalla Russia indica chiaramente come l’esserne divenuti così dipendenti poteva, se lo si fosse voluto, essere evitato. (…) La ricerca di un mix ottimale dovrebbe tenere quindi in considerazione, tra le altre cose, anche le implicazioni geopolitiche e delle future dipendenze da paesi e da minerali, oltre che quello inevitabile dei costi. Quali siano le condizioni sotto questo profilo necessarie a conseguire gli obiettivi di una transizione che consenta al nostro sistema elettrico di azzerare ogni emissione è interrogativo cui rispondono Umberto Giuliani, Piergiorgio Alotto, Chiara Bustreo e Giuseppe Zollino dell’Università di Padova attraverso la simulazione di scenari che identificano le soluzioni che minimizzano i costi di generazione col ricorso a tutte le tecnologie disponibili. La soluzione ottimale a cui pervengono è che la presenza di una quota di generazione baseload, con nucleare a fissione o fusione, consente di ottenere un valore più basso del LCOTE (Levelized Cost of Timely Electricity) – nella misura del 20-30% – e soprattutto richiede capacità rinnovabile sino a 3 volte inferiore a quella di uno scenario 100% rinnovabile (240 contro 728 GW), con conseguente analoga riduzione dell’impatto sul territorio. L’importanza di questo contributo sta nella capacità di valutare gli esiti delle scelte energetiche che si vorrebbero intraprendere, la loro coerenza interna, l’utilizzo delle risorse che si andrebbero a impiegare. Approccio che varrebbe adottarsi anche per altri due importanti settori italiani, quello automotive e quello idrico. Sull’ormai inevitabile – o per lo meno da molti ritenuto tale – passaggio dalla tecnologia endotermica a quella elettrica si sofferma G.B. Zorzoli, che ne ripercorre lo sviluppo nel tempo analizzando i fattori che l’hanno favorita e le ragioni del ritardo accumulato da Stellantis (a controllo di fatto francese). Evidenziando i sostanziali rischi che va correndo l’indotto italiano, formato da un alto numero di imprese di piccola dimensione. A suo avviso, per evitare una drammatica crisi economica e sociale, servirebbe un Piano auto nazionale che, contrariamente agli altri principali paesi europei, è ancora latitante in Italia. Rimanendo nell’ambito del nostro Paese, è rilevante l’analisi di Daniela Crisante, Luigi de Francisci e Alberto Mariani sui miglioramenti che si sono nel tempo osservati nel servizio idrico nazionale, grazie alla politica di regolazione e a «fattori esogeni macroeconomici e geopolitici, che hanno aumentato la sensibilità per una maggiore indipendenza nell’energia e nell’approvvigionamento delle materie prime, che può essere raggiunta investendo sulla decarbonizzazione e sulla circolarità delle risorse. E il settore idrico non può che costituirne uno dei pilastri, soprattutto nell’ottica di recuperare il terreno perduto nel raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Agenda 2030 per la risorsa idrica» (…).

Bologna, 3 giugno 2022
a.c.


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