16 Giugno 2022

Può la Nigeria aiutarci a ridurre la dipendenza energetica dalla Russia?

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Produzione stagnante, consumi interni crescenti, inefficienza dilagante e instabilità diffusa rendono difficile e poco credibile la prospettiva di un incremento dell’export di gas dalla Nigeria verso l’Europa. Dopo le analisi sui partner gasiferi dell’Italia nel Nord Africa, nel bacino caspico e oltre l’Oceano Atlantico, lo sguardo della nostra rubrica sulla diplomazia energetica italiana non può che volgersi all’Africa sub-Sahariana, a partire dal suo primo esportatore di GNL.

Se la Nigeria non è stato teatro di alcuna missione da parte del governo, diverse missioni sono state tenute a livello inferiore e lo status del Paese come principale produttore ed esportatore di GNL dell’Africa, il sesto a livello globale, rende l’analisi della Nigeria di assoluto valore ai fini della comprensione della nostra capacità ridurre la nostra dipendenza dal gas russo.

Non a caso, come ribadito dallo stesso Presidente del Consiglio Draghi nel definire i contorni della politica energetica internazionale italiana, “dobbiamo invece usare la globalizzazione, allora andiamo in Africa per l’energia”. Un’affermazione che si situa sulla stessa lunghezza d’onda di altre fatte nei mesi scorsi, ma che deve necessariamente fare i conti con una realtà sul campo, talvolta amaramente distanti dalla narrazione imperante.

Sullo sfondo dell’analisi, occorre anche tener conto del recente peggioramento del quadro complessivo. Il 15 giugno infatti si è registrato un improvviso taglio del 15% delle forniture ad ENI annunciato unilateralmente da Gazprom.  A ciò si aggiunge l’importante riduzione della capacità di alcune infrastrutture chiave per l’export del gas russo come Nord Stream 1, ridotto al 40% della sua portata e per cui il governo tedesco accusa Gazprom di aver provocato una riduzione politicamente motivata dei flussi, e del complesso di reti transitanti l’Ucraina.

Stando al 15 giugno, i flussi di gas russo transitanti per Ucraina e Nord Stream 1 sono rispettivamente ridotti del 61% e 60%, portandoci vicinissimo ai 2/3 di riduzione delle importazioni di gas dalla Russia, proprio come anticipato dal piano REPowerEU della Commissione Europea. Questo però è avvenuto con un’accelerazione che Bruxelles non ha potuto o voluto prevedere e la situazione ha generato e genererà ulteriori scompensi sul mercato europeo di gas, con balzi imponenti del TTF, ed elettricità. Una situazione che si prospetta durissima nei prossimi mesi per il nostro Continente.

Nigeria, un’importante alternativa alla Russia anche per il REPowerEU

Anche la versione aggiornata a maggio di REPowerEU nomina chiaramente la Nigeria come un importante partner nella fornitura di gas verso l’UE e alternativo al gas russo. Secondo lo stesso documento, ma in una prospettiva di più lungo termine, l’intera Africa sub-Sahariana è vista come il principale hub nella produzione di idrogeno verde al mondo.

Secondo i dati offerti dalla DG Energy, la Nigeria ha ricoperto nel 2021 il 14% delle importazioni di GNL in Europa (il 15% secondo invece il piano REPowerEU) e si posiziona al ragguardevole quarto posto, dopo Stati Uniti, Qatar e Russia, nella lista dei maggiori fornitori.

Comparazione delle importazioni di GNL dalla Nigeria nei 5 principali mercati europei  (gennaio-maggio 2021/2022)
 

Incrociando questi con i dati forniti da IGU, si calcola che poco meno del 70% dei 16,5 mmc di GNL esportati nel 2021 dalla Nigeria abbiano preso la direzione dei mercati europei. Questo è avvenuto principalmente verso la penisola iberica, dove il GNL nigeriano risponde al 50% e 22% rispettivamente della domanda portoghese e spagnola.

Nigeria è 7° fornitore di gas all’Italia (appena lo 0,6%) e dallo scoppio della guerra l’import è calato anziché aumentare

Per quanto ci riguarda, la Nigeria ha rappresentato nel 2021 il settimo fornitore dell’Italia, con poco meno di 0,5 mmc di GNL. Questo ammontare rappresenta un picco storico (+262% rispetto l’anno pre-pandemico 2019) e fa della Nigeria il nostro terzo partner gasifero africano, dopo Algeria e Libia. Eppure, questi volumi equivalgono soltanto allo 0,6% dell’import italiano, un’inezia rispetto ciò che giunge da altri paesi ed ennesimo sintomo della nostra dipendenza da un numero molto limitato di produttori.

Nel corso del 2022 invece si registra un solo cargo di GNL nigeriano approdato nei nostri rigassificatori contro i tre dello stesso periodo del 2021. Fra l’altro, questo è giunto nel mese di gennaio, prima dello scoppiare del conflitto ucraino e dei tentativi del governo di diversificare le nostre importazioni dalla Russia.

Al contrario, i cargo di GNL nigeriani attraccati in Spagna sono pressoché raddoppiati, lasciando però a bocca asciutta gli altri paesi UE. Infatti, se i cargo di GNL provenienti dalla Nigeria nei primi 5 mesi del 2022 sono cresciuti del 5% rispetto allo stesso periodo del 2021, la Spagna è passata dal 46% al 68% dell’intero import, lasciando a Regno Unito, Italia, Paesi Bassi e Francia il restante ammontare. Un segno ulteriore che le opportunità derivanti dalla costituzione della EU Energy Platform e della EU Energy Platform Task Force nel coordinare le importazioni in Europa rimangono al più velleitarie e che la competizione nell’assicurarsi lo scarso GNL oggi disponibile ha già evidenti effetti.

Comparazione delle importazioni di GNL dalla Nigeria nei 5 principali mercati europei (gennaio-maggio 2021/2022)

Nigeria, anamnesi di un rentier State

In linea generale, oltre il 90% dei ricavi dall’export nigeriano sono rappresentati dal settore Oil&Gas e circa il 70% delle entrate del governo. Va anche sottolineato però come nel 2021, anno di prezzi record, l’export nigeriano sia calato di poco meno del 20% rispetto l’anno precedente. Dei principali esportatori di GNL, soltanto Trinidad and Tobago ha presentato una performance peggiore, segno di evidenti problemi nell’industria del Paese. Ma andiamo per gradi.

Tornato recentemente in auge, proprio a causa della crisi europea del gas, il progetto Trans-Saharan Gas Pipeline (TSGP) ha portato i ministeri degli esteri di Algeria, Niger e Nigeria a siglare lo scorso 16 febbraio la cosiddetta “Dichiarazione di Niamey” che punta a finalizzare “i tanto necessari guadagni derivati dalla monetizzazione del gas” presente nei tre paesi.

Congiuntamente proposta sin dal 2002 e con un memorandum del 2009 siglato tra NNPC e Sonatrach che ne prevedeva la realizzazione entro il 2015, la pipeline correrebbe per oltre 4000km con una capacità totale sino a 30 mmc l’anno. Il gasdotto dovrebbe collegare la regione del Delta del Niger, dove la Nigeria produce la grande maggioranza dei propri idrocarburi, all’hub algerino di Hassi R’Mel e da lì verso il Mediterraneo e l’Europa, il tutto transitando per il deserto del Niger e sfruttando la capacità disponibile dei gasdotti e terminal di GNL algerini.

Un’opportunità, vista la spare capacity esistente oggi nelle infrastrutture affacciate sul Mare Nostrum e l’evidente interesse italiano a incrementare le esportazioni proprio dall’Algeria. Un progetto, quello di TSGP, che comporta però diversi rischi. Il recente inasprimento delle relazioni tra Madrid ed Algeri a seguito del supporto spagnolo al piano marocchino di offrire autonomia alla regione del Sahara occidentale, dove l’Algeria appoggia il Fronte Polisario alla ricerca di una piena indipendenza da Rabat, minaccia di riversarsi sullo stesso commercio di gas fra Spagna e Algeria.

Trans-Saharan Gas Pipeline, un azzardo da 13 miliardi di dollari

Nel mezzo di un difficilissimo processo di rinegoziazione dei prezzi del gas  e nel pieno della crisi energetica europea, una rottura completa dei rapporti commerciali dirotterebbe tutta la produzione algerina su Transmed. Mentre l’Italia godrebbe di un improvviso surplus alternativo al gas russo, la Spagna si ritroverebbe costretta a ricorrere ad un ancor più massiccio acquisto di GNL in un mercato corto, innalzando ulteriormente l’asticella della competizione con gli altri partner europei. Inevitabili sarebbero le conseguenze sui prezzi.

Ne va da sé che il gas nigeriano passante per il TSGP si troverebbe invece ad una strozzatura giunto sulle coste del Mediterraneo, mentre la sua liquefazione a 4000km di distanza dal luogo di produzione, renderebbe l’operazione scarsamente coerente da un punto di vista economico.

Un azzardo, quello del TGSP, dal costo di 13 miliardi di dollari, i quali con ogni probabilità dovrebbero provenire da investitori europei. Va anche sottolineata la premessa, ripetuta nella stessa Dichiarazione, che una parte sostanziale dei capitali andrebbero a contribuire alla gassificazione dei paesi di transito. In Niger ad esempio, con esigue riserve ma a cui governo sta volgendo particolare attenzione per spingere l’industrializzazione, punta alla piena elettrificazione e l’offerta di servizi energetici basilari alla popolazione.

Ancorché interessati all’export, tutti e tre i paesi coinvolti nel progetto TSGP sono infatti intenzionati a incrementare i consumi di gas per ragioni di equilibri economici e sociali squisitamente interni. Sempre da questo punto di vista, la crescente instabilità nel Mali sono da tempo sconfinate nel Niger e un’infrastruttura della portata di TSGP diverrebbe un obiettivo di primaria importanza strategica per qualsiasi forza islamista della regione. Inoltre, anche nella stessa Nigeria la violenza settaria e religiosa si sta espandendo al di fuori delle zone più rurali del paese, raggiungendo il popoloso Delta del Niger, centro nevralgico della produzione energetica. Nel caos che si estende dalla zona del lago Chad al Golfo di Guinea, il sostegno militare senza alcuna condizionalità da parte di Mosca ai governi della regione è più che una semplice possibilità e rischia di minare ulteriormente l’influenza europea nel Sahel, compromettendo qualsiasi scenario di export energetico.

Un difficile contesto nazionale

Venendo invece all’analisi interna del settore del gas in Nigeria, l’ultimo quindicennio in particolare ha visto ripetute riforme. In particolare, queste hanno cercato di trasformare lo stesso da un prodotto di scarto dell’industria petrolifera a un nuovo volano per l’economia, diversificando parallelamente l’export di idrocarburi e cercando, con fortune alterne, di risolvere alcune criticità come l’insufficienza di investimenti privati, l’endemica corruzione e l’arretratezza del mercato interno.

A riprova dei successi limitati, nel 2021, il Petroleum Industry Bill è nuovamente intervenuto per incentivare nuove esplorazioni e produzione, un efficiente utilizzo del gas e nuovi investimenti infrastrutturali.

Un effetto indubbiamente positivo si è visto nella riduzione della dannosa e schizofrenica pratica del flaring. Nel 2021, la quantità di gas bruciato nell’atmosfera è scesa a poco più di 6,5 mmc, una riduzione di oltre il 50% in meno di 15 anni, ma che continua a far ricoprire alla Nigeria la non invidiabile posizione di settima nazione al mondo per tale attività. Un ennesimo fattore, quello del flaring, che contribuisce alla drammatica situazione dell’inquinamento dell’aria nel Paese; il secondo al mondo che vede l’inquinamento come causa di decesso e il primo per morti di polmonite fra i bambini.

Proprio con l’obiettivo di ridurre il flaring e allo stesso tempo migliorare l’offerta interna di energia a buon mercato, nel 2004 è stata lanciata la National Integrated Power Project (NIPP) prevedendo la costruzione di diverse centrali a gas. Una misura resa ancor più necessaria dal fatto che soltanto il 60% della popolazione nigeriana ha accesso alla rete elettrica e la legna continua a rispondere a larga parte della domanda di energia domestica nelle zone rurali.

Degli oltre 200 blackout alla rete nazionale occorsi negli ultimi 9 anni, sei sono avvenuti soltanto dall’inizio dell’anno. Una bassa produzione di energia idroelettrica, laboriose manutenzioni sulla rete e una scarsità di offerta di gas naturale per supportare gli impianti di recente costruzione sono fra le principali cause. Quest’ultima è principalmente dovuta a frequenti atti vandalici che prendono di mira sia gli impianti di generazione che gli stessi gasdotti, inclusi quelli gestiti da majors.

In parallelo, questa incapacità ha determinato il collasso di alcune banche commerciali, ritardando inevitabilmente gli investimenti nello stesso settore e la conseguente elettrificazione del Paese, rendendo ulteriormente possibili crisi future.

La prospettiva di incrementare l’export verso l’Europa sia di gas attraverso gasdotti che attraverso la costruzione di nuovi terminal di GNL risulta quantomai azzardata. In questo contesto di produzione stagnante, consumi interni crescenti, inefficienza dilagante e instabilità diffusa nella regione, in peggioramento anche per via dell’incombente crisi alimentare, la Nigeria potrà ambire nel breve termine a mantenere l’attuale export.

Un risultato che, alla luce di queste considerazioni, sarebbe comunque positivo, ma il quale non ci aiuterà in modo significativo a diversificare le nostre importazioni, allontanandoci dalla dipendenza energetica dalla Russia entro i termini perentori suggeriti da REPowerEU.


Diplomazia energetica italiana di fronte alla prova ucraina è una rubrica di Francesco Sassi per RivistaEnergia.it.

Abbiamo pubblicato finora le analisi:

Azerbaijan, 14 marzo

Algeria e Libia, 5 marzo

Francesco Sassi è dottore in geopolitica dell’energia presso l’Università di Pisa e analista dei mercati energetici presso Rie-Ricerche Industriali ed Energetiche


Foto: Unsplash

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