4 Novembre 2022

La crisi gas e lo spettro della de-industrializzazione

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Calano i prezzi del gas per un mix di buone e cattive notizie. Tra queste ultime, la flessione dei consumi dell’industria. Lo spettro della de-industrializzazione richiede misure urgenti per le imprese. Pena, chiusura o delocalizzazione. Serve coordinamento a livello europeo onde evitare mosse à la Berlino. Il rischio di andar da soli è lasciare più di qualcuno indietro. Ma un’Europa zoppa non conviene a nessuno.

Nell’ultimo mese, la vera notizia è il calo dei prezzi energetici. Dopo aver toccato la punta più alta il 26 agosto scorso con la cifra record di 316 €/MWh, il 1° novembre i prezzi spot del gas sulla piattaforma italiana PSV hanno toccato il minimo di 29,55 €/MWh. Bisogna tornare al 17 giugno 2021 per trovare quotazioni più basse.  

È una buona notizia? “Si”, come ha scritto di recente Alberto Clò su questo blog, e “non solo” aggiungerei. E ciò è da attribuirsi alla eterogeneità delle cause che stanno influenzando le dinamiche di domanda e offerta.

Prezzi ai minimi da giugno 2021, ma per quanto?

Da una parte, fattori positivi:

  • lato domanda, un clima straordinariamente temperato che ha tardato l’accensione di riscaldamento e pompe di calore;
  • lato offerta, il riempimento dei siti di stoccaggio a livelli superiori al 90%. In l’Italia, i 13 stoccaggi sotterranei hanno immagazzinato il 93% dei 17 miliardi di metri cubi totali, un ammontare che basterebbe a coprire un terzo del fabbisogno nazionale di gas del prossimo inverno.

Dall’altra, fattori negativi, riconducibili alla chiusura di stabilimenti e imprese sotto il peso di costi insostenibili. Se la flessione dei consumi energetici dell’industria è stata finora parzialmente riconducibile al fuel switch, al passaggio cioè a combustibili alternativi, ora si affaccia lo spettro della deindustrializzazione.

Ce lo rivelano i dati Istat sul Pil che prevedono uno scenario meno favorevole per la seconda parte dell’anno rispetto alle performance del primo semestre, più dinamico grazie ad un graduale processo di normalizzazione della vita economica e sociale post-pandemia.

E ce lo dicono le imprese stesse: a partire dalla tarda primavera, le aspettative economiche e l’andamento dell’industria manifatturiera sono in calo; a settembre la flessione degli indici di fiducia delle imprese rivela un peggioramento dei giudizi sui livelli di produzione e ordinativi correnti e previsti per i prossimi mesi.

E d’altronde, l’indice PMI italiano è per il terzo mese consecutivo al di sotto di quota 50, che indica una fase di contrazione dell’economia. Un dato in linea con quello nell’area euro e che segnala un peggioramento del ciclo internazionale nel corso del terzo trimestre.

Vi è poi l’incertezza che aleggia sui mercati energetici: sono molte le variabili in gioco – climatiche, geopolitiche, finanziarie – e non sappiamo quanto potrà durare questa bonanza di prezzi bassi, essendo legata a fattori del tutto congiunturali. Non per niente l’AIE ha “lanciato un campanello di allarme” sul futuro delle forniture gas per il prossimo anno.

-70% la produzione di fertilizzanti, -50% quella d’alluminio

Le preoccupazioni degli industriali europei sono state messe nero su bianco in una lettera inviata da Business Europe a Bruxelles a fine settembre:

“L’attuale stato dei prezzi elevati del gas e dell’elettricità comporta il rischio imminente di perdite di produzione e arresti di migliaia di aziende europee. Le stime mostrano che il 70% della produzione di fertilizzanti in Europa è stata interrotta o rallentata, mentre il 50% della capacità totale di alluminio è andato perso. Esiste il pericolo reale che le imprese, e in particolare le industrie ad alta intensità energetica, si trasferiscano permanentemente fuori dall’Europa, il che aumenterà notevolmente la nostra dipendenza dai paesi terzi e comporterà una perdita di competitività e posti di lavoro”.

Anche la delocalizzazione, quindi, è uno scenario con cui fare i conti, per quanto in Italia il governo Draghi sia intervenuto per scoraggiare questa scelta nelle aziende con +250 addetti, modificando in senso restrittivo la procedura per quelle che intendono delocalizzare.

La vita reale conferma dati e dichiarazioni. Per far fronte alle percentuali di aumento a tre cifre delle bollette energetiche e al rincaro delle materie prime, ci sono realtà industriali costrette a tagliare la produzione, riorganizzare i turni produttivi, ridurre i giorni lavorativi.

Turni di notte, integrazione verticale, soluzioni creative

Come Ceramiche Noi, la cooperativa di Città di Castello presa a modello anche dalla Presidente della Commissione von der Leyen, che ha introdotto turni anticipati all’alba, sostituito i macchinari con modelli nuovissimi per l’industria 4.0, trovato il modo di autoprodurre l’argilla per non dipendere dalle importazioni. Cosa non da poco, considerando che il settore della ceramica in Italia si riforniva soprattutto nel Donbass per l’argilla e ora sta soffrendo di una scarsità di materia prima a causa del conflitto russo ucraino.  

O Gardiplast, attiva nello stampaggio di materie plastiche, che oltre ad aumentare i turni di notte ha investito in progettualità installando un innovativo impianto di trigenerazione per ridurre i consumi elettrici legati alla produzione.

Guardando all’Europa, c’è chi, come ArcelorMittal, il più grande produttore di acciaio, che ha annunciato un calo produttivo dei suoi impianti europei del 17% nel quarto trimestre dell’anno.

Altre aziende hanno adottato misure “creative” di risparmio energetico. Come il gruppo Saint-Gobain, attivo nelle costruzioni in Francia, che ha dotato i propri dipendenti di cappotti e guanti extra caldi nel suo magazzino di Chambéry, così da abbassare il riscaldamento quest’inverno e lavorare a temperature vicine agli 8°C. 

Ricordiamo che l’industria europea dà lavoro a circa 35 milioni di persone, circa il 15% della popolazione attiva, ed è responsabile per circa il 30% della domanda di gas. Quella energivora – acciaio, carta, cemento, ceramica, chimica, alimentare, fonderie e vetro – da sola rappresenta l’87% del totale rispetto ad appena il 4% degli occupati. 

Domanda di gas in UE per settore, 2019
Fonte: Rhodium Group

In Italia misure da 55 mld €, ma servono anche politiche per premiare il risparmio come fatto in Germania

Riduzioni volontarie dei consumi, ottimizzazione di processo, uso di energie alternative possono aiutare a prendere tempo. Ma poi? Al di là della corsa ai ripari delle singole aziende, servono risposte concrete dalla politica. Il rischio di portare alla chiusura molte aziende è alto, con conseguente perdita di milioni di posti di lavoro, crollo della competitività e l’acuirsi di tensioni sociali.

L’Italia ha introdotto una serie di misure per contenere la spesa delle forniture energetiche e tutelare il potere d’acquisto di famiglie e imprese per un costo che al 30 settembre è stimato in 55 miliardi di euro. Tuttavia, a questi sussidi generalizzati servono anche politiche strutturali di premialità del risparmio per tenere sotto controllo i consumi.

Riportare a livelli sostenibili il costo dell’energia per famiglie e imprese è sì doveroso ma come farlo senza stimolare la domanda? Ce lo insegna la Germania che sta progettando per il 2023/24 una misura razionale in grado di dare un sostegno a famiglie e imprese e incentivare il risparmio. Nella pratica, si stabilisce una soglia-obiettivo in base ai consumi storici dell’utenza (80% per le famiglie e 70% per le industrie) su cui viene applicata una tariffa agevolata oltre la quale si applicano i prezzi di mercato.

Le misure per affrontare una crisi di tale portata necessitano di dialogo e coordinamento a livello comunitario per fare in modo che gli interventi più razionali diventino best practice per tutti, salvaguardando il tessuto sociale e imprenditoriale europeo. Il rischio di andare da soli è che solo i paesi con maggiore capacità fiscale riescano a superare indenni l’emergenza, lasciando indietro tutti gli altri.

E se un’Europa a due velocità, come di recente proposto da Romano Prodi, potrebbe avere un suo senso, un’Europa zoppa non servirebbe a nessuno.


Chiara Proietti Silvestri è ricercatrice presso Rie-Ricerche Industriali ed Energetiche


Foto: Unsplash


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