Quel che più colpisce ed irrita nell’avvitarsi della crisi del gas – specie dopo il sabotaggio ai due gasdotti Nord Stream – è la voce grossa che prontamente fa l’inner circle della Commissione di Bruxelles a fronte dell’inconcludenza delle azioni che ne fanno poi seguito.
“Any deliberate disruption of European energy infrastructure is utterly unaunacceptable and will be met with a robust and united response.” ha tuonato Josep Borrell, l’alto rappresentante per la politica estera dell’Unione, dopo i sabotaggi a 3 linee dei gasdotti Nord Stram 1 e 2 avvenuti il 27 settembre.
Gli ha fatto eco la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen che ha minacciato una “strongest possible response”. In cosa poi potrebbe consistere questa risposta – robusta, unitaria, più forte possibile – non è dato sapere, al di là della minacciosa spada del price cap alle importazioni di gas dalla Russia, ancora da definire nei suoi contenuti tecnici e priva del necessario consenso dei paesi membri, al di là dei 15 (su 27) che si sono detti favorevoli.
Il sabotaggio dei due gasdotti – ancora da definire nelle dinamiche e nei mandanti – non ha ridotto i flussi di gas dalla Russia essendo entrambi non operativi. Pongono però una seria minaccia sul futuro del mercato del gas qualora l’Europa non riesca a ridurre ulteriormente la sua dipendenza da Mosca, più che dimezzata nel corso dell’anno dal 40% al 9%.
Un’impennata causata non dal sabotaggio ma dalle continue tensioni politiche tra Mosca e Kiev
Una minaccia che colpisce profondamente, in prospettiva, la Russia e che porta a dubitare della sua responsabilità nel causare il sabotaggio. Il rimbalzo dei prezzi – nel caso del PSV italiano dai 39,5 doll/Mil.Btu (140 €/MWh) del 26 settembre ai 45,5 (161 €/MWh) del 28 settembre, comunque inferiori ai circa 57 (234 €/MWh) di inizio settembre – non è riconducibile quindi al calo dei flussi di gas russo, quanto alle continue tensioni politiche tra Mosca e Kiev, col rischio di loro ulteriori riduzioni.
Flussi che sono calati a 80 milioni di metri cubi al giorno rispetto 320 di marzo non tanto per volontà russa bensì per quanto avvenuto nei paesi europei (calo consumi, aumento importazioni da altri fornitori, specie di LNG dagli Stati Uniti, etc).
Ma come si prospetta la situazione nel IV trimestre dell’anno, con l’inizio della stagione invernale? Due le variabili essenziali: da un lato, l’andamento della domanda e, dall’altro, quello delle forniture russe pur fortemente ridottesi. Essendo queste esogene al nostro intervento, cruciale è l’andamento della domanda, riconducibile a sua volta alle misure volontarie decise dai governi e alle condizioni meteorologiche.
L’unica variabile su cui possiamo intervenire è la domanda, confidando in un inverno mite
Se queste ultime fossero ‘normali’ si potrebbe registrare rispetto allo scorso anno un calo dei consumi europei di oltre il 10%, che potrebbe tuttavia ridursi per l’intervento dei governi (che di fatto sussidiano i consumi, anziché come sarebbe più logico i loro risparmi).
Un inverno rigido potrebbe per contro causare un aumento dei consumi sino a 20-30 miliardi di metri cubi, quel che renderebbe la situazione molto critica al di là dell’alto tasso di riempimento degli stoccaggi dell’88%, quindici punti superiori allo scorso anno.
Riguardo al nostro Paese la situazione, al momento in cui scriviamo (29 settembre), non presenta particolari criticità: con l’import dalla Russia quasi azzerato e disponibilità di gas che vengono riesportate in ragione dei maggiori prezzi sulla piattaforma di Amsterdam del TTF (28 settembre 55 doll/Mil. Btu – 197 €/MWh – contro i nostri 45,5 – 161 €/MWh).
Italia: il rischio non è la disponibilità di gas, ma il prezzo
L’aspetto cruciale per i prossimi mesi è, in sostanza, la capacità di ridurre ulteriormente le importazioni di gas russo. Quel che sarà possibile con l’avvio del nuovo terminale di rigassificazione in Olanda della capacità di 8 miliardi di metri cubi o con l’entrata in esercizio entro fine anno dei tre installati in Germania.
Mentre l’Italia continua a dimenarsi per trovare una sistemazione ai due impianti (promessi entrare in esercizio già nel giugno scorso) che si programmava localizzare a Ravenna e Piombino, bloccato ora dalla richiesta della locale Sopritendenza di adottare una “tinta della nave più omogenea al paesaggio”! Una situazione simile a quella che Ennio Flaiano dipingeva per la politica italiana: “molto grave ma non seria”.
Anziché urlare al vento o rincorrere la chimera del price cap, sarebbe ben meglio che la Commissione si adoperasse per superare i colli di bottiglia infrastrutturali o regolatori che ostacolano la flessibilità dei flussi di gas all’interno dell’Europa, quali in primis quelli tra Spagna e Francia o tra Francia e Germania per assurdi problemi di odorizzazione del gas.
Alberto Clô è direttore della rivista Energia e del blog RivistaEnergia.it. Ha di recente pubblicato il saggio Il ricatto del gas russo per edizioni Sole24Ore
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Foto: Pixabay
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