L’atteso sviluppo industriale del nucleare civile non si è avverato: pur col 10% della generazione elettrica mondiale resta un fenomeno circoscritto in termini quantitativi e spaziali. Dobbiamo dedurne che il nucleare abbia esaurito le sue potenzialità e, con esse, la possibilità di fornire un contributo al progresso dell’umanità?
Se c’è una cosa che mi ha sempre fatto andare in bestia in tema di nucleare non sono tanto i temi del contendere, quanto la negazione del diritto di parlare a chi ne è favorevole da parte di chi ne è contrario. Dall’alto del piedistallo su cui stanno abbarbicati, si propongono come gli unici depositari della verità negando agli altri ogni spazio di dibattito.
Questa degenerazione conobbe il suo apice alla Conferenza Nazionale dell’Energia che si tenne a Roma nel febbraio 1987, organizzato dal governo di allora (che comunque non vi partecipò) dopo la tragedia di Chernobyl. Enel non vi fu invitata perché, si disse, in palese conflitto di interessi, per il sostenuto timore che potesse ‘inquinarne’ l’andamento.
Chi meno sa, più parli
Il non sapere assurgeva a virtù. “L’argomento è veramente straordinario – affermò il fisico Edoardo Amaldi – soprattutto se eretto a norma di comportamento di fronte a importanti decisioni: esclusi i competenti restano i meno competenti e gli incompetenti. Al limite, più grave è il problema da affrontare e risolvere, più incompetenti devono essere le persone maggiormente ascoltate”.
La Conferenza di Roma produsse la sostanziale de-legittimazione di ogni approccio tecnico-scientifico delle tematiche energetiche. Eliminando l’ingombro degli argomenti tecnici e il “potere mandarinesco” dei “tecnici del mestiere”, come ebbe a dire il professore Francesco Forte (pur per diversi anni vicepresidente di Eni), a tutti sarebbe stato consentito dir di tutto (da lì il titolo del mio saggio L’economia energetica ha in Italia un futuro? Pubblicato nel 1989 su Economia delle fonti di energia).
Se questo era vero per ogni argomento lo era soprattutto per il nucleare. La sua stagione pionieristica negli anni Sessanta, quando si costruirono in tempi rapidi ed entrarono in esercizio le prime tre nostre centrali, era stata favorita da una larga base consensuale. Vi soccorrevano la fiducia e l’immagine positiva che aveva l’industria, la scienza, il progresso tecnologico, percepiti come fattori di prosperità e benessere.
Specie nelle forze politiche e intellettuali di sinistra, soprattutto nella loro componente industrialista, che vedevano nel nucleare la leva per conseguire l’indipendenza energetica del Paese di matteiana memoria e la possibilità di affrancarlo dal “giogo americano” (nel nucleare come nel petrolio).
L’Italia usciva dal nucleare del 1987 ma ne aumentava il ricorso attraverso le importazioni
Le speranze verso il nucleare erano molto diffuse nel Paese, come testimoniato dallo stanziamento di 500 milioni lire (600 milioni euro attuali) del Sindaco comunista di Bologna, Giuseppe Dozza, nel 1958 all’Istituto di Fisica dell’Università di Bologna per “promuovere ricerche nel settore della fisica ed in particolare dell’energia nucleare” e il sostegno del Comune di Milano alla costituzione del centro di ricerca CISE.
Quel consenso venne tuttavia progressivamente meno più la sinistra prese ad avversare il nucleare, col nascere dei movimenti ambientalisti e la loro opposizione ai piani energetici post-1973, pur plebiscitariamente approvati dal Parlamento. Alla Conferenza di Roma seguì l’anno dopo il referendum del 1987 che sanzionò l’uscita dal nucleare del nostro Paese (unico allora in Europa).
Nucleare che, tuttavia, aumentava il suo contributo ai nostri consumi elettrici attraverso una crescita delle importazioni dai vicini paesi confinanti che ha pesato nel 2021 per il 13,5%. Un’uscita costata al nostro Paese 55 miliardi di euro.
L’uscita dal nucleare è costata al nostro Paese 55 miliardi di euro
Vi fu poi tra 2008 e 2010 un raffazzonato tentativo del Governo, di Enel, dell’industria italiana di riaprire all’opzione nucleare sostenendo l’insostenibile, come tentai di dimostrare nel volume Si fa presto a dire nucleare. Il tutto comunque abortì nel referendum tombale del 2011 che fece seguito all’incidente di Fukushima dell’11 marzo 2011. Altri paesi, a partire dalla Germania di Angela Merkel, decisero di uscire da questa tecnologia.
La guerra in Ucraina l’ha riproposta dietro l’imperativo di liberarsi della sudditanza energetica dalla Russia e, non meno importante, di fornire una risposta alla gravissima crisi energetica esplosa nella seconda metà del 2021 a causa di una grave scarsità fisica di metano.
Di tutto ciò e delle prospettive che sembrano dischiudersi per il nucleare tratta il volume di Umberto Minopoli che, con tono scevro da ogni scoria ideologica, ripercorre le passate tribolate vicende internazionali e nazionali, chiedendosi se le lezioni che dovremmo apprendere dalla vicenda ucraina; le innovazioni tecnologiche nelle centrali di terza generazione, specie in tema di sicurezza; le rinnovate speranze sulle future pur se ancora lontane prospettive della fusione nucleare; l’ampia e consolidata presenza industriale europea, non debbano favorire la ripresa di una riflessione su questa tecnologia superando il pensiero dominante favorevole unicamente alle rinnovabili.
Dimentichi di due fatti, aggiungiamo noi. Primo: che così facendo passeremmo da una dipendenza all’altra, cadendo dalla padella del gas russo alla brace, ancor più rischiosa, delle rinnovabili cinesi, quasi monopolisti nelle tecnologie rinnovabili, nelle relative industrie manifatturiere, nelle materie prime di cui abbisognano.
Nucleare. Ritorno al futuro. L’energia a cui l’Italia non può rinunciare – Umberto Minopoli
Secondo: che il costo della transizione energetica alle rinnovabili è vieppiù insostenibile, ove si pensi che dal 2014 ad oggi si sono investiti circa 4.000 miliardi di dollari nelle rinnovabili, mentre il loro peso sull’insieme dei consumi di energia e della generazione elettrica è rimasto sostanzialmente immutato.
L’impegno dei paesi del G7 di decarbonizzare il sistema elettrico (oggi alimentato per il 64% da fonti fossili) entro il 2035 comporterebbe un ulteriore costo di almeno 1.300 miliardi di dollari. Vale rammentare che il progetto Apollo 1 che consenti l’allunaggio nel 1969 a Neil Amstrong costò agli americani appena 150 miliardi di dollari (a moneta d’oggi).
Sostenere come ha fatto Ursula von der Leyen che il “Green Deal è il nostro uomo sulla luna” è involontariamente ironico.
Alla prova della storia, l’atteso sviluppo industriale del nucleare civile – che pure contribuisce per il 10% della generazione elettrica mondiale – non si è avverato: rimanendo un fenomeno circoscritto in termini quantitativi e spaziali.
Sarebbe, tuttavia, errato dedurne o auspicare che l’era nucleare abbia espresso od esaurito le sue potenzialità e, con esse, la possibilità di fornire un contributo al progresso dell’umanità: nell’altrettanto erronea idea che il mondo sia in grado di farne a meno, se vuol davvero affrontare le sfide climatiche che ne minacciano il futuro e quelle politiche riemerse con la guerra in Ucraina.
Il nucleare è, insieme, opportunità e rischio della società moderna
Il nucleare è, insieme, opportunità e rischio della società moderna. Ne rappresenta una contraddizione interna, più che un impedimento al suo progresso. Un’opportunità con cui è necessario confrontarsi, cercando di risolverne i rischi sul piano scientifico e tecnologico. Rinunciarvi pregiudizialmente è erroneo allo stesso modo del credervi acriticamente.
Dal che la conclusione che per valutare il valore strategico ed economico del nucleare non ci si possa limitare ai soli minori costi privati di generazione elettrica che è in grado di garantire, ma si debba tener parimenti conto dei benefici pubblici che possono consentire.
Il nucleare genera esternalità positive di cui gode l’intera comunità internazionale, individuabili nel suo “costo opportunità” – i costi del non disporne – sul versante sia dell’ambiente che dei prezzi dell’energia e della sua sicurezza. Di tutto questo tratta l’interessante libro di Minopoli.
L’opposizione si concentra sui costi privati, ma trascura i benefici pubblici del nucleare
L’accettabilità sociale, pur se spesso condizionata da disinformazione, resta comunque il vero ostacolo del ritorno e dello sviluppo del nucleare. Che non potranno che avvenire nei paesi forti di un comprovato sostegno pubblico, come Francia, Gran Bretagna, Finlandia, Olanda, Stati Uniti, ove si vanno dischiudendo fattive opportunità di rilancio del nucleare: avviando nuove centrali – nelle diverse declinazioni impiantistiche che si vanno prefigurando e che Minopoli esamina in dettaglio – che richiederanno comunque lunghi tempi per entrare in esercizio, o, nel frattempo, prolungando la vita di quelle esistenti.
Sostenute, vale ripetere, dallo stravolgimento che la guerra in Ucraina va producendo sulle priorità politiche dei governi: nell’obiettivo di liberarsi dell’energia russa e, insieme, rafforzare l’efficacia delle risposte ai cambiamenti climatici.
“Fino al febbraio 2022 – scrive Minopoli (pag. 122) – la transizione energetica, per l’Italia, era una scelta motivata dalla emergenza climatica. Oggi è una necessità imposta dalla guerra”.
Il nucleare in Italia rischia di restare nascosto nelle attività di ricerca interna e nelle collaborazioni con organismi internazionali
Una necessità affermata a livello europeo dall’approvazione il febbraio scorso della Taxonomy Climate Act, che include gas e nucleare, sostenuta da una maggioranza di dodici paesi, col voto contrario di sei (tra cui la Germania), e alcuni paesi che non hanno preso posizione (tra cui l’Italia).
L’auspicio è che le riflessioni che Minopoli propone possano aprire un dibattito, al di là della sua riferibilità o meno al nostro Paese, su cui sono abbastanza dubbioso, se non per l’attività di ricerca interna e in collaborazione con organismi internazionali.
Sperando che da parte degli anti-nuclearisti ‘a prescindere’ vi sia la disponibilità a controbattere ai dati, agli argomenti, alle conclusioni dell’Autore, senza supponenza e alterigia. Rammentando semmai la celebre frase di Alfonso Arau, attore e regista messicano, “Se ti metti su un piedistallo è inevitabile poi che i piccioni ti caghino in testa”.
Minopoli Umberto (Presidente Associazione Italiana Nucleare)
Nucleare. Ritorno al futuro L’energia a cui l’Italia non può rinunciare
Guerini e Associati, 2022, pp. 168, 18 euro
Alberto Clô è direttore della rivista Energia e del blog RivistaEnergia.it
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