2 Settembre 2022

Lo yo-yo dei prezzi del petrolio

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L’incendio in corso sul mercato del gas sta distogliendo l’attenzione da quello petrolifero, dove tuttavia l’equilibrio domanda/offerta resta precario. Lo yo-yo dei prezzi è mosso dalle opposte preoccupazioni di scarsità d’offerta e di distruzione della domanda.

Non essendoci limite al peggio, da un po’ di tempo è scemato l’interesse verso il petrolio per riversarsi sull’incendio del mercato del gas, dacché i prezzi del petrolio sono caduti di circa un quarto dal massimo relativo di 124 doll/bbl di inizio giugno, che non si toccava dal 2014, ai 92 doll/bbl del 1° settembre (peraltro già toccati a febbraio).

Lo yo-yo dei prezzi è sintomatico del fatto che il mercato del petrolio è lontano dall’aver trovato un suo stabile equilibrio.

“Oil markets are tight – ha dichiarato il CEO di Shell Ben van Beurden – they’ll remain tight for some time to come. On the supply side, it’s a very well-known fact that OPEC cannot produce at its declared volumes, simply because their capacities also are running out (…). I think we will have a pretty precarious situation between supply and demand, with supply struggling to really meet demand and demand at this point in time helping out a little bit by being depressed”.

Due opposte preoccupazioni: scarsità di offerta e distruzione della domanda

Una situazione prospettica quindi di grande incertezza, attraversata da due opposte preoccupazioni. Da un lato, i rischi derivanti dalla risicata spare capacity, causata dai molti anni di sottoinvestimenti – crollati da valori sugli 800 miliardi circa un decennio fa ai 350 dello scorso anno – e dai bassi livelli delle scorte. Dall’altro lato, il timore che il combinato disposto di alti prezzi, crisi delle economie, transizione energetica possa causare una reduction o addirittura destruction della domanda di petrolio, unico fattore in grado di bilanciare il mercato.

La contrazione del reddito per due trimestri degli Stati Uniti e le politiche delle banche centrali per contrastare l’elevata inflazione, più che i deboli progressi della transizione energetica, potrebbero contribuire al calo della domanda.

L’Agenzia di Parigi ne prevede tuttavia una crescita nel III trimestre di quest’anno a livelli prossimi ai 100 mil. bbl/g e nel IV ai 100,8 mil. bbl/g: con un aumento di 2 mil. bbl/g rispetto al corrispondente trimestre dello scorso anno (IEA, Oil Market Report, agosto 2022).

Carbone in crescita ai massimi storici

Un dato sorprendente se si rammenta il rallentamento dell’attività economica e la previsione della stessa Agenzia che il carbone conoscerà quest’anno una crescita ai massimi storici di un decennio fa: oltre gli 8 miliardi di tonnellate (IEA, Coal market update, luglio 2022).

Nonostante la forte crescita dei prezzi del carbone, specie dopo la decisione europea di sottoporre ad embargo il carbone russo, tale aumento è risultato inferiore a quello del gas, incentivando lo switch da gas a carbone ovunque fosse possibile. La decarbonizzazione dell’energia elettrica ha conseguentemente cambiato di segno. Anche per la necessità di ricorrere al gas per il minor apporto del nucleare in Francia e le scarse performance delle rinnovabili, soprattutto per il minor apporto dell’idroelettrico causato dalla drammatica siccità.

Vi è poi da considerare l’embargo decretato dall’Europa al petrolio russo che dovrebbe scattare il 5 dicembre per il greggio e 5 febbraio per i prodotti. Nonostante la decisione di Bruxelles, i paesi membri hanno continuato ad acquistare quasi agli stessi livelli del passato.

Secondo taluni, l’embargo potrebbe estromettere dal mercato internazionale sino a un quarto delle tradizionali esportazioni petrolifere della Russia, causando una scarsità d’offerta che i mercati non sembra comunque scontare. A meno che l’Asia non ne assorba una larga parte.

La Cina sta in effetti aumentando gli acquisti di petrolio russo via mare (da aggiungersi a quelli via pipeline), per un totale atteso in 2,1 mil. bbl/g. L’effetto è quello di depotenziare la portata dell’embargo europeo del petrolio russo importato via mare in Europa.

Se l’embargo funziona, rischio scarsità; se la Cina assorbe l’offerta russa si depotenzia l’embargo

Anche se la Russia dovesse trovare altri acquirenti, le restrizioni imposte dall’Europa a petroliere e assicurazioni potrebbero determinare comunque una scarsità sui mercati nei prossimi mesi. Specie di prodotti raffinati, in particolare del diesel ampiamente acquistato dalla Russia, anche a causa della riduzione della capacità di raffinazione mondiale nei tempi della pandemia per 4 mil. bbl/g.

Il prevalere dell’una o dell’altra preoccupazione è all’origine dello yo-yo dei prezzi del petrolio, con un ampio range di previsioni dei maggiori centri per l’ultimo trimestre dell’anno compreso tra minimi di 92 doll/bbl per Santander e di 125 doll/bbl per Goldman Sachs, convinta che agli attuali prezzi il mercato rimarrà in un’“unsustainable deficits.

Molto dipenderà dalle decisioni che il 5 settembre prenderà l’insieme dei paesi membri dell’Opec-Plus al programmato meeting ministeriale. È prevedibile che di fronte al calo dei prezzi non proceda a un ulteriore, pur limitato, aumento della produzione, anche in considerazione del previsto surplus d’offerta formulato dal Joint Technical Committee dell’Opec.

Mercati del fisico e finanziari paiono tra loro sempre più disconnessi

Mercati del fisico e mercati finanziari del petrolio paiono tra loro sempre più disconnessi, contribuendo all’estrema volatilità dei prezzi specie di quelli futures rispetto ai mercati fisici. Secondo i maggiori centri di ricerca, compagnie petrolifere e organismi internazionali, il picco della domanda di petrolio non si avrà prima del 2030 senza peraltro che vi faccia seguito una forte caduta ma piuttosto un suo appiattimento per non pochi anni.

Relativamente alla domanda, la più parte degli scenari ne prevede una crescita sino al 2030 mentre successivamente solo taluni ne prevedono un picco dal 2035, mentre altri non prevedono nessuna riduzione.

Questo significa, se così fosse, che la attuale flessione dei prezzi del petrolio non può considerarsi definitiva, non potendosi escludere che situazioni di scarsità d’offerta possano rimanifestarsi se non riprenderanno in modo sostenuto gli investimenti nell’intera filiera petrolifera, specie nelle fasi mineraria e della raffinazione.

La conclusione è che delle fossili – dal petrolio, al carbone, al gas – vi è ancora gran bisogno e che la transizione energetica, checché se ne dica, va segnando il passo se non regredendo. Quel che è confermato dalla forte contrazione della crescita della domanda elettrica, che della transizione energetica dovrebbe costituire la chiave di volta.

Secondo l’Agenzia di Parigi (IEA, Electricity Market Report, luglio 2022), la crescita nel 2022 e 2023 della domanda elettrica dovrebbe risultare meno della metà di quella registrata nel 2021 (+2,4% vs +6,0%) “drogata” dall’uscita dal lockdown e pari alla media di quella registrata nel periodo 2015-2019. Livelli ancora inferiori sono attesi negli Stati Uniti e soprattutto in Europa (+1%).

Lontanissimi da quelli necessari a conseguire la promessa e da molti prevista neutralità carbonica.


Alberto Clô è direttore della rivista Energia e del blog RivistaEnergia.it. Ha di recente pubblicato il saggio Il ricatto del gas russo per edizioni Sole24Ore


Foto: Pxhere

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