È possibile che un paese diventi energeticamente indipendente? E se lo fosse, siamo sicuri che sarebbe una buona strategia? Pubblichiamo un estratto dell’articolo di Daniel Raimi (Resources for the Future) Per piacere, smettiamola di parlare di indipendenza energetica (pp. 24-26) pubblicato su ENERGIA 2.22.
“Per decenni, i politici hanno inseguito questa chimera. Dopo la scottatura degli embarghi dei paesi arabi di fine anni 1960 e primi 1970, diverse generazioni di presidenti americani hanno promesso di rendere il Paese «indipendente» dalle tensioni del mercato petrolifero mondiale così da schermare gli elettori da possibili alti prezzi dell’energia.
Quando si utilizza questo termine, un lettore razionale è portato ad assumere che significhi, come da dizionario, «non soggetto al controllo di altri». Nel contesto dei mercati energetici, tale dipendenza non si manifesta tanto sui volumi delle importazioni energetiche, quanto sui prezzi. L’opinione pubblica non è interessata alla provenienza del petrolio, ma al suo costo. Ed è l’impatto sui prezzi derivanti dalle azioni di un paese, come la Russia, da cui i policymaker cercano di rendersi indipendenti.
L’opinione pubblica non è interessata alla provenienza del petrolio, ma al suo costo
Se un paese taglia le importazioni di petrolio dalla Russia, ne diviene quindi «indipendente»? Assolutamente no. Essendo il mercato del petrolio globale, una minore offerta (o una maggior domanda) ne aumenterà ovunque i prezzi, a prescindere da quanto e da dove lo si importa. Di conseguenza, gli alti prezzi che i consumatori si trovano comunque a subire sono la dimostrazione di come gli Stati Uniti – al pari di ogni altra nazione – siano dipendenti da decisioni prese a Mosca, Riyad, Pechino o altrove.
Gli Stati Uniti potrebbero aumentare la produzione al punto da divenire indipendenti, come alcuni sostengono? No. Si pensi per esempio al caso in cui gli Stati Uniti aumentassero la produzione di petrolio per compensare l’azzeramento delle importazioni russe. Questa maggior produzione aumenterebbe le entrate per i produttori – ammesso e non concesso che si traducano in profitti, ed è una grande incognita! – ma per i consumatori non riduce automaticamente l’impatto dei prezzi alla pompa. Questo perché gli attuali alti prezzi della benzina non sono legati alle importazioni americane bensì alle condizioni del mercato mondiale del petrolio.
Alti prezzi della benzina non sono legati all’import bensì alle condizioni del mercato mondiale del petrolio
Prendiamo in esame un altro ipotetico scenario: gli Stati Uniti aumentano la produzione in misura ancor più consistente e diventano esportatori netti di greggio e derivati. Ciò potrebbe tradursi –un’altra grande incognita! – in maggiori profitti per le compagnie petrolifere e benefici per le aree di produzione; e potrebbe anche portare a minori prezzi globali. Ma proteggerebbe i consumatori americani da eventuali shock dei prezzi derivanti da tensioni geopolitiche? Ancora un altro no.
Fintanto che gli Stati Uniti continueranno a consumare petrolio, non potranno essere energeticamente indipendenti. Se quindi tagliare le importazioni di petrolio dalla Russia e aumentare la produzione interna non rende indipendenti, cosa potrebbe renderlo? E se anche si trovasse un modo, siamo sicuri di volerlo davvero?
Come dovrebbe essere una vera indipendenza energetica?
Si può divenire «indipendenti» per una commodity di rilevanza globale (come il petrolio) a grandi linee in due modi. La prima opzione (altamente teorica) è quella di consumare solo quanto viene prodotto internamente. In questo modo, i prezzi interni si formerebbero nel punto di incontro tra domanda e offerta nazionale.
Gli ostacoli sono ovvi. Primo: gli Stati Uniti sono ancora grandi importatori netti di petrolio greggio(1). In anni recenti, hanno prodotto tra 9 e 12 milioni di barili al giorno a fronte di 15 e 17 milioni di barili al giorno consumati in prodotti raffinati (in massima parte benzina e gasolio). Per eguagliare offerta e domanda bisognerebbe aumentare di molto la produzione interna con investimenti che i produttori sosterrebbero solo in presenza di alti prezzi.
Sganciarsi dall’import isolerebbe il Paese dai benefici offerti dal mercato globale in situazioni di carenza d’offerta
Non meno importante, separare gli Stati Uniti dalle importazioni isolerebbe il Paese dai benefici offerti dal mercato globale in situazioni di carenza d’offerta. Come, ad esempio, quando produttori e raffinatori americani furono costretti a interrompere la loro attività nel Golfo del Messico a causa degli uragani, o quando i maggiori oleodotti dovettero chiudere per attacchi cibernetici(2). Il Paese fu costretto a rivolgersi alle forniture estere, senza le quali l’impatto sui prezzi sarebbe stato ancor peggiore. In breve, isolarsi dal mercato internazionale rischia di aumentare e non ridurre i prezzi interni.
La seconda opzione per attenuare la dipendenza per una commodity dall’estero è più attrattiva e prevede di ridurne il consumo. Nel caso del petrolio, le politiche statali e federali hanno già compiuto numerosi passi in questa direzione (si pensi agli standard fissati in ambito Corporate Average Fuel Economy e in tema di carburanti rinnovabili, oppure ai sussidi alle auto elettriche e ai Low-Carbon Fuel Standard fissati in California).
Sebbene queste politiche non abbiano sostanzialmente spinto gli Stati Uniti verso l’indipendenza dall’estero – dal 2000 il consumo di greggio e prodotti petroliferi si aggira intorno ai 20 milioni di barili al giorno(3) – rappresentano nondimeno gli strumenti più efficaci per riuscirvi. Essendo il petrolio utilizzato maggiormente nel settore dei trasporti, bisogna puntare su ulteriori miglioramenti nell’efficienza dei veicoli, sull’accelerazione della vendita delle auto elettriche, sulla continua ricerca di combustibili alternativi come la nuova generazione di biofuel e soluzioni innovative come la tecnologia «air-to-fuels»(4).
Sforzi simili riusciranno a realizzare un’effettiva «indipendenza» dal mercato petrolifero internazionale? È poco verosimile. Anche negli scenari in cui il mondo cerca di limitare l’aumento della temperatura a 1,5 °C entro il 2100, la domanda petrolifera è prevista ancora resistere per decenni nella petrolchimica e nel trasporto pesante, a livelli comunque inferiori a quelli attuali, così che balzi nei prezzi avranno minor impatto sulle tasche dei consumatori”.
Il post è tratto dall’articolo di Daniel Raimi Per piacere, smettiamola di parlare di indipendenza energetica (pp. 24-26), pubblicato su ENERGIA 2.22.
Daniel Raimi, Resources for the Future, Direttore del programma ‘Equity in the Energy Transition’.
Foto: Pexels
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