22 Settembre 2022

È possibile un libero mercato del gas europeo? La lezione del mercato petrolifero

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Come ha fatto il Brent a diventare un benchmark del mercato petrolifero trasparente, liquido ed affidabile, in grado di rimpiazzare l’Arabian light come riferimento mondiale? L’esperienza e il funzionamento del mercato petrolifero mostra chiaramente come non esistano le condizioni per la creazione di un mercato realmente libero del gas in Europa.

Ursula Von der Leyen è intervenuta sulla crisi del gas, evitando di pronunciarsi sull’introduzione di un tetto al prezzo ma auspicando la nascita di vari benchmark su cui basare il prezzo del gas europeo, ammettendo implicitamente che tale benchmark, ad oggi, non c’é.

Si tratta di una presa di posizione da comprendere a fondo e che ci consente di approfondire ulteriormente i termini del dibattito che si è sviluppato dopo la pubblicazione su RivistaEnergia.it della mia proposta per la determinazione del prezzo del gas al consumo in Italia, liberandoci del TTF e definendo un “possibile” tetto al prezzo del gas.

Questa proposta ha ricevute molte critiche anche severe (si vedano Benedettini e Stagnaro, e De Giorgio e Paltrinieri) quasi tutte incentrate sulla diversa valutazione del funzionamento della borsa di Amsterdam e della validità del TTF come parametro per misurare l’equilibrio del mercato europeo del gas. Visto l’effetto drammatico che l’uso del TTF sta determinando sull’economia italiana, appare fondamentale approfondire questo tema.

Per il petrolio, le transazioni che determinano il prezzo interessano appena ¼ della produzione mondiale

Nel mondo si producono circa 100 milioni di barili/giorno di petrolio. Circa 75-80 milioni vanno dal pozzo al consumo finale senza influenzare il prezzo del petrolio. Sono i barili destinati al consumo interno dei paesi produttori, quelli consegnati a paesi industrializzati che hanno eseguito opere presso i paesi produttori e sono ripagati in petrolio sulla base di accordi definiti anni prima, quelli utilizzati per ripagare debiti di lungo periodo o barter deals di varia natura. Tutti questi barili sono invisibili al cosiddetto mercato “spot”.

Le transazioni commerciali mondiali del petrolio greggio che determinano le dinamiche di formazione del prezzo sono circa 20-25 milioni di barili/giorno, ovvero ¼ della produzione mondiale.

La difficoltà di creare un benchmark di mercato diverso dall’Arabian light, fissato fino al 1986 dal monopolio OPEC, era quella di creare un riferimento che poggiasse su una liquidità rappresentativa del mercato spot.

Due distinti mercati paralleli: uno forward, l’altro finanziario

Il capolavoro di Shell e BP fu quello di far nascere due distinti mercati paralleli, uno forward (15 day Brent, in cui si comprano e vendono carichi fisici di greggio), e l’altro finanziario (ICE Brent, puramente finanziario dove non c’è mai consegna di greggio fisico).

Su base giornaliera, sul mercato forward si verificano scambi (di greggi fisici) per un ammontare equivalente a 40-50 milioni di barili; su quello finanziario le transazioni in termini di contratti futures si aggirano fra 2-3 mila miliardi di dollari.

Correttivi in corso d’opera per ripristinare la base fisica del mercato e la sua liquidità

Quando nei primi anni del 2000, la diminuzione della produzione fisica del Brent stava aprendo spazio ad enormi speculazioni (lo “squeeze” del Brent), i gestori UK intervennero strutturalmente nel sistema, includendo nel sistema Brent tutta la produzione del Mare del Nord, compresa quella della Norvegia.

Ripristinata la base fisica del mercato e la sua liquidità, il mercato finanziario collegato ha visto una nuova luce ed un nuovo successo a livello globale. Anche i mercati asiatici hanno abbandonato il loro benchmark adottando il Brent. Simile, anche se leggermente diversa, è la borsa del WTI di New York.

Su questa base, è stato possibile, nel 1986, creare un benchmark del mercato petrolifero trasparente, liquido ed affidabile, che, nel 1988, riuscì a rimpiazzare l’Arabian light come benchmark mondiale. Il mercato del Brent è diventato ed è la principale risorsa di reperimento di liquidità del mercato finanziario della City.

Il diverso funzionamento del mercato del gas europeo

Il mercato del gas europeo, storicamente, è stato alimentato attraverso un sistema di gasdotti che portano il gas direttamente dai giacimenti presso i paesi produttori ai mercati di consumo.

Nessuna negoziazione sul prezzo del gas consegnato si verifica durante questo arco temporale. I contratti di acquisto e vendita di norma sono a lungo periodo ed il prezzo del gas viene soltanto “calcolato” sulla base di una formula concordata fra le parti alla firma del contratto.

Quasi tutte le formule di prezzo si basavano su una media ponderata del prezzo dei prodotti petroliferi che il gas andava a sostituire (gasolio, olio combustibile o Brent). Anche i carichi di LNG (gas liquido) venivano acquistati, generalmente, con contratti a termine, con eccezione di quelli provenienti dagli USA, il cui prezzo (Henry Hub) era negoziato fra le parti e pubblicato giornalmente.

Non esisteva pertanto un mercato “spot” del gas dal quale potesse emergere un prezzo giornaliero del gas come risultato di negoziazioni/transazioni in un libero mercato.

L’idea olandese di una borsa del gas

Mossi dal desiderio di emulazione verso gli inglesi, gli olandesi hanno pensato di poter creare, in parallelo con Londra, una borsa del gas. Sono partiti dallo scambio dei volumi fisici di gas che, su base spot, avveniva e continua ad esserci fra Olanda e Belgio e parte della Renania tedesca. Si tratta di volumi insignificanti rispetto al mercato europeo, tanto che non se ne conosce in modo puntuale e trasparente la dimensione.

L’immagine di “fiera di paese” risulta appropriata a definire questo mercatino fisico, (meno bello ed attraente del mercato del formaggio di Alkmar). Una base di scambi fisici, quindi, che nulla ha a che vedere con la dimensione e la struttura delle borse petrolifere di Londra o di New York.

Su questa base fragile e non del tutto trasparente, gli specialisti dell’ICE hanno costruito un giocattolo che appare essere una miniatura carina di una borsa del gas, ma priva della necessaria liquidità e dei requisiti di trasparenza, che la rendano affidabile.

Una borsa priva della liquidità e della trasparenza che la rendano affidabile

Per essere chiari, mentre a Londra si scambiano ogni giorno 2-3 mila miliardi di dollari, ad Amsterdam 1-2 miliardi, ovvero due mila volte di meno. Impossibile pensare che una miniatura del genere possa assumere il ruolo di generatore del benchmark europeo del gas.

Poiché questo mercatino, negli ultimi 10 anni, aveva prodotto un prezzo del gas più basso di quello che le compagnie pagavano con le formule indicizzate al petrolio, alcune compagnie (quelle italiane soprattutto) si sono battute per rinegoziare i contratti con i paesi produttori sostituendo le formule indicizzate ai prezzi petroliferi con altre legate al TTF.

Da qui parte la fortuna ed il successo crescente del TTF (voluto e sospinto dagli italiani). Una scelta miope e di breve periodo, quella di affidarsi ad un indicatore fragile, debole ed instabile. Non è un caso se oggi i tedeschi (che non hanno chiesto di indicizzare i loro contratti al TTF) pagano il gas molto meno degli italiani.

Facciamo due esempi di cosa può succedere ad Amsterdam e che non può accadere a Londra o a New York.

Se un gruppetto di traders al mattino chiede, ad Amsterdam, di comprare contratti futures di gas per 5 miliardi di €, la borsa non è in grado di rispondere positivamente alla richiesta. Il che si traduce nel messaggio che l’offerta è inferiore alla domanda. Il prezzo schizza in alto. Se il giorno dopo l’operazione viene ripetuta con la richiesta di 10 miliardi il prezzo impazzisce.

Borsa petrolifera. Un raffinatore italiano vuole comprare 10 carichi di petrolio greggio. Se si rivolge al mercato forward del Brent, può comprare i 10 carichi ed alle scadenze previste, può mandare 10 navi ai terminali di caricazione e portarsi via i suoi carichi per alimentare la sua raffineria.

Borsa del gas. L’imprenditore di una fonderia italiana, vuole approvvigionarsi di 300 milioni di m3 di gas. Può acquistarli ad Amsterdam ed averli consegnati nella sua fonderia? Semplicemente, no.

Questioni non spiegate sul funzionamento del TTF

La maggior parte dei critici della mia proposta ipotizzano l’esistenza di un mercato e di una borsa che in realtà non esistono, senza fare i conti con la realtà dei meccanismi di funzionamento e, soprattutto, non rispondono ad alcune domande: in quale fase della formazione del TTF interviene l’equilibrio complessivo della domanda e dell’offerta globale di gas europeo? In che modo gli scambi locali fra Olanda e Belgio riflettono questi equilibri complessivi?

In realtà, questo giocattolo consente l’esplosione del gioco delle aspettative con effetti moltiplicatori sconosciuti nella storia moderna dell’energia.

Durante le grandi crisi petrolifere, quando si temette l’interruzione dei flussi dal Golfo Persico, a fronte di un drammatico aumento della domanda fisica (per costituire scorte strategiche), il prezzo triplicò, per poi ritornare indietro passata la paura. Un aumento di ben 20 volte del prezzo, a fronte della totale stabilità della domanda e dell’offerta, è una novità assoluta priva di senso comune.

La scelta del TTF è stata e rimane esclusivamente nostra (non della Germania ad esempio)

Non possiamo confondere causa ed effetto. La scelta degli italiani di inserire nelle formule dei contratti a lungo termine il riferimento al TTF non vuol dire che sia aumentata la liquidità del TTF. Vuol solo dire che ogni speculazione sul TTF arricchisce chi vende a scapito di chi compra.

Ed in questo caso le vittime privilegiate siamo noi italiani che paghiamo il gas russo il doppio dei tedeschi (i cui contratti sono rimasti ancorati al petrolio). Loro non hanno il problema del tetto al prezzo del gas e non capiscono la nostra richiesta. La scelta del TTF è stata e rimane esclusivamente nostra. Lo ha detto chiaramente il Commissario europeo Breton nell’intervista al Corriere della Sera del 14 settembre 2022.

Per salvare il TTF, come implicitamente auspicava Ursula von der Leyen, occorrerebbe mettere mano ad un impossibile progetto di creazione di una borsa europea del gas, che, come hanno fatto gli inglesi con il Brent, includa tutti i paesi europei che producono gas e che intendono venderlo sul mercato spot, con negoziazione giornaliera del prezzo.

In una vera borsa europea del gas dovrebbero prendervi parte Olanda, Norvegia, Danimarca, Italia, Croazia, Grecia, Cipro, e persino Israele

Dovrebbero farne parte Olanda, Norvegia, Danimarca, Italia, Croazia, Grecia, Cipro, e persino Israele, rivedendo tutte le regole che regolano il rapporto tra sottostante fisico e il finanziario a futuri. Non credo esistano le condizioni per la sua realizzazione.

Ricordo il pensiero di Marcello Colitti che sollevava dubbi sul superamento tout-court del “monopolio” Eni-Snam nell’approvvigionamento e distribuzione del gas in Italia.

A distanza di tanti anni una domanda meriterebbe una risposta precisa e puntuale: quanti dei nuovi operatori (oltre 20) “importano” gas ad un prezzo più basso del vecchio monopolista, portando un beneficio economico a famiglie ed imprese italiane?

Forse il TTF ed il tetto europeo sono diventati le foglie di fico per coprire la nostra idea di mercato libero “all’italiana”.


Salvatore Carollo è Oil and Energy Analyst and Trader


Foto: Unsplash


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