Le impennate dei prezzi del gas hanno infiammato il dibattito sulla loro natura fino alla proposta di cambiare il mercato di riferimento, dall’olandese TTF allo statunitense Henry Hub. Per comprendere se sia auspicabile occorre fare chiarezza su 4 aspetti tecnico-finanziari che li caratterizzano. Il post è un’anticipazione di un più esteso articolo in pubblicazione su ENERGIA 3.22.
Con riferimento al recente articolo di Salvatore Carollo pubblicato su RivistaEnergia.it, abbiamo ritenuto opportuno focalizzarci su alcuni meccanismi di microstruttura e funzionamento del mercato TTF e Henry Hub.
Prezzo spot, prezzo future, consegna fisica, cash settlement: purtroppo o per fortuna in EU si è deciso di instaurare un mercato in cui si intrecciano dinamiche fisiche tipiche delle commodity (attivo reale) e dinamiche finanziare e che ora ‘deve sopportare’ il peggior shock energetico da cinquant’anni a questa parte.
Da qui pare opportuno fare chiarezza su alcuni elementi tecnici di microstruttura e funzionamento dei due benchmark oggetto di indagine nel presente lavoro, ovvero Henry Hub e TTF.
Partiamo dai classici requisiti dei mercati regolamentati
Un punto rilevante da cui partire è che entrambi presentano i classici requisiti dei mercati regolamentati, tipici di ogni contrattazione di uno strumento finanziario come il contratto futures.
Al di là della contrattazione in Intercontinental Exchange (ICE) o Chicago Mercantile Exchange (CME), vi è la presenza di lotti minimi, date di scadenza dei contratti (che poi generano l’importantissima curva forward i cui connotati di contango e backwardation hanno valenza non solo ‘finanziaria’, ma anche ‘fisica’, si veda la ‘teoria dello stoccaggio’), orari di trading, prezzo di chiusura (settlement price), meccanismo dei margini, marking-to-market, TAS (Trading At Settlement), Clearing House, eccetera.
Pertanto non sono, come troppi sostengono, mercati ‘over the counter’ (OTC) o ‘sagre di Paese’ alle grida, ma hub in cui si negoziano contratti futures in cui una controparte ha l’obbligo di acquistare o vendere una determinata attività – in questo caso reale – ad un determinato prezzo ad una data futura.
Andando ancora nella disamina tecnica, quattro elementi possono essere discussi:
– il legame tra natura fisica e finanziaria (o ‘virtuale’) dei mercati;
– la natura regionale dei due mercati;
– la liquidità degli stessi (e qui andiamo ad analizzare la seconda grande funzione dei mercati finanziari, ‘liquidity’);
– la speculazione.
Sulla natura fisica/finanziaria dei due mercati
La spesso citata natura di ‘virtual market place’ data da Gasunie (gestore olandese del mercato) al Title Transfer Facility (il TTF appunto) è corretta, in quanto il gas metano ivi scambiato viene poi consegnato in plurimi punti di ‘uscita’ a differenza di un tipico di un mercato ‘fisico’ come l’Henry Hub (hub di convergenza e distribuzione di gasdotti in Louisiana ed il cui prezzo diventa il benchmark per i contratti futures statunitensi).
La cosiddetta natura ‘virtuale’ dell’hub TTF non inficia il rapporto tra prezzo a pronti (spot) e prezzi delle scadenze della curva a termine (forward) fondamentali per intraprendere le operazioni di stoccaggio, ben esemplificati dai violenti movimenti spot-forward sulla scadenza del contratto di Settembre 2022 in seno alla corsa per gli stoccaggi in Europa.
Sulla loro natura regionale
Venendo al secondo punto, nessuno discute la natura ‘regionale’ del TTF (ormai nota, ahinoi, come ‘Borsa di Amsterdam’), ma allora nessuno dovrebbe discutere allo stesso modo la natura regionale (e lo sarà per molti anni) di Henry Hub.
Per spiegare ciò, consentiteci di approfondire un paio di dati della Supply/Demand balance del mese di Agosto 2022 di Henry Hub. Le nostre stime (peraltro non differenti dall’EIA statunitensi e da altri ‘vendor’ rilevanti) vedono una produzione di gas negli USA (US Lower48 dry production) a 97 miliardi di piedi cubici (mld pc) contro una esportazione di gas naturale liquefatto di 11 mld pc (sarebbero 13,5 mld pc senza l’incidente all’impianto di esportazione di Freeport, TX).
Come si fa a definire globale un mercato il cui appena il 10% della produzione viene esportato? Dal grafico sotto si può notare come per ancora diversi anni il mercato HH sarà regionale, anche se, come detto, ormai è diventato, attraverso le esportazioni di gas, ‘il prestatore di ultima istanza a livello globale’.
Non è opportuno legare un potenziale cap ai prezzi europei ad un mercato estero regionale
Pare, pertanto, non opportuno legare un potenziale cap ai prezzi europei ad un mercato estero che è in effetti regionale e lo rimarrà ancora per anni ed il cui prezzo è sì importante (specie sul mercato dei futures di cui sopra) ma che persino negli stessi USA non è utilizzato uniformemente a livello nazionale.
Inoltre, ancorando i prezzi europei all’HH statunitense, come potrebbe mai l’Europa – in grave deficit di molecole blu – mantenere l’attuale accaparramento di gas naturale liquefatto (si veda la figura qui sotto)? Probabilmente gli esportatori USA preferirebbero il più ‘caro’ JKM asiatico, rendendo problematico tutto il meccanismo stoccaggio e flussi sopra descritto.
Liquidità, l’elemento che forse genera maggiore confusione
Per ciò che riguarda il terzo punto, è forse quello che genera maggiore confusione, ovvero la liquidità (perché il TTF ‘genera contratti in un intervallo tra 1 e 3 miliardi di dollari’).
Nessuno contesta che l’ammontare dei contratti sia inferiore rispetto a Henry Hub e rispetto ai principali mercati di materie prime, ma è anche opportuno fare chiarezza su alcuni dati di tendenza. Se osserviamo il numero di contratti scambiati e il valore dei relativi contratti nel corso degli anni (ovvero trading volume e value, indicatori generici di scambi su tutti i mercati) è di molto aumentato, ma, tra tutti pare opportuno presentare il ‘churn ratio’, tipico di ogni mercato delle materie prime, rappresentativo di un rapporto tra volumi transati e materia prima fisica sottostante.
Qui sotto, il grafico per il 2020, ricavato da fonti quali Global Platts, fa notare come il TTF sia uno tra i mercati più liquidi, rispetto anche a NBP (mercato per il Regno Unito) e JKM. Questo indicatore, assieme ad altri, consente di escludere la manipolazione del mercato e invece di far capire come le attività di risk management siano possibili lungo la curva, elemento essenziale nell’attività di copertura (hedging).
La speculazione e il fair price
Ultimo punto, legato al precedente, la speculazione. Soprassedendo sulla definizione di rischio speculativo rispetto al rischio puro – importante perché identifica la posizione ‘speculativa’ in ogni mercato, assunta da ogni operatore privo di copertura (non dimentichiamolo) – alcuni identificano la speculazione come la maggior presenza di operatori finanziari rispetto ai fisici (ciò è innegabile in ogni mercato di materie prime dagli anni 2000). Altri la identificano come aumento delle contrattazioni (i.e incremento trading value e volume) e allora siamo d’accordo. Altri ancora la identificano come eccessivo rialzo (si, ahinoi, solo rialzo), rispetto a un determinato fair price stabilito da alcuni modelli di valutazione.
Il fair price del TTF ovviamente nel corso degli anni è sempre stato tra i 5 e i 25 euro di MWh, pertanto ci si lamenta degli attuali prezzi (massimi infragiornalieri sino a 350 €/MWh). Ma allora, torniamo ai fondamentali: forse non è che un -40% di totale import (attuale o prospettico) possa far variare la determinazione del fair price rispetto al precedente?
Per dimostrare questo punto, abbiamo condotto un sondaggio a fine agosto (tra un gruppo di analisti e trader di Henry Hub) chiedendo quale potrebbe essere il prezzo del primo contratto in ipotesi di riduzione della produzione a 60 mld pc (tra il 35% e il 40% in meno dei dati attuali). La risposta media è stata $90 per MMBTU rispetto a un prezzo che si è mantenuto in media sui 2,75 $/MMBTU per oltre cinque anni (2015-2020). Ricorda qualcosa questo numero se lo trasliamo al TTF?
È innegabile un aumento di volatilità nell’ultimo periodo
Al di là di questi paragoni, è innegabile un aumento di volatilità nell’ultimo periodo, ed in fatti crediamo che le logiche di contrattazione del TTF stiano sempre più assomigliando alle logiche di contrattazione Henry Hub.
In quest’ultimo, sono importantissimi i dati giornalieri di domanda e offerta, i dati sullo stoccaggio, le notizie del mercato, l’impatto dei vari modelli meteo, le scadenze contrattuali sia dei contratti futures che delle opzioni. Questi stessi fattori che influenzano le quotazioni presso l’HH hanno e avranno – specie durante i mesi invernali durante i quali la domanda per riscaldamento domestico (e quindi di gas metano) è profondamente connessa alle condizioni meteo (sintetizzate da indicatori noti come gli Heating Degree Days) – crescente impatto sui prezzi del TTF. Ciò amplificherà la volatilità tipica dei mercati di materie prime (si ricordi cosa successe in marzo 2020 nel mercato del petrolio).
Non sarà semplice; ma, al di là di cap esotici o chiusure di mercati, forse un miglior utilizzo di ciò che si è deciso di abbandonare a livello UE (carbone, nucleare) e un piano programmato di razionamenti (non semplice) paiono le misure migliori, considerando che noi stessi, in passato, ci siamo voluti legare al TTF.
Con la speranza di un inverno mite.
Andrea Paltrinieri, Professore associato, Università Cattolica del Sacro Cuore
Domenicantonio De Giorgio, Professore a contratto, Università Cattolica del Sacro Cuore, Energy Working
Il post è un’anticipazione di un più esteso articolo in pubblicazione su ENERGIA 3.22.
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