Poco ponderata; foriera di scarsi risultati; tutta sbilanciata verso l’esterno: la gestione della guerra energetica da parte della Commissione è stata sinora inadeguata. Commissione e Consiglio avrebbero dovuto agire anche verso l’interno dell’Europa per evitare contraddizioni, inefficienze, costi addizionali.
La gestione della guerra energetica da parte della Commissione è stata a mio avviso inadeguata rispetto alle sfide da affrontare; poco ponderata nei possibili effetti delle sue decisioni; foriera di scarsi risultati; tutta sbilanciata verso l’esterno dell’Unione. Si pensi alla telenovela del price cap al gas russo (o anche a quello di altri paesi) che a distanza di sette mesi resta ancora tecnicamente indefinita, mentre politicamente può dirsi ormai defunta.
Più che la politica possono però i mercati se guardiamo al drastico calo dei prezzi del gas sulla piattaforma italiana PSV passati dai 59 doll/Mil Btu del 13 settembre (199,7 €/MWh) ai 29 doll/Mil.Btu del 7 ottobre (103 €/MWh), ottobre, con un calo di circa il 50% in tre settimane, poco commentato quasi non facesse notizia.
In assenza di una qualsiasi politica comune, ogni paese si è mosso in modo isolato
Piuttosto che concentrarsi unicamente verso l’esterno, Commissione e Consiglio avrebbero dovuto agire anche verso l’interno dell’Europa, con un’azione volta a coordinare le decisioni dei singoli paesi, così da evitare contraddizioni, inefficienze, costi addizionali, come è stato bene analizzato dal think thank Bruegel di Bruxelles in un recente studio.
Ogni paese si è mosso in modo isolato: unicamente attento ai propri interessi senza alcun raccordo con quel che decidevano gli altri paesi: si trattasse di stoccaggi, di mutamenti del loro mix energetico, di sussidi al consumo di energia; di gestione e regolazione del loro calo.
In assenza, in sostanza, di una qualsiasi politica comune, che non può ridursi nella fissazione di obiettivi similari, ma dovrebbe ancor prima concretizzarsi in un comune e coordinato agire.
Si prenda ad esempio la corsa all’acquisizione di nuovi contratti di fornitura di gas con paesi diversi dalla Russia. Una corsa che si è tradotta in una assurda concorrenza tra i paesi europei, con rialzi dei prezzi pur di accaparrarseli, mentre ironicamente la Commissione proponeva al contempo di aggregare i loro acquisti in una piattaforma comune. Sulla base, si disse, dell’esperienza fatta coi vaccini durante la pandemia, quasi che essi fossero assimilabili al gas.
L’interdipendenza dei mercati energetici europei sia del gas che dell’elettricità si è enormemente rafforzata
In questi mesi si è enormemente rafforzata l’interdipendenza dei mercati energetici europei sia del gas che dell’elettricità. Ogni decisione assunta da un paese si ripercuote immediatamente su prezzi e quantità degli altri paesi. Così la decisione della Francia di ridurre l’apporto del nucleare ha ridotto le sue esportazioni elettriche, aumentato l’impiego di gas, impattato sui prezzi europei e sugli scambi intra-europei che mobilitano ogni anno 700 Miliardi di kWh. Idem con la decisione della Germania di chiudere alla fine dello scorso anno tre centrali nucleari, mentre Berlino non ha ancora deciso che fare sulle residue tre centrali che entro fine anno dovrebbero essere dismesse.
Ebbene, Bruxelles è restata ogni volta a guardare non preoccupandosi minimamente di coordinare le decisioni delle diverse capitali, senza per altro aver conto delle conseguenze che sarebbero potute derivare dalle sue decisioni.
Tra la fine dell’anno e l’inizio del prossimo scatterà ad esempio l’embargo alla Russia del petrolio e suoi derivati trasportati via mare. Ne deriverà una riduzione delle disponibilità europee di oltre 2,2 milioni di barili al giorno. Sostituirle sul mercato internazionale sarà oltremodo difficile, nonostante la decisione di Opec Plus di ridurre sensibilmente la sua produzione.
L’uscita di larga parte del petrolio russo dal mercato internazionale genererà, secondo il parere degli operatori, uno strappo al rialzo dei prezzi del greggio e soprattutto dei suoi prodotti derivati per la crisi che attanaglia il sistema raffinativo mondiale. Sperare di accrescere gli acquisti del Medio Oriente in sostituzione di quelli russi è azzardato per la vicinanza politica del dominus Arabia Saudita alla Russia e per la prevedibile preferenza dei paesi produttori a vedere aumentare i prezzi, anche per far dispetto all’America di Joe Biden.
Di palo in frasca: alla crisi d’offerta ne seguirà un eccesso
Tornando a quanto si diceva sul mancato coordinamento dell’azione dei singoli paesi, valga soprattutto quel che accade e accadrà sul mercato europeo del gas. Alla tensione che lo segnerà ancora per alcuni anni con pressione al rialzo dei prezzi, fino a quando si ricostituirà una capacità produttiva incrementale a livello mondiale, seguirà un eccesso di offerta con conseguente loro calo. Due le ragioni.
Da un lato, il moltiplicarsi degli investimenti per accrescere la capacità logistica e infrastrutturale, la conclusione di nuovi contratti di fornitura a lungo termine, l’aumento della produzione interna, di LNG, di shale gas come deciso in Gran Bretagna.
Dall’altro, il drastico calo della domanda europea fissato nel REPowerEU della Commissione nella misura del 40% entro il 2030 e di quella mondiale per effetto delle politiche climatiche e della forte crescita delle rinnovabili.
Un eccesso di offerta che causerà enormi ‘costi affondati’ che finiranno inevitabilmente per ricadere sugli Stati, ovvero su di noi.
Alberto Clô è direttore della rivista Energia e del blog RivistaEnergia.it. Ha di recente pubblicato il saggio Il ricatto del gas russo.
L’articolo è comparso su Il Foglio del 6 ottobre.
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