5 Ottobre 2022

À la transition comme à la transition !

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Due colpi in canna rimasti a Bruxelles: una possibile riforma del funzionamento dei mercati dell’energia per disaccoppiare i meccanismi di formazione dei prezzi dell’elettricità da quelli del gas, e una qualche forma di price cap sui prezzi del gas. Proposte molto dibattute negli ultimi mesi ma mai studiata nel merito. Un nuovo appuntamento su ENERGIA 3.22 con la “Lettera da Bruxelles” di Valeria Palmisano Chiarelli che proponiamo in versione integrale.

Esattamente un anno fa chiudevo l’ultima «Lettera da Bruxelles» parlando della necessità di «dare una coerenza interna alla difficile operazione – tutta da costruire – per rendere il modello energetico europeo pronto a sorreggere un’economia che mai come in questo periodo deve tenersi pronta a tutto». E il tutto sembra essere arrivato. Quando non si sa bene cosa fare nel futuro, viene istintivo guardare al passato. Era il 2014 e le relazioni fra Russia e Ucraina erano certamente meno critiche di quelle attuali, ma già allora al solo prospettarsi di possibili riduzioni dei flussi di gas russo verso il mercato europeo – riduzioni che poi si registrarono fra settembre e ottobre – la Commissione Barroso II, che da lì a poco sarebbe diventata il Team Juncker, prontamente presentò a maggio una nuova strategia di sicurezza energetica. Dopo un rapido passaggio al primo Consiglio europeo utile per un endorsement politico, ecco che fra le misure immediate si decise di svolgere in tempi rapidissimi, durante l’estate, uno stress test per valutare gli impatti di una eventuale completa interruzione delle forniture di gas russo sui sistemi energetici europei, ipotizzandone una durata di sei mesi, a partire da settembre, aggravata da un’ondata di freddo per due settimane a febbraio, utile a testare il picco di domanda in condizioni già provate. Un esercizio senza precedenti svolto in maniera allargata ai paesi dell’Energy Community, alla Norvegia e alla Svizzera. A parte il fatto che in Europa nel 2014 si era alle prese con un’inflazione eccessivamente bassa e che si scelse allora di non modellizzare l’effetto dell’interruzione degli approvvigionamenti sui prezzi del gas negli scenari dello stress test, per il resto le raccomandazioni che ne scaturirono (1) indicarono nello sviluppo ulteriore e nell’ottimizzazione dell’uso delle infrastrutture, nel riempimento degli stoccaggi, nella diversificazione – in particolare via GNL – e negli interventi sul lato della domanda e di fuel switching la ricetta per parare il colpo. Soprattutto si insistette molto sui meccanismi di solidarietà e sulla cooperazione, forse l’unico appello autentico della Commissione su una materia – quella della sicurezza energetica – che oggi come allora resta in larga parte di competenza dei governi. Il tutto fu poi ripreso nel celebre testo di conclusioni (2) del Consiglio europeo del 23-24 ottobre 2014 che per i temi energetici continua a fare scuola, dal momento che gettò le basi per l’apertura del Corridoio Sud e di fatto avviò quel percorso di transizione con il quale siamo alle prese ancora oggi, sottoscrivendo per la prima volta obiettivi comuni al 2030 sulle emissioni di CO2, sulle fonti rinnovabili e sull’efficienza energetica.

Interruzione del gas russo? Lo stress test risale al 2014

In sostanza, quanto delineato a conclusione dello stress test nel 2014 anticipava le più recenti e ormai note misure che l’attuale Commissione ha predisposto al materializzarsi di quegli spaventosi scenari allora solo ipotizzati, dai nuovi obblighi di stoccaggio per il gas ai piani comuni di riduzione della domanda. La situazione dei prezzi però è tale da non potersi permettere di dire che si è fatto tutto il possibile. Sono passati otto anni e curiosamente la finestra temporale utile a sciogliere le grandi decisioni europee che si attendono come si attende un miracolo è la stessa, da maggio a ottobre, vale a dire dalla presentazione del RePowerEU Plan della Commissione al Consiglio europeo di ottobre in cui i leader, con l’inverno fatidico ormai alle porte e una serie di misure importanti già adottate e in fase di attuazione, dovranno esprimersi su quanto di nuovo la Commissione europea sarà stata in grado per allora di formulare. A Bruxelles i lavori fervono per caricare i due colpi in canna rimasti, vale a dire una possibile riforma del funzionamento dei mercati dell’energia per disaccoppiare i meccanismi di formazione dei prezzi dell’elettricità da quelli del gas, e una qualche forma di price cap per il gas per gestire una situazione sui mercati ormai visibilmente fuori controllo.

Misure molto dibattute negli ultimi mesi anche se nessuna delle due, a differenza di altre, è stata mai studiata o affrontata in profondità nel merito prima d’ora.

Sugli acquisti collettivi, ad esempio, e sull’aggregazione della domanda gas tramite una Piattaforma Energetica dell’Unione Europea, la Commissione ha già investito un capitale politico e risorse importanti, con l’istituzione in tempi assai rapidi in seno alla DG ENER una nuova Direzione Generale dedicata, la EU Energy Platform Task Force (3), con il compito di promuovere e coltivare il dialogo con i paesi produttori. Il tutto con la benedizione del Consiglio europeo del 25 marzo a ridosso della prima Comunicazione RePowerEU, anche se le cautele espresse dai governi nelle interlocuzioni successive con la Commissione sul tema e lo scarso entusiasmo manifestato dai principali operatori – l’idea resta quella di agevolare i più piccoli – lasciano tiepidi circa le reali possibilità di vedere nei tempi necessari i frutti tangibili dell’attivazione di strumenti così complessi. Si tratta in realtà di strumenti che erano stati già esplorati senza tuttavia mai vedere la luce.

Di acquisti collettivi e aggregazione della domanda si parla per la prima volta nel 2010

Di acquisti collettivi e aggregazione della domanda si parla già in maniera organica nelle proposte che il think tank Notre Europe aveva consegnato per primo alla letteratura nell’aprile 2010 con la pubblicazione del report Towards a European Energy Community: A Policy Proposal (4). Qui si faceva strada, per la prima volta nel dibattito a Bruxelles, l’idea che forme collettive di acquisto avrebbero rafforzato il potere negoziale verso i paesi produttori di gas, fino a proporre la creazione di una vera e propria Gas Supply Agency europea sul modello Euratom. Complici le circostanze del momento, il tema fu poi esteso e approfondito con uno studio (5) realizzato su incarico della Commissione da IHS CERA con il supporto della Banca Mondiale e della Banca Europea per gli Investimenti. L’obiettivo era delineare un quadro istituzionale e soprattutto commerciale per un gruppo di acquisto di gas (il cosiddetto CDC, Caspian Development Corporation) che all’epoca guardava alla possibilità di portare verso il mercato europeo 30 miliardi di metri cubi dal Turkmenistan. Lettura interessante, frutto di 18 mesi di analisi e consultazioni. Diversi gli obiettivi che il CDC si prefiggeva: sostenere lo sviluppo di nuove risorse di gas fornendo una controparte finanziariamente solida per l’acquisto aggregato di lungo termine e di grandi volumi di gas da parte di più acquirenti europei, sostenerne la consegna in Europa tramite nuove infrastrutture di trasporto con risorse finanziarie adeguate, costituire una massa critica di aziende che avrebbe offerto prospettive di lungo termine ai produttori per invogliarli a impegnare volumi di gas stabili e sostanziali per i consumi europei. Un lungo termine che, soprattutto negli ultimi anni, è stato trascurato negli indirizzi europei nella convinzione che il gas avrebbe svolto un ruolo sempre più marginale nel mix dell’Unione. Di certo resta la fonte marginale in molti mercati per la formazione dei prezzi dell’elettricità, motivo per cui in assenza di ulteriori interventi la prospettiva è di dover sostenere costi di approvvigionamento insostenibili.

Ma se fosse di lungo termine anche la prospettiva di un mondo sempre più affamato di energia?

Per quanto tempo non si sa, dipenderà sicuramente dalla durata del conflitto anche se gli aumenti, come è ormai noto, erano visibili già prima dell’inizio delle ostilità. Ma se invece fosse di lungo termine anche la prospettiva di un mondo sempre più affamato di energia? Di un mondo in cui l’Europa si troverà a dover competere per coprire quella sua parte del mix che oggi, a discapito degli scenari della Commissione, resta a livelli comunque importanti e che inizia a prospettarsi come scarsa e quindi costosa? Gli elementi in grado di nutrire questo dubbio forse c’erano tutti, ben prima che la spirale dei prezzi impazzisse del tutto. Che i consumi energetici globali sarebbero aumentati e che il mix energetico sarebbe rimasto per una parte importante ancorato al gas naturale non era un mistero per i principali e più accreditati outlook energetici degli ultimi quindici anni. Non lo era neanche per il più recente Net Zero by 2050 della IEA (6), dove il trend si poteva scorgere fra le righe dello scenario STEPS (Stated Policies Scenario), che con una sana dose di realismo prendeva con le pinze le ambizioni dei governi sulle rispettive riduzioni delle emissioni per lasciare i numeri ancorati a quanto verosimilmente ci si potrebbe aspettare in base alle politiche già in essere o al limite annunciate (Fig. 2). Che gli investimenti in nuove produzioni fossero in declino negli ultimi dieci anni era anche cosa nota (7).

Quali aspettative si possono allora nutrire rispetto a una possibile riforma del mercato elettrico, che comunque non è un’operazione facile e richiederà mesi se non anni per essere attuata? E quali modelli di price cap ha senso perseguire per una commodity che ormai risponde per una parte non irrisoria a dinamiche globali, mentre per l’Europa continua a seguire geografie di prezzo che parlano tante lingue quante sono le borse di riferimento?

Riflessioni di lungo respiro

Il susseguirsi di Consigli Energia e Consigli europei negli ultimi mesi fra sessioni ordinarie, straordinarie e informali è stato vorticoso. Appuntamenti che hanno scandito il tempo della decisione su temi complessi sul piano tecnico e politicamente difficili mentre si chiedono a gran voce risposte dagli effetti immediati come il price cap che ancora oggi non tutti i governi sembrano disposti a voler prendere in considerazione, in primis l’Olanda che ospita la principale borsa del gas europea. Ed è forse opportuno ricordare che sul funzionamento delle borse del gas, ma anche dell’elettricità, incidono anche fattori che continuano a rispondere a logiche forse ormai datate, con regimi prudenziali per i mercati dei derivati sulle commodity energetiche che risalgono al periodo in cui il rischio globale da gestire era quello sistemico – dopo la crisi dei mutui subprime nel 2008 e il fallimento di Lehman Brothers – e che sono ispirati in larga parte ai principi convenuti al celebre G20 dell’aprile 2009 (8). In Europa si tradussero in una lunga serie di acronimi a delineare un insieme complesso e articolato di Direttive e Regolamenti per i mercati degli strumenti finanziari, per i derivati OTC, per l’insider trading e l’abuso di mercato e per gli indici di riferimento che per certi versi trasferirono sui derivati sulle commodity energetiche, spesso caratterizzate da consegna fisica e complesse catene logistiche, principi propri dei mercati azionari. Negli Stati Uniti gli stessi principi furono recepiti in un solo testo, il Dodd-Frank Act, con un impianto normativo molto meno macchinoso. Quale dei due approcci stia pagando meglio oggi in termini di risposta dei mercati è un tema che richiederebbe analisi a parte. Resta il fatto che gli shock sui prezzi dell’energia incidono anche sulle scelte degli attori economici, sulla loro disponibilità finanziaria e quindi sulla loro capacità e modalità di operare sui mercati. Non sorprende ad esempio quanto rilevato dalla Banca Centrale europea nel mese di giugno con i risultati dell’indagine (9) condotta sulle condizioni di credito e sui rischi associati anche alla volatilità sui mercati dei derivati over-the-counter sulle commodity energetiche, rilevando i principali problemi di liquidità dopo l’avvio delle ostilità fra Russia e Ucraina proprio presso i trader attivi sui mercati oil and gas, i produttori di energia, le utility e i fondi pensione. Salta all’occhio poi il dato sulla migrazione degli operatori, dalle borse ai mercati over-the-counter per più della metà della popolazione intervistata. Sono tutte riflessioni che forse allontanano dall’urgenza di ridurre i prezzi del gas e in maniera significativa, ma riportare al centro del dibattito anche la nozione di rischio e di come gestirlo in futuro nei mercati dell’energia e più in generale nei sistemi economici, che stanno vedendo trasformazioni radicali, potrebbe essere una riflessione opportuna da avviare, anche e soprattutto se il percorso di transizione energetica deve essere portato avanti in maniera percorribile. Meritano attenzione, ad esempio, le analisi e le conclusioni presentate sempre dalla Banca Centrale europea e dall’European Systemic Risk Board a luglio sulle implicazioni del rischio climatico per quello sistemico e per gli strumenti macroprudenziali (10). Un lavoro che è solo allo stadio iniziale ma che ha il merito di abbracciare nella sua interezza il tema della gestione del rischio attualizzato rispetto alle sfide – e alle difficoltà – della transizione, inclusi gli eventi meteorologici estremi che pesano sui bilanci tanto quanto danni bellici e il costo delle emissioni con prezzi della CO2 che pure stanno raggiungendo livelli senza precedenti in un periodo in cui si sta ricorrendo a fonti ad alta intensità emissiva che la transizione aveva imposto di ridurre quando non eliminare completamente. Intanto la guerra è ancora in corso e la ricetta per ora sembra essere solo una: ridurre. Ridurre la dipendenza dal gas russo, i consumi, le emissioni. Il più recente Consiglio Energia straordinario del 9 settembre ha dato per ora mandato alla Commissione a presentare misure destinate ancora alla riduzione della domanda, in questo caso quella elettrica e in maniera simile a quanto già approvato a luglio per ridurre la domanda gas, misure a sostegno della liquidità delle imprese confrontate con volatilità eccezionali sui mercati dell’energia, e interventi sugli extra profitti per reperire risorse utili a calmierare gli impatti dei prezzi sulle categorie vulnerabili di consumo. Si tornerà probabilmente anche sullo schema di Emission Trading EU-ETS, che pure incide sui prezzi dell’elettricità, e sulle flessibilità già concesse in via temporanea in materia di aiuti di Stato. Sul price cap al gas invece, e nonostante l’interesse manifestato da numerosi governi, non sembra esserci ancora un impegno chiaro da parte della Commissione data la divergenza ancora visibile sulle sue eventuali modalità di attuazione. Tutto questo lascia una profonda incertezza e conferma le scadenze di ottobre come quelle auspicabilmente utili a definire una linea di azione chiara. Nel mentre, come sarà la transizione energetica in un contesto del genere è tutto da scoprire. Guardiamo fiduciosi al Consiglio europeo di ottobre, alla proattività responsabile delle istituzioni, sperando che su una sfida come questa l’Europa mostri ancora una volta unità e solidarietà. Pena la prospettiva di armarsi e andare à la transition comme à la transition. E si salvi chi può.


L’articolo di Valeria Palmisano Chiarelli «À la transition comme à la transition!» (con le lezioni del passato) (pp. 74-80) è pubblicato su ENERGIA 3.22

Valeria Palmisano Chiarelli è Esperta di Affari Istituzionali europei

Foto: "Le Départ des Volontaires de 1792" (aussi connu comme La Marseillaise), sculpture par François Rude, Arc de Triomphe de l'Etoile à Paris.

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