Mafia siciliana? Destra francese? Sessanta anni fa, sopra i cieli di Bascapè, nei pressi di Melegnano, esplodeva l’aereo di Enrico Mattei. Quale che sia la verità, quel che è certo è che “un uomo speciale” aveva toccato, e disturbato, interessi immensi.
Il 27 ottobre 1962, sessanta anni fa, sopra i cieli di Bascapè nei pressi di Melegnano, esplodeva l’aereo di Enrico Mattei. Con lui morirono il pilota Bertuzzi e il giornalista americano McHale. L’aereo veniva dalla Sicilia. “Lei cosa pensa, Dottore, fu un attentato?”, chiesi a Giuseppe Accorinti coil quale ebbi il piacere e il privilegio di lavorare nei primi anni ‘90 (suo il libro Quando Mattei era l’impresa energetica – io c’ero –).
La risposta fu introdotta da uno sguardo interrogativo, colmo di incertezza, e fu più o meno questa: “…non penso che sia stato un attentato. C’era brutto tempo e l’incidente è possibile …. certo, qualche mese prima c’era stata la questione del cacciavite trovato nel rotore dell’aereo…”.
Insomma, la risposta era un “no” per nulla convinto. D’altra parte, le indagini del giudice Calia erano ancora di là da venire. La riapertura del caso avrebbe portato anni dopo lo stesso Accorinti a modificare la propria visione aderendo alla tesi dell’attentato. Da una parte il fato, dall’altra la Storia come macchinazione di forze opache, reazione brutale contro chi aveva alterato l’equilibrio dell’industria petrolifera mondiale.
Quale la sua colpa? Toccare interessi consolidati, alterare equilibri geopolitici prima ancora che economici, accelerare un processo di redistribuzione del potere
L’indagine recente favorisce questa seconda tesi, iscrivendo la figura di Mattei all’interno di una parabola il cui finale, tragico e malvagio, ne accresce inesorabilmente il peso storico. Non una morte per caso, ma il risultato dell’azione di forze avverse che si opponevano a uomo che dava fastidio. Quale la sua colpa? Toccare interessi consolidati, alterare equilibri geopolitici prima ancora che economici, accelerare un processo di redistribuzione del potere: essere in anticipo sui tempi di qualche decade.
Buscetta, primo pentito di mafia, dirà che a ucciderlo fu la mafia siciliana su richiesta di quella americana, a ragione della continua azione di disturbo esercitata da Mattei ai danni dell’oligopolio petrolifero americano. Di parere diverso lo storico Giulio Sapelli che si dice certo che fu la destra francese a farlo fuori per l’appoggio dato agli algerini nella lotta contro i francesi: “non ho mai avuto dubbi su questo, non ho bisogno di vedere le carte giudiziarie. C’è una verità storica più evidente di quella giudiziaria”.
Quale che sia la verità, è certo che l’uomo aveva toccato, e disturbato, interessi immensi. Come scriverà Paul Frankel in Petrolio e potere, citato nel mirabile film di Francesco Rosi Il caso Mattei, “non posso dimenticare che un americano appartenente alle alte sfere di una delle massime compagnie petrolifere, circa due anni prima della morte di Mattei mi disse, con tutta calma, che egli non riusciva a comprendere come mai nessuno avesse trovato modo di fare uccidere Mattei”.
In ultimo, in una parabola che porta alla collimazione funesta della narrazione simbolica fatta da Mattei stesso con la realtà, il gattino aveva osato troppo e, dunque, gli spezzano inesorabilmente la spina dorsale. È il suo destino.
Ampiezza e modernità della visione
Ciò che più stupisce dell’uomo Mattei è l’ampiezza e la modernità della visione, la forte vocazione internazionale, coniugata alla semplicità e al disinteresse personale dell’uomo. Un piccolo uomo della provincia, figlio della povertà e della genuinità di una tipica famiglia italiana, senza uno sfondo adeguato di studi, un ex partigiano, che proietta la sua azione oltre la piccola Italia, sul grande scenario internazionale – come nessun altro imprenditore aveva fatto prima di lui – e risale la corrente di un fiume.
Alla fine, nelle scelte cruciali che fanno la storia della sua vita di imprenditore, Mattei è un uomo controcorrente, che fa l’opposto di ciò che ci aspetta da lui:
- deve liquidare l’Agip, fa il contrario: crea l’Eni;
- da new comer, dovrebbe attenersi alle regole ormai secolari dell’industria petrolifera mondiale, un oligopolio a trazione anglosassone, le straccia, facendo accordi con i paesi produttori che modificano radicalmente la distribuzione della rendita petrolifera;
- dovrebbe occuparsi di business ma vedendone le connessioni con il quadro politico internazionale, si mette a fare politica estera appoggiando la rivoluzione algerina ai danni dei francesi;
- dovrebbe occuparsi di petrolio, ma sdogana il gas, combustile paria e maledizione degli esploratori: Mattei comprende che ha un grande futuro e comincia a costruire una rete di metanodotti che apre la strada alla penetrazione del metano nel continente: Lodi è la prima città metanizzata Europa;
- ma non basta, nel 1957 apre addirittura al nucleare, costruendo la prima centrale nucleare italiana, che sarà inaugurata a Latina subito dopo la sua morte nel 1962;
- dovrebbe iscrivere la sua azione di uomo d’impresa all’interno della cornice politica atlantica, fa l’opposto: fa accordi con i sovietici e dialoga con in cinesi, insomma con il diavolo.
Di nuovo si palesa uno stupore: un piccolo uomo della provincia marchigiana, il figlio di un carabiniere e di una maestra, che rompe tutti gli schemi: andare a parlare con i sovietici e con i cinesi nel 1958! Occorrerà attendere il 1972 affinché il ghiaccio politico della guerra fredda cominci il suo lentissimo disgelo, con lo storico incontro tra Richard Nixon e Mao Zedong.
Nel 1957 crea il primo corso post-laurea in Italia
Una riflessione a parte merita l’interesse di Mattei per gli studi. Studente mediocre, trova in Marcello Boldrini, professore di statistica alla Cattolica di Milano, un mentore: anche grazie alla sua guida, la Conoscenza avrà un’importanza straordinaria nella sua vicenda imprenditoriale.
Nel 1957 fonda la Scuola Superiore sugli Idrocarburi (oggi Scuola Enrico Mattei) e comincia a distribuire borse di studio a laureati di tutto il mondo. Ancora una sensazione di sbalordimento: nel ’57 non vi sono corsi post-laurea in Italia: il Paese deve attendere l’arrivo sulla scena di un uomo privo di qualsiasi cursus honorum accademico affinché la porta della formazione post-laurea si apra anche nel nostro Paese, in ritardo solo di qualche secolo rispetto al mondo anglosassone. Dov’era l’accademia italiana? A cosa pensava?
Testimonianza della passione di Mattei per gli studi è anche la centralità che assume l’ufficio studi di Eni: attraverso esso transitano fior di studiosi, da Giorgio Fuà a Luigi Spaventa, da Giorgio Ruffolo a Sabino Cassese, da Gino Giugni a Mario Pirani. Tanto che Sylos Labini, nelle sue venute periodiche a San Donato per conferenze agli studenti della Scuola Mattei, usava dire: “tutti sono transitati da lì, solo io mancavo”.
Nel volume “Eni. Cronache dall’interno di un’azienda”, Marcello Colitti, racconterà come il primo incontro con il Capo, in una primissima mattina dell’inverno del ’56, avvenne proprio in risposta a una telefonata di Mattei – casualmente presa da Colitti – che cercava il capo ufficio studi, il Prof. Fuà.
I Mattei boys
Il racconto che Colitti fa di quell’incontro è emblematico di un altro importante capitolo nella vita di Mattei: i giovani. Il grande presidente dell’Eni si intrattiene con un giovane appena arrivato, dedicandogli tempo e attenzione, e condividendo con lui riflessioni personali sull’azienda e sull’Italia.
Analogo, ma dalla dinamica più singolare, è il racconto che Accorinti fa del suo primo incontro con Mattei. Il 1° gennaio del 1959, a Cortina d’Ampezzo, del tutto casualmente Mattei nota il giovane Accorinti mentre fa dei controlli, perché quello è il suo lavoro, presso una stazione di servizio Eni. Cinque giorni dopo, a mezzogiorno dell’Epifania, il Presidente fa chiamare quel giovane per un colloquio da tenersi a Brunico, dove Mattei era andato a pescare, nel pomeriggio stesso.
Il colloquio durerà un’ora e mezzo e sarà per Accorinti l’inizio di una straordinaria accelerazione della propria carriera e, soprattutto, di un amore totale, profondo e venerante – di una “lucida ossessione”, per usare l’espressione coniata da La Staffetta Petrolifera – che ha alimentato e sostenuto l’intera vita di Accorinti.
Amore totalizzante e unico, certo, ma in fondo null’altro che il punto limite di una galassia di affetto e di riconoscenza che i Mattei boys hanno sempre avuto per il Principale. E se è vera quella tesi secondo la quale il successo di un leader si misura con il sentimento di gratitudine e affetto che rimane quando cala il sipario, si può senz’altro dire che, anche in questo, Mattei ha pochi rivali.
San Donato, Metanopoli, la città giardino
Poi, San Donato, la città giardino. Mattei la denomina Metanopoli e la pensa, da subito, in funzione dei suoi dipendenti, perché sono essi il centro dell’azienda. Di qui le abitazioni, la scuola per i figli, le mense, il parco sportivo. In anticipo sui tempi di circa mezzo secolo – fedele a una preminenza della sostanza sulla forma che inesorabilmente lo allontana dalla ricerca dello slogan – Mattei ispira l’intera sua azione a un ideale che non ha ancora nome e che i posteri, devoti al marketing, chiameranno corporate social responsibility.
In questo breve articolo ho più volte definito Mattei imprenditore, e non manager, perché è ciò era. Assunto giovanissimo in una fabbrica di letti, lavora in seguito in una conceria, poi fonda un’azienda chimica. E, in ultimo, la fortuna dello Stato italiano è proprio questa, che a liquidare l’Agip venisse chiamato non un boiardo di Stato qualsiasi, ma un imprenditore.
Di più: un imprenditore che aveva fatto la resistenza, ovvero un imprenditore che era salito sulle montagne in difesa del Paese. Perché questo è stato, sempre, il fine ultimo di Mattei: la crescita e lo sviluppo del Paese. Ed è significativo, e non sufficientemente sottolineato, il fatto che Mattei devolvesse per intero il proprio stipendio a un convento di suore di clausura di Matelica.
Un imprenditore votato al Paese e disinteressato al proprio tornaconto personale
Più volte Giulio Sapelli ha evidenziato come, alla sua morte, il Consiglio di amministrazione dell’Eni dovette stanziare una pensione vitalizia per la moglie Greta. Dunque, un imprenditore disinteressato, interamente al servizio del Paese, al punto che quando si rivolge alla Comit per il primo prestito necessario a finanziare l’attività dell’Agip, dà come garanzia la propria azienda.
E forse questa distanza dal proprio tornaconto economico – oggi inconcepibile e dunque ancora più apprezzabile – è l’architrave su cui poggia l’intera costruzione di Mattei, e che ad essa dà forza e unicità.
Certo, l’accelerazione incredibile di quegli anni è stata possibile anche perché si era dentro un’altra epoca, un periodo di ricostruzione, azione e voglia di fare. I lacci della burocrazia non ancora avvolgevano il Paese. È interessante a questo proposito notare come nelle quasi 1.600 pagine del volume che raccoglie gli scritti e i discorsi di Mattei dal 1945 al 1962, la parola burocrazia compaia solo sei volte e neanche in accezione negativa.
Certo, non era un uomo perfetto e rimane l’ombra del “corruttore incorruttibile”, l’uso dei partiti politici come taxi e, più in generale, una disinvoltura eccessiva nel rapporto con la politica. Ma a distanza di sessanta anni, osservando l’eredità che Mattei ci lascia – il contributo straordinario e vitale allo sviluppo economico della nazione, un sistema energetico moderno, un’azienda efficiente caratterizzata da una spiccata vocazione internazionale, assai rara per l’Italia – le carenze diventano peccati veniali di un uomo che ha dato tutto se stesso, fino alla morte, al proprio Paese.
Per dirla con le parole appassionate di Giuseppe Accorinti, “non era un Santo ma sì che era un grande leader, un grandissimo imprenditore, un grande motivatore di uomini, un grande manager, un uomo speciale”.
Enzo Di Giulio è membro del Comitato Scientifico di ENERGIA
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Foto: Archivio storico Eni
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