Di petrolio ce ne sarà bisogno, ancora a lungo. Tuttavia, non è certo che i greggi non convenzionali, nonostante l’abbondanza, possano sostituire, in qualità e quantità, il declino dei flussi convenzionali a fronte di una domanda in crescita. Su ENERGIA 3.22, Michele Manfroni mostra i limiti del petrolio di shale attraverso un approccio sistemico all’energetica dei processi petroliferi.
“Dal 2005 circa si è avviato un processo di de-convenzionalizzazione (Maugeri 2006) col passaggio progressivo dal dominio del greggio convenzionale a una serie di composti quali petroli ultra-leggeri, liquidi del gas naturale, offshore ultra-profondo, petroli ultra-pesanti, tight oil e petroli di shale in genere, e sabbie bituminose. (…) Possono questi petroli non convenzionali assicurare la fornitura qualitativa e quantitativa necessaria ad alimentare le moderne economie e garantirne la sicurezza energetica?”
Questo l’interrogativo con cui Michele Manfroni apre il suo saggio pubblicato su ENERGIA 3.22 nel quale mostra “i limiti del petrolio di shale nel garantire un equilibrio di mercato tra domanda ed offerta di prodotti finali di raffinazione, utilizzando un approccio sistemico all’energetica dei processi petroliferi”.
«more of the same»: la sostanziale riaffermazione del modello già definito per decarbonizzare le economie per risolvere anche i problemi di sicurezza energetica
La prima parte del saggio è dedicata al Reality check energetico (par. 1) a partire dalla contestualizzazione di Crisi stagflattiva, sicurezza energetica e decarbonizzazione (par. 1.1.).
“La crisi energetica in cui ci ritroviamo data da almeno un decennio. Gli alti prezzi del petrolio e le misure di leva finanziaria adottate in tutto il mondo a seguito della crisi del 2008 hanno stimolato l’inizio di un nuovo ciclo economico nel mondo dell’energia. Gli investimenti in campo petrolifero hanno permesso il boom dello shale negli Stati Uniti, sovrapproduzione e conseguente abbattimento dei prezzi. Dal 2014 in poi si è affermata l’idea che lo shale oil avesse inaugurato un’era di bonanza energetica – «lower for longer»(Financial Post 2016) – mentre lo sviluppo tecnologico delle fonti elettriche rinnovabili (FER) avrebbe permesso una rapida transizione ecologica.”
“I consumi di carbone, petrolio e gas, tra il 1992 e il 2018, sono aumentati rispettivamente del 69%, 47% e 83% (Smil 2019). Le emissioni di anidride carbonica sono cresciute del 57% nello stesso periodo, toccando un nuovo picco nel 2021 con un aumento del 6% su base annua (36,3 miliardi di tonnellate). Tali cifre certificano che, nonostante i proclami politici e i sussidi verdi, globalmente stiamo diventando una società sempre più dipendente dal carbonio, non meno” (1.2. Sempre più dipendenti dal carbonio, non meno).
Più che di decoupling si dovrebbe parlare di disuguaglianze globali: l’Occidente diminuisce la sua intensità energetica poiché esternalizza i settori più intensivi
“Il petrolio è il più critico dei tre combustibili fossili (…) è il primo ad aver raggiunto una restrizione produttiva strutturale (…) non sono note risorse facilmente estraibili e disponibili nel breve termine, alla scala necessaria per soddisfare l’incremento di domanda globale. La produzione convenzionale di petrolio è in stagnazione da almeno il 2005 (…) Fino ad ora, il gap tra domanda e offerta di petrolio convenzionale, arrivato a circa 30 milioni di barili giornalieri nel 2019, è stato coperto da petroli non convenzionali (…)”.
“Sorge però un dilemma: possono i petroli non convenzionali sostituire in qualità e quantità il declino dei flussi convenzionali a fronte di una domanda in crescita? E quali sono le implicazioni per i raffinatori (…)?”
Per dare risposta a questi interrogativi (2. Rivoluzione dello shale?) è necessario addentrarsi nelle caratteristiche biofisiche del petrolio e come queste hanno plasmato l’industria petrolifera per poi scoprire come il passaggio ai petroli non convenzionali le stanno modificando (2.1. Tassonomia petrolifera).
Non tutti i petroli sono uguali: convenzionale, pesante, sabbie bituminose, tight oil, cherogene, da acque profonde
“Eppure, nonostante l’abbondanza, non è per nulla assicurato che le fonti non convenzionali possano sostituire quelle convenzionali su scala globale.” L’autore passa quindi a descrivere le tre distinte fasi che costituiscono la struttura essenziale del metabolismo sociale del petrolio (par. 2.2.) “cioè il network integrato di processi di produzione e pratiche sociali di consumo di petrolio e derivati all’interno del processo economico”, prendendo in considerazione le Performance delle filiere produttive (par. 2.2.1.), i Prodotti limitanti: criticità del diesel (par. 2.2.2.). “In tale contesto globale, è facile aspettarsi un collo di bottiglia nella fornitura di diesel (Fig. 3 e 4): tanto peggiore quanto più si fa affidamento sullo shale americano”.
Un cammino energetico delicato
“Stiamo dunque percorrendo un cammino energetico delicato, stretti tra giacimenti maturi in declino mal supportati da fonti non convenzionali, Capex progressivamente più alti per ogni barile prodotto, a fronte comunque di una carenza di diesel (soprattutto in relazione ai consumi europei) e maggiori emissioni. Un futuro fossile ancor più carbon intensive dove decarbonizzazione, indipendenza energetica e crescita economica sono elementi in contrasto tra loro”.
La terza parte dell’articolo è dedicata alle Implicazioni per la sicurezza e la transizione energetica (par. 3) – “stiamo fronteggiando due ordini di restrizioni: la prima qualitativa, sui volumi di diesel raffinabili da una stessa quantità di petrolio; la seconda quantitativa, sulla quantità assoluta di greggio disponibile per usi umani” – mentre la quarta alle Implicazioni economiche –“Nel momento in cui molti analisti pensano che la prossima bolla di mercato stia per scoppiare, i produttori dello shale scelgono di non reinvestire, cannibalizzando i propri asset e abbandonando coerentemente un business che non sta in piedi da solo”.
Le conclusioni sono affidate al paragrafo dal titolo esplicativo, Verso un decennio di penuria. “La conseguenza più importante del declino della performance del settore petrolifero sarà sull’accessibilità dei prezzi, non tanto di carenza assoluta (perlomeno non nel breve periodo). (…) Sarà infine fondamentale imparare a fare i conti con un’energia più cara. Imparare ad adattarci, cambiando in maniera strutturale le nostre pratiche di consumo, si rivelerà presto o tardi necessario”.
Il post presenta l’articolo di Michele Manfroni Shale oil: penuria nell’abbondanza (pp. 28-38) su ENERGIA 3.22.
Michele Manfroni, Ricercatore dottorando presso ICTA-UAB
Foto: Unsplash
In primo luogo, le politiche verdi hanno portato al caos energetico del 2021 e del 2022, causando un picco dei prezzi e innescando massicci investimenti nella produzione di gas. Successivamente, le stesse politiche verdi potrebbero causare volatilità al ribasso mentre cerchiamo di sbarazzarci della domanda di gas a favore di soluzioni verdi.
La geopolitica sarà interessante perché questo dovrebbe lasciare quei Paesi che passano al gas per il loro fabbisogno energetico con un vantaggio economico – grandi quantità di carburante a basso costo per alimentare le loro reti. Paesi produttori di gas come l’Australia, il Qatar e parti degli Stati Uniti perderanno. E coloro che perseguono politiche di energia verde vedranno il loro destino legato al successo dell’energia verde, il che è incerto.
La vera domanda per gli investitori è cosa significherà l’eccesso di energia per gli stock energetici. La produzione inaspettatamente elevata dovrebbe significare prezzi più bassi, ma come faranno quadrare i conti i produttori di energia da combustibili fossili?
É un buon momento per acquistare e mantenere tali azioni a lungo termine quando c’è un eccesso all’orizzonte?
La migliore opportunità potrebbe essere investire nel carburante del futuro, che semplicemente nega questa sfida.