Forte rimbalzo dei consumi post-pandemia e interesse crescente dallo scoppio della guerra in Ucraina: la ripresa del carbone non sembra arrestarsi, suscitando forti preoccupazioni per il 2022. Per avere qualche anticipazione, dopo aver ricostruito il contesto e le ragioni, è importante osservare quali paesi sono tornati al carbone lo scorso anno e per quali usi energetici.
Così come avvenuto nel 2020, anche nel 2021 le disparità in termini di consumi di carbone fra i vari bacini sono state evidenti. L’aumento della domanda è stato, infatti, meno marcato a Est, con l’Asia Pacifico che registra circa +5% e la Cina +4,6%, rispetto a Ovest, con USA +15%, Unione Europea +12%.
Ma andiamo per ordine e partiamo da Oriente. Nel 2021, ancora una volta, la Cina si conferma il key player del mercato. Nonostante gli sforzi intrapresi in un’ottica di decabornizzazione e progressivo phase out dal carbone, Pechino continua ad essere il principale consumatore e produttore di questa fonte, assorbendo da solo circa il 50% del totale consumato nel mondo, mentre le sue centrali elettriche (incluso il teleriscaldamento) che ancora producono circa il 65% dell’elettricità del paese, assorbono 1/3 della domanda globale.
Unico paese ad aver registrato un aumento nel 2020, seppur lieve (+1%), la Cina segna una nuova crescita nel 2021, quantificabile in circa un +4,6% (il tasso maggiore in un decennio) e ascrivibile, da un lato, alla ripresa economica e, dall’altro, alle misure di supporto che il governo ha riconosciuto al settore dell’acciaio, del cemento e alle altre industrie coal intensive.
Una domanda che corre ancora più veloce dell’offerta e che, nonostante gli sforzi profusi dal governo per potenziare al massimo la produzione e contenere le estrazioni illegali, ha costretto a metà anno molte imprese manifatturiere a sospendere le loro attività. Nella provincia del Guangdong, ad esempio, il distretto della ceramica ha tagliato l’output del 70%, mentre in quella dello Yunnan a contrarsi dell’80% è stata la produzione di cemento.
L’aumento della domanda di carbone è stato meno marcato a Est vs Ovest
In India, i consumi complessivi di carbone sono cresciuti di circa il 13% sull’anno precedente, con questa fonte che ha coperto oltre il 70% del mix di generazione del paese. Qui, a differenza della Cina, le politiche climatiche sono “meno esigenti” e, oltre a procrastinare di un decennio il raggiungimento del target net zero emissions, non fanno mistero sul ruolo di spicco riconosciuto a questa fonte ancora per molti a anni a venire.
A trainare la domanda, un’economia in ripresa nel post-Covid, un calo marcato della produzione idroelettrica e prezzi spot record del gas che hanno limitato un più massiccio ricorso a questa fonte. La produzione di carbone, però, non è riuscita sempre a stare al passo con la domanda, tanto che gli operatori sono stati costretti a intaccare pesantemente le scorte, giunte a livelli critici (al di sotto di 4 giorni di copertura).
La Cina si conferma il principale consumatore al mondo di carbone, con una domanda in lieve crescita (+5%)
In linea, invece, con i due anni precedenti i consumi del carbone in Giappone, che a differenza di altri paesi non ha avuto la necessità di aumentarne l’utilizzo, nemmeno nel comparto della generazione elettrica, in ragione del fatto che i prezzi del gas, essendo indicizzati al petrolio piuttosto che a valori record spot, non hanno subito grosse oscillazioni al rialzo, tali da favorirne lo switch. Prova ne sia che nel corso del 2021 la produzione netta di elettricità prodotta da gas è stata sempre superiore a quella del carbone, mentre quest’ultima è risultata minore rispetto a quella registrata nel 2020. Il tutto in linea con la politica di decarbonizzazione posta in essere dal governo.
Spostandoci ad Occidente, negli USA, secondo i dati EIA DOE, complessivamente nel 2021 la domanda di carbone è aumentata del 15% rispetto all’anno precedente, in ragione della ripresa economica post-pandemia – che ha trainato con sé i consumi tanto dell’industria quanto del comparto elettrico – e dell’aumento dei prezzi del gas, ai massimi da decenni e su livelli il doppio vs il 2020.
Proprio il comparto della generazione elettrica, che assorbe oltre il 90% dei consumi totali di carbone, conosce, per la prima volta dal 2014, un balzo in avanti (+16%), guadagnando 3 punti percentuali di share sul mix elettrico (dal 20% al 23%) ed erodendo spazio al gas (che dal 39% passa al 37%) e al nucleare che perde 1 punto fermandosi al 20%, mentre rimane stabile l’apporto delle FER al 20%. Una crescita che assume ancora più rilevanza nel contesto di strutturale declino che questa fonte ha conosciuto negli ultimi anni. Dal 2011 a fine 2021, infatti, quasi 95 GW di capacità di carbone sono stati ritirati, a fronte di appena 8,5 GW di nuove centrali operative, tutte tra l’altro entrate in funzione prima del 2013.
Crescita inattesa negli USA (+15%) e nei paesi dell’Unione Europea (+12%)
Nell’Unione Europea, i dati di Eurostat ci indicano per l’anno scorso un consumo complessivo di carbone nell’intorno dei 437 milioni di tonnellate, in aumento di quasi il 12% rispetto al 2020. Benché a crescere siano tanto i consumi dell’industria, quanto quelli del settore elettrico, è tuttavia in questo comparto che si registra un vero e proprio rebound: quasi +20% sul 2020, per una quota sul mix elettrico del 15%, in aumento di 2 punti percentuali sull’anno precedente. Si tratta di un’inversione, probabilmente temporanea, del trend di decrescita che la generazione a carbone aveva intrapreso senza soluzione di continuità dal 2014.
Tuttavia, nonostante l’aumento a due cifre, in valori assoluti i TWh di energia elettrica prodotti a carbone sono stati leggermente più bassi (-3%) di quelli registrati nel 2019, prima della diffusione della pandemia. Varie le ragioni alla base di questo trend: da un lato, una ripresa dei consumi elettrici cresciuti di quasi il 4%, trainati soprattutto dalla ripartenza economica e da un inverno particolarmente freddo (il mese di aprile 2021 è stato il più freddo dal 2003). Dall’altro, prezzi spot del gas naturale su livelli record (in media più che quadruplicati rispetto al 2020) che hanno reso più competitiva la generazione a carbone, nonostante, e il dato assume ancora più rilevanza, quest’ultima fosse svantaggiata da prezzi dei permessi di emissione in aumento di quasi il 120% sul 2020 (da 24,7 a 53 euro/tonn).
Cresce il carbone nella generazione elettrica in USA (+16%) e UE (+20%), invertendo il trend di decrescita dal 2014
Se spostiamo l’attenzione sui singoli paesi membri, le differenze in termini di consumo di carbone per la generazione elettrica sono state molto marcate, per il diverso peso che questa fonte e il gas, a cui il carbone ha eroso spazio, riveste nei singoli mix elettrici.
In assoluto, il paese più dipendente dal carbone è stato la Polonia, dove questa fonte ha coperto il 70% del mix elettrico. Seguono a distanza la Repubblica Ceca con uno share del 40%, la Bulgaria 38% e la Germania, dove lo scorso anno grazie al carbone è stato prodotto quasi il 30% di elettricità (+5 punti percentuali rispetto al 2020). In questo caso, a pesare è stato un calo del 12,3% della produzione eolica e il progressivo phase out delle centrali nucleari: fonte che nel 2022 dovrebbe essere abbandonata del tutto. Come si evince dal grafico, sono ancora molti gli Stati (6) che hanno una share superiore al 10%, mentre 7 sono quelli in cui il carbone copre meno del 10%, fra cui l’Italia che nell’anno appena concluso ha prodotto circa il 5% della sua elettricità a carbone. Nel nostro paese, questa fonte recupera rispetto ai due anni precedenti, erodendo terreno al gas.
Chiudiamo con Austria, Svezia e Belgio in cui il carbone ha coperto meno dell’1%, mentre la generazione elettrica di Cipro, Estonia, Lituania, Lettonia, Lussemburgo e Malta è risultata coal free.
Unico blocco regionale a segnare, invece, un calo della domanda di carbone è il Medio Oriente: -6% vs il 2020, dove dominante, soprattutto nella produzione di elettricità, rimane il gas che insieme a rinnovabili e nucleare coprono gran parte del mix di generazione.
La guerra russa-ucraina cambia gli scenari 2022
E nel 2022 cosa succede? Pur in assenza di dati definitivi e disponibili per tutti i paesi, è possibile tracciare le principali tendenze di mercato. In linea con le previsioni dei principali istituti di ricerca, su base annua, i consumi di carbone dovrebbero conoscere un ridimensionamento rispetto ai valori record dello scorso anno. Tuttavia, se a inizio 2022 la contrazione era prevista per tutti i principali bacini di consumo e generalizzata su tutto l’anno, a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, il contesto di base è completamente mutato e con esso anche le indicazioni di domanda.
Il principale scostamento di scenario si registra in Europa e per ovvie ragioni. Motivazioni strategiche (decisione di Mosca di tagliare le forniture di gas ai paesi che non pagano rubli e minaccia, nemmeno tanto velata, di chiudere i rubinetti verso tutti gli altri paesi europei) o volontà politica (5 e 6 pacchetto di sanzioni e conseguente embargo di carbone e petrolio) hanno già determinato (di più nei prossimi mesi) un ammanco di energia nel Vecchio Continente, che si sta adoperando per sopperirvi non senza difficoltà e a costi elevatissimi.
Si riaccendono le centrali a carbone in Europa
Non stupisce quindi che alcuni paesi europei abbiano fatto un più massiccio ricorso al carbone, che nelle previsioni doveva essere progressivamente abbandonato. La Germania, in primis, è tornata a bruciare carbone nelle sue centrali elettriche, per un consumo aumentato del 5,4% nel primo trimestre 2022 vs il pari periodo del 2021. Berlino, inoltre, ha previsto la riattivazione fino a 10 GW di vecchi impianti a carbone e il ritardo nel decommissioning di alcune centrali (inizialment eprevisto entro la fine dell’anno).
Václav Bartuška, l’ambasciatore generale per la sicurezza energetica per la Repubblica Ceca – paese che dipende dalla Russia per il 90% del suo gas – ha annunciato uno slittamento della data di phase out dal carbone, originariamente prevista per il 2023, mentre in Francia, Regno Unito e Portogallo non si esclude, in caso di emergenza, di riaprire centrali che ormai nessuno avrebbe pensato potessero tornare a produrre energia.
Aumentano le scorte e riprende la produzione, i paesi si preparano allo switch dal gas al carbone
Anche Oltreoceano, negli USA, gli alti prezzi del gas, sostenuti peraltro dall’aumento record delle esportazioni di questa commodity verso l’Europa, hanno incentivato uno switch gas/coal nella generazione elettrica, con consumi che, nel Q1 2022, sono stati quasi il 20% più alti vs all’ultimo trimestre dell’anno, benché in calo rispetto a inizio 2021.
Nel 2022 aumentano anche i consumi di carbone dell’India, soddisfatti però con un maggior ricorso alla produzione interna, in netta ripresa, rispetto alle importazioni dall’estero particolarmente costose, visto le quotazioni internazionali record.
Risultano invece in calo i consumi di altri paesi asiatici. In primis la Cina, che a causa delle restrizioni imposte per contenere una nuova ondata di contagi da Covid-19 ha visto rallentare la domanda, soprattutto quella delle industrie. Il paese, tuttavia, ha registrato nel primo trimestre dell’anno un aumento record della produzione interna (+10% sul pari mese 2021): volumi che sono andati a ricostituire le scorte (profondamente intaccate l’anno precedente) e che hanno sostituto le più costose importazioni (- 24,2% di carbone termico nel Q1 2022 vs Q1 2021).
Agata Gugliotta è analista di politiche energetiche, collabora con Rie-Ricerche Industriali ed Energetiche
Il post riprende contenuti sviluppati nell’articolo Carbone: nel 2021 crescita oltre ogni attesa pubblicato sulla Newsletter del GME di aprile 2022
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