Sull’idrogeno la Commissione europea scommette unicamente sul verde – elettrolisi da fonti rinnovabili – escludendo le altre opzioni, incluso quello blu – gas con cattura e utilizzo del carbonio (CCUS). Luigi De Paoli mette in luce quanto sia rischioso questo approccio ideologico che non tiene conto dell’incertezza tecnologica.
Contemplare come vincente solo un’opzione tecnologica è una scelta già di per sé azzardata. Se poi questa opzione non è ancora nemmeno giunta a maturità, si rischia di incorrere in un grave rischio tecnologico e ambientale oltre che economico.
Questo è il caso della Commissione Europea che, così come emerge dall’analisi dell’Hydrogen Strategy, scommette sul successo della produzione dell’idrogeno da elettrolizzatori da FER, accettando quasi a malincuore la possibilità che esistano altre modalità di produzione dell’idrogeno senza emissioni.
Incertezza tecnologica
Torniamo a parlare di idrogeno riprendendo nuovi passaggi dell’articolo di Luigi De Paoli comparso su ENERGIA 4.21 dedicato alla Strategia europea dell’idrogeno e alle ipotesi poco fondate in essa contenute, come quella già analizzata secondo cui l’idrogeno verde determinerebbe un risparmio in termini di emissioni.
“L’«incertezza tecnologica» andrebbe tenuta maggiormente in considerazione nella definizione di un piano strategico”. Eppure l’UE nella sua strategia punta “quasi esclusivamente a produrre idrogeno da elettrolizzatori da FER”: una visione che “non tiene praticamente conto che potrebbero svilupparsi nuove tecnologie per annullare le emissioni di CO2”.
Fra queste ultime, per De Paoli, merita “una particolare attenzione la SMR (Steam Methane Reforming) abbinata alla cattura e stoccaggio/utilizzo (CCS o CCU) della CO2. La SMR è oggi il modo più diffuso ed economico per produrre idrogeno, mentre la CCS è una tecnologia già sfruttata, ma che non si può dire pienamente matura”.
Idrogeno blu come precursore e facilitatore di quello verde
Anche la IEA in un Report dedicato alla cattura e utilizzo del carbonio (CCUS) afferma che questa tecnologia sarebbe un pilastro della neutralità carbonica perché:
– “Può essere usata per il retrofitting degli impianti termoelettrici e industriali esistenti (…);
– Può aiutare ad affrontare il problema delle emissioni nei settori in cui altre opzioni tecnologiche sono limitate (…);
– È un fattore abilitante per la produzione di idrogeno a basse emissioni di carbonio al minimo costo;
– Può essere impiegata per estrarre CO2 dall’atmosfera (…) per compensare le emissioni inevitabili o difficili da abbattere”.
Pertanto, l’idrogeno blu non solo dovrebbe essere un’opzione da percorrere per ridurre le emissioni, ma potrebbe essere “un precursore e facilitatore dell’idrogeno verde” come afferma “Dickel, in un’articolata analisi quantitativa riferita alla Germania” e di cui De Paoli ci riporta uno stralcio:
“«Green hydrogen from domestic renewables as well as from imports will hardly play a role in deep decarbonisation by 2050. Deploying blue hydrogen on a large scale is the only realistic approach to achieve early and deep decarbonisation of the non-electric sector» (Dickel 2020, p. 39)”.
Ma il CCS non è un fallimento?
Eppure nonostante queste considerazioni, vi è “una posizione più o meno esplicitamente contraria alla produzione di idrogeno blu”. Viene obiettato per esempio che “il ricorso alla tecnologia CCS (…) è stato proposto da molto tempo senza che vi sia stato un significativo sviluppo su larga scala e quindi che si possa parlare anche per la CCS di «bolla» o hype (Martinez Arranz 2016).
Nel 2009, la IEA aveva indicato l’obiettivo di realizzare 100 grandi impianti di CCS tra il 2010 e il 2020 con una capacità di stoccaggio di circa 300 mil. tonn. CO2 per contribuire al raggiungimento degli obiettivi climatici (Orlandi 2021). La capacità di stoccaggio in esercizio nel 2020 è stata invece di 21 grandi impianti e circa 40 mil. tonn. CO2 (Fig. 2).

Tuttavia, come per l’idrogeno, stanno aumentando i progetti e la consapevolezza che difficilmente si potrà fare a meno di questa tecnologia se si vuole raggiungere la neutralità climatica. I sedici progetti che secondo la IEA sono attualmente in stato di «sviluppo avanzato», se realizzati, dovrebbero portare la capacità di cattura annua da 40 a 130 mil. tonn. con un investimento superiore a 27 mld doll. (IEA 2020, p. 29)”.
Sembra quindi che a ostacolare lo sviluppo di questa alternativa tecnologica, conclude De Paoli, più che giustificazioni fondate, sia “un atteggiamento ideologico (contrario per principio all’uso dei combustibili fossili anche se a basse o zero emissioni) associato a obiettivi di politica industriale”.
Il post riporta un estratto dell’articolo di Luigi De Paoli La strategia europea dell’idrogeno: un’analisi critica (pp. 24-37) pubblicato su ENERGIA 4.21
Luigi De Paoli, Università Bocconi
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