Deroghe, esenzioni e riduzioni volontarie. Pensato per spuntare l’arma energetica russa, il piano Save Gas for a Safe Winter della Commissione è stato invece spuntato dagli stessi Stati membri, che ne hanno smorzato l’efficacia attraverso un grottesco groviglio di specifiche. Un rischio mal calcolato dalla Commissione che rafforza ulteriormente la posizione della Russia e crea pericolose condizioni all’interno del continente.
Difficile prevedere un inizio più in salita per il piano Save Gas for a Safe Winter (SGSW), presentato dalla Commissione Europea lo scorso 20 luglio 2022, alla presenza non solo di Ursula von der Leyen, ma anche di Franz Timmermans e Kadri Simson, rispettivamente responsabile per il Green Deal e Commissaria all’Energia. Un parterre che indica chiaramente l’altissimo profilo del pacchetto legislativo.
Dal riottoso Sud all’algido Nord si sono alzate in coro voci contrarie a quello che è apparso, a prima vista, un discreto piano strategico per limitare lo spazio di manovra russo. L’obiettivo, dichiarato dalla stessa Presidente von der Leyen, è spuntare la capacità di Mosca di “usare l’energia come un’arma.” Un concetto, quello di energy weapon, quanto mai di moda oggi ma la cui teorizzazione si presenta manchevole all’esame della crisi energetica attuale.
dal “tutti per uno, uno per tutti” al “si salvi chi può”
L’intenzione di SGSW appare chiara fin dal principio: ridurre rischi e costi per gli Stati membri in caso di interruzioni nelle forniture di gas, rafforzare la sicurezza energetica europea e fornire procedure prestabilite per gestire la difficile situazione che si prospetta nel prossimo inverno.
L’obiettivo fissato del 15% di riduzione della domanda di gas dal 1° agosto 2022 al 31 marzo 2023, legato a doppio filo al principio che l’energia risparmiata durante la stagione estiva (45 miliardi di metri cubi per la Commissione) sarà fondamentale durante il prossimo inverno. È stato però in larga parte rispedito al mittente da parte del Consiglio dei ministri dell’Energia riunitosi martedì 26 luglio.
Un taglio che diventa “volontaria riduzione” e che accetta “esenzioni e possibilità di richiedere deroghe” che riflettono le peculiari situazioni dei singoli paesi. Attraverso le deroghe si arriverebbe, secondo lo stesso Ministro Cingolani, a tagli della domanda attorno il 7% per il nostro Paese, ma verosimilmente applicabili per diversi altri Stati membri. Paradossale, perché questi sarebbero addirittura inferiori alle previsioni dalla stessa Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE) che prevede per il 2022 un calo della domanda di gas del 9% nel nostro continente.
Nei fatti, se così fosse, gli obiettivi di SGSW sarebbero stati raggiunti senza lo stesso iter ma attraverso gli effetti diretti del mercato: ovvero offerta limitata e alti prezzi a incidere su consumi sia domestici e industriali.
da Nord a Sud: a ciascuno il suo
Ma andiamo per ordine. Diverse le categorie che potranno essere esentate dall’applicazione del piano. Si va dai membri definiti come isole energetiche e geografiche, ovvero Stati come Irlanda, Cipro e Malta, a quei paesi non sincronizzati con la rete elettrica europea o molto dipendenti per la produzione elettrica – leggere paesi Baltici. Per loro, l’esenzione dai parametri di SGSW è già data per scontata.
A richiedere invece una possibile deroga sarà un copioso numero di Stati membri. Innanzitutto, vi sono quelli con limitata capacità di interconnessione e in grado di utilizzare le proprie infrastrutture di rigassificazione del GNL per reindirizzare gas ad altri paesi membri. Su tutti, Portogallo e Spagna, con quest’ultima ad essere stata la prima ad alzare barricate, laddove all’annuncio della Commissione il governo di Madrid è corso immediatamente in supporto al proprio settore industriale.
Vi sono poi quei paesi che hanno già oltrepassato gli obiettivi di stoccaggio, come Polonia e Danimarca, Svezia e Repubblica Ceca, anch’essi già in grado di richiedere una deroga. Varsavia aveva da tempo avanzato forti critiche a qualsiasi meccanismo di solidarietà che implicasse una riduzione della sicurezza energetica del Paese. Un’affermazione che susciterebbe fragorose risate, se non ci trovassimo in questa situazione.
Continuando, vi sono i paesi che dipendono dal gas come combustibile per industrie di importanza critica – anche se rimane evidente che senza una specifica importante da parte del legislatore, ad ora del tutto assente, saranno molti gli Stati in grado di poter ambire a questa deroga. Ad esempio, che ne sarà dei settori industriali critici per la tenuta dell’economia tedesca e di quella italiana? Pare già evidente che il nostro governo richiederà tale esenzione, visto che Roma ha espresso nettamente la propria contrarietà alla bozza iniziale di SGSW attraverso una lettera indirizzata a Bruxelles e le clausole di deroga inserite del piano varato dal Consiglio corrispondono ai contenuti della lettera stessa.
Infine, potranno richiedere una deroga quei paesi dove il consumo di gas è incrementato di almeno l’8% nel 2021 rispetto la media degli ultimi 5 anni. Con questi ultimi criteri, la lista dei paesi esentati si allunga a Grecia, Slovacchia e Bulgaria, con quest’ultima che si trova tagliata fuori dagli approvvigionamenti di Gazprom da fine aprile e stoccaggi a poco più del 40%.
Neanche a dirlo, l’Ungheria di Viktor Orbàn che da pochi giorni ha approvato una legge per impedire l’esportazione di energia dal Paese e che sta negoziando con Mosca ulteriori forniture, si è già contata fuori e rimane l’unico Paese ad aver votato contro il piano di razionamenti.
Carbone, petrolio e nucleare: il Save Gas for a Safe Winter manda in soffitta il REPowerEU
Una priorità, quello del risparmio di gas, che primeggia su tutti gli altri obiettivi avanzati dalla Commissione, incluso quello della transizione energetica. Se infatti quelle fonti a basso impatto carbonico rimangono le preferite in alternativa al consumo di gas, SGSW sancisce ulteriormente carbone, petrolio – e nucleare – come fonti “necessarie come misura temporanea” per implementare iniziative atte alla riduzione dei consumi di gas.
Ennesima riprova che, nonostante i proclami, le fonti rinnovabili abbiano un valore soltanto relativo nella strategia adottata da Bruxelles per disfarsi della dipendenza dalle fonti fossili russe. Questo almeno nel breve periodo. Una strategia che paradossalmente rischia di rendere strutturale un maggiore utilizzo di fonti ad alto impatto carbonico nel futuro, contrariamente a quanto indicato anche nel programma REPowerEU.
Da questo punto di vista, vale anche la pena sottolineare l’inversione a U di istituzioni finanziarie europee, pronte oggi a supportare la realizzazione di nuovi terminal per GNL necessari ad aumentare gli approvvigionamenti e azzerare la dipendenza da Mosca.
L’errore della Commissione: la clausola per assumere pieni poteri esecutivi
La clausola inclusa in SGSW, che più di tutte ha amplificato le divisioni in seno al Consiglio, è stata la possibilità di introdurre una cosiddetta “Union Alert”, ovvero un allarme generalizzato sugli approvvigionamenti o domanda troppo intensiva di gas che innescherebbe automaticamente tagli obbligatori ai consumi nei singoli Paesi membri.
Dapprima la proposta prevedeva l’introduzione del meccanismo per due anni, abbassato a uno solo dopo le intense negoziazioni. Infine, soltanto in presenza di un comprovato piano per la riduzione della domanda, gli Stati membri potranno richiedere l’attivazione della clausola di solidarietà. Un principio comunitario dunque sotteso a legittimare un’assunzione di autorità senza precedenti da parte della Commissione, la quale verrebbe investita di pieni poteri esecutivi, con un impatto diretto sulla vita domestica e lavorativa dei cittadini europei.
Non sorprende quindi che, a poche ore dalla presentazione di SGSW, una quantità impressionante di esecutivi europei, molto al di là del classico e fuorviante divario Nord – Sud da molti utilizzato in questo caso, abbiano sollevato dubbi considerevoli.
La mancanza di consultazioni precedentemente la presentazione del Piano è, occorre dirlo, un chiaro errore di postura di Bruxelles.
Le autolesionistiche implicazioni del “balletto” europeo
Le conseguenze strategiche di questa scelta non possono essere negate in questa fase. Innanzitutto, il taglio al 15% obbligatorio richiesto dalla Commissione per tutti gli Stati membri si è rivelato un bluff che i vari esecutivi europei, da sempre con piena autonomia in materia di scelte energetiche strategiche (inclusi possibili razionamenti), non hanno esitato ad andare a vedere.
Di fatto, le deroghe previste dall’accordo finale del Consiglio smorzano la possibilità di impedire l’applicazione selettiva della stessa clausola di solidarietà, scolorendo fortemente le possibilità della Commissione di imporre una riduzione della domanda agli Stati membri.
Un’ennesima prova che lo scenario politico europeo rimane saldamente nelle mani dei vari governi, piuttosto che a Bruxelles, e che la crisi energetica strutturale in corso nel nostro continente pone le pericolosissime condizioni affinché forze centripete e a carattere nazionalista, innescate dal conflitto ucraino e dall’utilizzo sagace dello strumento energetico da parte del Cremlino, si incuneino alla base delle fondamenta comunitarie.
Il rischio, sinora mal calcolato dalla Commissione, è che questo dapprima distacchi i vari esecutivi degli Stati membri dall’intento originale di gestire a livello comunitario la crisi energetica e secondariamente indebolisca il fronte di sostegno all’Ucraina in seno a Bruxelles.
3 evidenti errori: tempistiche; favorire la competizione intra-europea; la vaghezza di alcuni punti cardine
Tre le questioni che si preme sollevare in conclusione. La prima è la necessità di comprendere il perché la Commissione non abbia deciso di stabilire un piano di riduzione della domanda lo scorso maggio, quando ci trovavamo già in evidente crisi e in anticipo rispetto una torrida estate che sta vedendo molte nazioni europee aumentare i propri consumi di elettricità, e quindi anche di gas, proprio per le alte temperature e la limitata capacità di fonti alternative come nucleare e idroelettrico. In tal senso, un intervento più tempestivo avrebbe consentito l’imposizione di obiettivi di taglio alla domanda più incisivi e di ampio respiro, visto il maggiore margine di manovra consentito dalle tempistiche a disposizione e le contromisure messe in atto.
Il secondo punto che vale la pena approfondire è l’implicito invito dello stesso piano agli Stati membri per accelerare la campagna di stoccaggi, raggiungere e superare l’obiettivo dell’80%, potendo successivamente chiedere una deroga sui tagli alla domanda. In mancanza di una funzionante piattaforma per gli acquisti comuni di gas in Europa, tanto sbandierata quanto inoperosa, gli Stati non potrebbero far altro che aumentare la competizione ad attirare volumi di gas (via gasdotto o GNL) per un’offerta che va sempre più riducendosi, sia per i tagli alle forniture russe che per motivazioni di natura tecnica, come il guasto a Freeport LNG, o di carattere politico/sociale.
Il giorno della firma del piano, il drammatico rialzo dei prezzi del TTF a €214/MWh per il mese di agosto e a oltre i €150/MWh per il secondo trimestre del prossimo anno – prezzo duplicato da maggio – parla chiaro. La crisi del gas si sta strutturando lungo tutta la curva e che le rassicurazioni ripetute come un mantra dalla Commissione per mesi sulla brevità dello squilibrio dei mercati si stanno sciogliendo al torrido caldo estivo.
Il terzo punto riguarda infine la vaghezza di alcuni punti cardine dell’accordo siglato il 26. In particolare, la clausola di deroga per i settori industriali critici apre, così per com’è stata presentata, una via di fuga generalizzata per tutti gli Stati membri in grado di presentare come necessaria la continuità di filiere industriali nazionali per la stessa economia del Paese.
Al contrario, la concessione selettiva di deroghe in tal senso innescherebbe un domino politico e in chiave antieuropeista che sarebbe difficilmente gestibile in una situazione economico-sociale precaria e con la possibilità di razionamenti alle popolazioni di alcuni Stati membri dettati dall’esigenza di mantenere funzionanti filiere produttive di altri.
Una prova che, al netto dei risultati elettorali in Italia del prossimo 25 settembre, dovrebbe far riflettere chiunque si candidi a governare il nostro Paese in questa situazione, resa ancor più drammatica dalla pochezza della strategia della Commissione Europea.
Francesco Sassi è dottore in geopolitica dell’energia presso l’Università di Pisa e analista dei mercati energetici presso Rie-Ricerche Industriali ed Energetiche
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