Non solo il quanto, ma soprattutto il come. Vi sono questioni della transizione verso le rinnovabili che non possono essere trascurate: la programmazione delle risorse non rinnovabili, per compensarne l’intermittenza e limitare lacune e ridondanze, e l’adeguamento delle reti, sia in alta che in media e bassa tensione. Serve un direttore d’orchestra, ma il MITE sembra ancora privo di una capacità di indirizzo e di comando strutturata ed affidabile.
Le fonti rinnovabili continuano ad essere al centro dell’attenzione in relazione alle strategie energetiche presenti e future. È giusto che sia così, sia nell’ottica della decarbonizzazione dell’economia europea, sia per il contributo che possono dare alla riduzione della dipendenza dal gas russo (e dal carbone) nella produzione di elettricità. Proprio per questo, occorrerebbe un salto di qualità, non solo sul lato dell’accelerazione delle autorizzazioni, questione sul cui il Governo ha lavorato molto.
Dal dibattito degli ultimi mesi e da numerosi contributi (vedi Giuseppe Zollino et al. su ENERGIA 2.22) si è cominciato a mettere nel piatto dell’analisi non solo il quanto, ma soprattutto il come. Stimare il contributo possibile delle rinnovabili semplicemente moltiplicando potenza installabile per ore di funzionamento restituisce una visione povera ed inefficace. Ci sono piuttosto almeno due altre questioni che vanno attentamente analizzate.
2 questioni da non trascurare: programmazione (per limitare lacune e ridondanze) e adeguamento delle reti
La curva della domanda di energia elettrica, con i suoi andamenti giornalieri e stagionali, e la curva dell’offerta che, soprattutto per eolico e solare, le due fonti principali, presenta andamenti molto discontinui nelle varie ore del giorno e nelle diverse stagioni. Ciò implica una programmazione delle altre risorse (domanda inclusa) non semplice e che va analizzata attentamente per evitare per quanto possibile sia lacune che ridondanze.
La seconda questione riguarda la capacità della rete sia di media-bassa che di alta tensione non solo di ricevere i nuovi apporti, spesso con potenze importanti, ma anche di trasportare l’energia prodotta là dove deve essere consumata.
Stranamente queste due questioni, centrali e imprescindibili, sembrano venute all’attenzione di chi deve dare risposte esaurienti solo negli ultimi tempi. E infatti abbiamo assistito a un balletto di cifre relativamente alla potenza installabile e necessaria con obiettivi continuamente modificati nel tempo e nella quantità.
Dai 60 GW in tre anni proposti alcuni mesi fa da Elettricità Futura ai più recenti 85 GW entro il 2030 indicati a fine giugno sempre da Elettricità Futura. Ipotesi quasi mai supportate da dati convincenti: più una lotteria che il frutto di un’analisi seria.
Gli operatori presentano domande di connessione senza curarsi dello stato delle reti
A guidare la partita fino ad oggi son stati prevalentemente gli operatori che hanno affollato le reti di domande di connessione, restando completamente ciechi rispetto allo stato effettivo della rete in relazione alle esigenze sopra descritte. Con casi mostruosi come quello siciliano e sardo con richieste di connessione anche 20 volte superiori alla richiesta di punta di quei territori e con carenze strutturali di reti di connessione.
Ora TERNA promette in un tempo relativamente breve un’analisi più meditata ed approfondita. Ma la questione non si esaurisce qui. Per almeno due motivi.
L’analisi ci mostra che l’impegno riguarda sia la rete di alta che quella di media e bassa tensione, in parti quasi uguali (la maggior parte dell’eolico afferisce la rete di alta, ma il fotovoltaico la fa da padrone sulle reti di distribuzione).
Non solo reti in alta tensione, ma anche media e bassa: come e quando pensano di intervenire Enel e le ex-municipalizzate?
Un analogo impegno non è noto da parte dei gestori della rete di media e bassa, Enel e le ex-municipalizzate, che pure sono grande parte del problema. Mentre si manifestano sempre più frequentemente segni di stress e di difficoltà di gestione proprio su queste reti, compresi i micro-blackout prodotti dalle temperature di questi giorni.
Fra l’altro, i piani di investimento delle utility che posseggono reti di media e bassa sono oggetti quasi sconosciuti e assai poco discussi pubblicamente. Mentre rivestono e rivestiranno un’importanza decisiva nella transizione verso le rinnovabili, un vero sistema nervoso sempre più sofisticato.
Leggo che in un recente seminario promosso da EF, per esempio, il Vice Presidente di CESI segnala che l’85% degli intelligent electronic devices (cosiddetti ‘smartmeter’) installati sulla rete falliscono i test di affidabilità. E un esponente di A2A ha segnalato per MiIlano una densità di potenza 45 volte superiore alla media nazionale con enormi difficoltà di gestione. Idem per Roma con domanda di picco destinata a crescere di più un terzo nei prossimi 10 anni.
Ci sarà quindi bisogno di enormi investimenti, nell’ordine di decine di miliardi, che inevitabilmente dovranno essere remunerati dalle tariffe.
2 domande per gli investimenti sulle reti: il metodo di remunerazione è ancora quello giusto? A chi deve essere affidata la vigilanza?
Ci sono allora due ulteriori domande. In primo luogo, l’attuale metodo di remunerazione – basato fondamentalmente sul capitale investito – è ancora quello giusto? Il driver deve essere la quantità di “ferro”, più o meno intelligente, installata sule reti e remunerata a tasso fisso o piuttosto un’analisi di efficacia degli investimenti e un criterio più prestazionale e meno quantitativo?
ARERA da qualche tempo ha proposto e stimolato riflessioni su questo e ha recentemente sviluppato documenti di consultazione e un nuovo documento che occorrerà studiare con attenzione.
In secondo luogo, a chi deve essere affidata la vigilanza, visto che si tratta di reti date in concessione e remunerate dagli utenti? Molti fanno riferimento al sistema inglese dotato di una struttura ad hoc completamente indipendente, mentre nel caso italiano la probabilità di essere “catturati” dai principali gestori delle reti è molto alta e ARERA non sembra dotata delle risorse necessarie per le attività di vigilanza.
Anni fa si è scelto di incorporare in TERNA il Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale (GRTN) che doveva svolgere proprio questa funzione. È stata una scelta lungimirante?
La pluralità di soggetti crea più cacofonia che chiarezza e coerenza
Ora, non si vuole ulteriormente affollare il numero dei soggetti che dovrebbero vigilare e determinare le caratteristiche del sistema elettrico italiano (Autorità, GSE, Acquirente Unico, GME, ENEA, RSE, TERNA, etc.) ma solo notare che questa pluralità di soggetti produce più una discreta cacofonia che indicazioni coerenti e che il MiTE sembra ancora privo di una capacità di indirizzo e di comando strutturata ed affidabile.
La questione non è rinviabile. Senza un ragionamento serio sul futuro delle reti, ivi compreso il loro futuro assetto proprietario, molte delle cose proposte corrono nel rischio di scontrarsi con una realtà assai poco accogliente.
Chicco Testa è presidente di FISE Assoambiente
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Foto: Unsplash
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