La Cina sta puntando la riserva di Simandou in Guinea, la più grande riserva mondiale di minerale di ferro di alta qualità non sfruttato al mondo. L’obiettivo principale è geopolitico: ridurre la propria dipendenza dalla democratica Australia. Ma tra le implicazioni vi sono quelle sulla sua capacità di incidere sui prezzi e di ridurre le emissioni del comparto siderurgico (rendendo più difficile l’ambizione europea dell’acciaio verde).
Nel 1921 il Giappone si trovava in crisi con l’approvvigionamento di acciaio per la sua industria bellica a causa della dipendenza dall’acciaio americano. L’embargo americano ritardò i programmi dell’Impero del Sol Levante impedendo il varo e il completamento delle sue navi nei tempi previsti. Su come sia andata a finire sono stati scritti molti libri di storia moderna.
Senza scomodare la teoria vichiana dei corsi e dei ricorsi storici forse stiamo rivivendo questo precedente storico se ci soffermiamo ad analizzare l’evidente vulnerabilità di Pechino, oggi, a causa della sua dipendenza dal minerale di ferro dall’Australia.
Nella visione del presidente Xi Jinping, i regimi più autocratici rappresentano una maggiore stabilità per le sue linee di approvvigionamento rispetto alle democrazie che sono, o potrebbero diventare, ostili alla Cina.
La Cina si fida più delle autocrazie che delle democrazie
E questo è proprio il caso dell’Australia: la proposta di Canberra per un’indagine internazionale sulle radici del COVID-19 ha irritato Pechino che, se ha potuto fare a meno del carbone australiano non è riuscita, per il momento, a rendersi indipendente dal minerale di ferro dell’Australia.
Mentre l’Australia rafforza il suo legame con il Quadrilateral Security Dialogue (Quad) con Stati Uniti, Giappone e India, formando de facto un contrappeso anti-Cina nell’Indo-Pacifico, per Pechino è sempre più scomodo poter essere condizionati dall’Australia, attualmente oltre il 60% delle sue importazioni, nell’approvvigionamento del minerale di ferro: il materiale di base dietro la propria infrastruttura militare dove la nuova portaerei, che si chiamerà Fujian, per il presidente Xi Jinping è probabilmente l’analogo di ciò che fu per Mao Zedong il possesso della bomba all’idrogeno.
Ma la soluzione il Dragone sembra averla già trovata nella Guinea, in una catena di colline che si estende per 110 km chiamata Simandou nota da decenni per contenere la più grande riserva mondiale di minerale di ferro di alta qualità non sfruttato, che la mancanza di infrastrutture ha protetto, sino ad oggi, in questa regione incontaminata.
Uno degli ostacoli più concreti allo sviluppo del colossale giacimento è la costruzione di una ferrovia di circa 650 km per collegarlo con un nuovo porto, in acque profonde, sulla costa, destinato a costare oltre 20 miliardi di dollari, dove le portarinfuse possano caricare il minerale per portarlo verso le fonderie in altri continenti.
Già perché questa ferrovia è destinata ad essere l’ennesimo “treno più lungo del mondo” come se ne vedono in Africa o in Brasile: costituiti da centinaia di vagoni, ben oltre i duecento, che trasportano anche 20.000 tonnellate di minerale di ferro per un valore di poco superiore al milione di dollari. Con questo minerale ci si possono produrre automobili, ma anche infrastrutture, turbine eoliche o portaerei.
In questi paesi, il minerale viene esportato senza essere processato e quindi senza valore aggiunto, senza portare alcun beneficio alle popolazioni locali ma semplicemente devastando il loro territorio.
La miniera di Simandou potrebbe catapultare la Guinea al centro del mercato mondiale del ferro
Fino ad oggi l’analisi dei costi ha sempre scoraggiato le compagnie minerarie private come Rio Tinto, che detiene da oltre vent’anni parte delle concessioni sul giacimento.
Ma qui non si tratta del ritorno sul capitale proprio o sul capitale dell’investimento effettivo: se la miniera di Simandou dovesse iniziare la produzione può trasformare il mercato globale e catapulterebbe la Guinea al centro del mercato mondiale per l’esportazione di minerale di ferro insieme all’Australia e al Brasile.
Nella Cina, la produzione di minerale di ferro è destinata ad aumentare ancora nei prossimi tre o quattro anni mentre il governo cinese lavora per aumentare la sua autosufficienza e ridurre le importazioni australiane, già diminuite significativamente negli ultimi anni. Poiché le compagnie minerarie cinesi operano all’estremità superiore della curva di costo del minerale di ferro nel paese e la qualità del minerale estratto localmente continuerà a diminuire le aziende cinesi danno priorità agli investimenti nelle miniere di ferro d’oltremare, come, appunto, il gigantesco deposito di Simandou.
Con le riserve di Simandou la Cina potrebbe incidere sulla determinazione dei prezzi internazionali.
Ma c’è di più, se la Cina sblocca le riserve di Simandou potrebbe incidere sulla determinazione dei prezzi internazionali del minerale di ferro come già accade in molti altri metalli: dalle terre rare al cobalto, dal nichel al rame solo per citarne alcuni.
L’Impero di Mezzo sta curando da anni le relazioni con il governo della Guinea e non è un caso che la nazione sia stata una delle prime a ricevere assistenza vaccinale contro il COVID-19. Per quanto il paese sia ora sotto una nuova giunta militare, guidata dal presidente ad interim Mamady Doumbouya, a seguito dell’ennesimo colpo di stato, Pechino ha dimostrato di sapersi districare egregiamente in queste situazioni, inoltre la Guinea garantisce già importanti forniture di bauxite all’industria cinese dell’alluminio attraverso i canali, ormai ben oliati, della Belt and Road.
Secondo Fitch Solutions la produzione di ferro della Guinea esploderà tra il 2025 ed il 2026 con aumenti del 250% del 570% rispettivamente, trainati proprio dalla produzione di Simandou e la parte del leone la farà la Cinache detiene larga parte delle concessioni con una serie di società come China Hongqiao Group, Yantai Port Group, Winning International Group, Aluminum Corporation of China.
La produzione raggiungerà i 210 milioni entro il 2030, ovvero quasi il 6% della produzione globale di minerale di ferro (rispetto allo 0,1% attuale).
Con riserve di minerale di ferro stimate in 4 miliardi di tonnellate, su 230 miliardi di tonnellate di riserve globali, suddivise tra i due progetti, la capacità produttiva annuale di Simandou è stimata in circa 200 milioni di tonnellate.
Implicazioni per la transizione energetica e la riduzione delle emissioni
L’area contiene circa 2,4 miliardi di tonnellate di minerale classificato con oltre il 65,5% di tenore in ferro, praticamente il più alto fino ad oggi rinvenuto, ed è questo che potrebbe fornire alla Cina un ulteriore vantaggio strategico in uno dei punti chiave della transizione energetica cioè la riduzione delle emissioni dell’industria siderurgica che rappresentano circa il 7-10% delle emissioni globali di gas serra.
Infatti il futuro del processo di produzione dell’acciaio, basato su idrogeno prodotto da fonti rinnovabili, attraverso la riduzione diretta del minerale di ferro, il processo DRI (Direct reduced iron), vede nella necessità di minerale di ferro di alta qualità uno dei suoi limiti (per approfondire si rimanda a Idrogeno, rottami e materia prima: gli ostacoli dell’acciaio verde)
Le impurità incidono fortemente sull’efficienza e sulla competitività del processo complessivo imponendo l’utilizzo di minerali con un contenuto medio di ferro come quello disponibile, in enormi quantità, a Simandou. Ma questi depositi sono scarsi e la loro disponibilità fondamentale per contenere i livelli di silice, allumina e fosforo che entrano nel forno per evitare un aumento proibitivo dei costi nella fase di produzione dell’acciaio nel forno elettrico ad arco.
Proprio in questi giorni al forum intergovernativo G7 tenutosi nelle alpi bavaresi, in Germania, i leader delle sette principali economie occidentali hanno formulato un nuovo piano di sviluppo, con investimenti per 600 miliardi, per le nazioni povere e quelle in fase di industrializzazione teso a contrastare l’ascesa della Potenza cinese in Asia e in Africa attraverso la “Belt and Road Initiative“.
E proprio l’Europa, che vede nel processo DRI e sul forno ad arco elettrico l’unico percorso plausibile per la produzione di acciaio “verde” che sia implementabile su larga scala, rimane per l’ennesima volta fuori dai giochi per l’accesso ad una materia prima fondamentale come l’acciaio.
Giovanni Brussato è ingegnere minerario e autore del volume Energia verde? Prepariamoci a scavare, ed. Montaonda
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