Partendo dai (magri) risultati dell’ultimo incontro a Glasgow, ENERGIA 1.22 ha pubblicato alcune proposte per rafforzare il processo decisionale delle Conferenze delle Parti, il più importante vertice internazionale sui cambiamenti climatici. In vista della COP27 di Sharm el-Sheikh, proponiamo la lettura integrale dell’analisi di GB Zorzoli.
“Con la sua accurata disamina delle dinamiche che hanno caratterizzato la Conferenza ONU di Rio de Janeiro e le successive COP, dove «tutti i paesi avevano pari voce col vincolo del consenso per ogni decisione che venisse adottata» (1), Alberto Clô ha fornito una incontestabile documentazione di come questa procedura abbia determinato sia compromessi nella definizione di obiettivi per lo più generici, sia il carattere volontario di queste proposte, «evidenziando la discrepanza tra la retorica delle buone intenzioni e la realtà dei fatti»(2).
Secondo Clô, si potrebbe conciliare l’attuale governance delle COP con l’istituzione di «tavoli tecnici», che affrontino tematiche ben circoscritte, relative a specifici comparti produttivi e siano partecipati da un numero significativo di imprese globali, impegnate a conseguire l’obiettivo della neutralità carbonica (…).
Condivido appieno la proposta e il suggerimento di puntare innanzitutto su settori industriali ad elevata intensità emissiva, ma va tenuto presente che il successo della transizione a una società net-zero dipende in misura rilevante dalla capacità di indirizzare gli investimenti verso attività industriali in linea con il processo di decarbonizzazione.
Potrebbe essere quindi più efficace iniziare con un tavolo tecnico tra le grandi società di investimento, i cui indirizzi influenzerebbero i principali settori produttivi in un numero elevato di paesi e, in quanto motivati dalla garanzia di una maggior protezione delle risorse finanziarie allocate, inevitabilmente orienterebbero anche le decisioni di chi non ha partecipato al tavolo tecnico, in particolare di almeno alcuni tra i paesi del mondo caratterizzati da economie ancora fortemente centralizzate, «crucialmente rilevanti per la questione climatica» (4).
Un tavolo tecnico tra grandi società di investimento, i cui indirizzi influenzerebbero i principali settori produttivi in un numero elevato di paesi
Oltretutto, questo tavolo tecnico già esiste in nuce. È il Portfolio Alignment Team, messo in piedi dall’inviato speciale dell’ONU per il clima e la finanza, Mark Carney, cui partecipano William Anderson (Bank of America), Jack Owens (COP26 Private Finance Hub), Dia Desai (HSBC), Eneko Parron (BBVA), Ida Hempel (Generation I), Carter Powis (McKinsey), Emma Jones (Goldman Sachs), Yuxi Suo (Blackrock), Lauren McNicoll (JPMorgan Chase)(5).
Gli strumenti messi a punto per misurare l’allineamento dei portafogli dell’investitore e del finanziatore, con l’obiettivo di contenere l’incremento della temperatura globale entro 1,5°C, sono descritti in modo sufficientemente dettagliato in un recente rapporto di McKinsey (6). Il rapporto mette innanzitutto sotto la lente d’ingrandimento il calcolo delle «emissioni finanziate», che è lo strumento finora maggiormente adottato nel settore della finanza globale per misurare l’impatto climatico delle proprie operazioni.
Quando un’istituzione finanziaria investe in un’impresa, le concede un credito o l’assicura, mette il beneficiario in condizione di promuovere una nuova attività o di potenziarne una esistente: in entrambi i casi verranno prodotte emissioni climalteranti, che in misura proporzionale l’istituzione finanziaria include nella propria impronta carbonica. La somma di tutte le emissioni finanziate misura l’impatto climatico del suo operato.
Il rispetto del limite a 1,5°C del riscaldamento globale (7) non richiede però soltanto il raggiungimento della neutralità carbonica, ma dipende anche dall’ammontare complessivo di gas serra emessi lungo il percorso per conseguirla. Poiché di conseguenza la variabile «tempo» può essere determinante, il calcolo delle emissioni finanziate può informare il finanziatore sulla sua attuale impronta carbonica, non sul percorso da intraprendere per contribuire al rispetto del limite di 1,5°C.
Le istituzioni finanziarie dovrebbero considerare il diverso punto di partenza tra economie sviluppate e quelle emergenti
Inoltre, visto che le industrie nelle economie sviluppate devono ridurre le emissioni più rapidamente della media globale, il calcolo delle relative emissioni finanziate dovrebbe tenere conto di questa esigenza, mentre un approccio opposto va adottato per le economie emergenti. Se non tengono conto di questa cruciale differenza, le istituzioni finanziarie rischiano di perseguire strategie climatiche irrealizzabili o inadeguate. Infine, la semplice misura delle emissioni può incoraggiare a evitare il finanziamento dei grandi emettitori e a privilegiare le imprese a bassa emissione, riducendo però il contributo al contenimento del riscaldamento globale.
Per ovviare a questi limiti, il Portfolio Alignment Team ha lavorato con le principali aziende e con diversi esperti per codificare uno strumento di valutazione delle emissioni finanziate che tiene conto sia delle diversità geografiche e settoriali, sia della traiettoria prevista per gli investimenti effettuati e del conseguente effetto sul budget carbonico.
Secondo il rapporto McKinsey, i Portfolio-alignment tools possono facilitare i cambiamenti rispetto agli attuali approcci alla strategia climatica e ai processi decisionali, ad esempio consentendo di estendere i finanziamenti ai grossi emettitori senza appesantire la propria impronta carbonica, purché essi contribuiscano alla dismissione o alla decarbonizzazione degli asset esistenti e l’obiettivo sia realizzato con successo.
Tuttavia, per passare dagli auspici alla validazione sul campo di questo meccanismo da parte di un tavolo tecnico, occorre sciogliere prioritariamente un altro nodo. Chi ha l’autorevolezza richiesta per esercitare una moral suasion in grado di indurre un numero adeguato di grandi investitori istituzionali a costituire un tavolo tecnico, accettando a priori di considerare vincolanti le sue decisioni?
Quale player può indurre i grandi investitori a prendere parte a un tavolo che adotterà decisioni vincolanti?
Sarà per colpa della mia insufficiente immaginazione, ma per questo come per qualsiasi potenziale tavolo tecnico non riesco a immaginare soggetti capaci di svolgere un simile compito al di fuori delle istituzioni politiche. L’ONU sarebbe quella più appropriata per iniziative del genere, ma la sua azione avrebbe maggiore probabilità di successo se fosse sollecitata dai governi dei paesi dove ha sede la maggior parte dei potenziali partecipanti ai tavoli tecnici. Per i due tavoli indicati da Clô e dal sottoscritto (ma probabilmente anche per gli altri) non si potrebbe prescindere dalla presenza, tra i richiedenti, degli Stati Uniti e dell’Unione Europea.
Ma tra meno di un anno (novembre 2022) gli elettori americani saranno chiamati a rinnovare per intero la Camera dei Rappresentanti e per un terzo il Senato. Secondo le previsioni oggi prevalenti, i Democratici perderanno il controllo di entrambi i rami del Congresso, rendendo plausibile il ritorno nel 2024 alla Casa Bianca di un Repubblicano: Trump o uno con gli stessi orientamenti per quanto riguarda la politica climatica (…).
Insomma, cacciata dalla porta, la politica rientra con tutto il suo peso dalla finestra, con connotazioni anche altrove contrassegnate dalla crescente incomunicabilità tra aree e ceti sociali favoriti dallo sviluppo economico degli ultimi decenni e quelle periferiche, dove «prevale la sensazione che non sia certo lì che le cose succedono, e si è un po’ tagliati fuori» (11). Questa dinamica, psicologica oltre che economico-sociale, spinge una parte rilevante dei cittadini a cultiver son jardin, cioè a fare scelte che riducono o estinguono del tutto la propensione ad occuparsi di problematiche globali come quella climatica. Lo confermano in Europa e nel Continente americano i più recenti risultati elettorali e le previsioni per gli Stati i cui cittadini saranno chiamati alle urne nel corso del 2022.
Pertanto, possiamo solo augurarci che, come auspicato da Clô, nei principali operatori finanziari e industriali maturi in tempo utile la consapevolezza del proprio interesse a perseguire efficaci strategie di decarbonizzazione”.
Il post è un estratto dall’articolo di GB Zorzoli Il ruolo delle grandi società di investimento (pp. 44-46) pubblicato su ENERGIA 1.22
GB Zorzoli è membro del Comitato scientifico di ENERGIA
Foto: Unsplash
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