Il 5 dicembre scatta l’embargo europeo al petrolio greggio russo, il 15 febbraio quello ai prodotti petroliferi. Cosa attendersi? La Russia si troverà priva di uno dei suoi maggiori acquirenti; l’Europa di uno dei principali fornitori; i mercati internazionali subiranno pressioni al rialzo.
Il 5 dicembre scatterà, nell’ambito del sesto pacchetto di sanzioni alla Russia, l’embargo al petrolio greggio russo decretato dal Consiglio Europeo il 30 maggio scorso con l’eccezione ‘temporanea’ di quello che transita via oleodotto verso Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria, paesi privi di alternative. Da qui, l’eccezione riconosciuta a Victor Orban.
Meraviglia che il Governo Draghi non abbia preteso che la stessa eccezione venisse riconosciuta al nostro Paese per le importazioni di petrolio via mare che alimentano il grande polo raffinativo di Priolo Gargallo in provincia di Siracusa, con una proprietà che risale alla russa Lukoil.
Priolo: a rischio oltre 10.000 occupati
Privata del petrolio russo, Priolo sarebbe costretta infatti a cessare ogni attività mettendo a rischio oltre 10 mila occupati. Con la prospettiva, da ultimo, che venga nazionalizzata.
Dal 15 febbraio anche i prodotti petroliferi russi saranno sottoposti ad embargo. Sia per il greggio che per i prodotti, agli operatori europei è vietato assicurare e finanziare il trasporto verso paesi terzi, a meno che essi non accettino un prezzo definito dai paesi occidentali.
Tutto questo renderà estremamente difficile per Mosca trovare sbocchi alternativi a quelli europei. Difficoltà acuita dalla riluttanza del sistema bancario a finanziare ogni transazione condotta dalla Russia.
Che accadrà dopo il 5 dicembre e il 15 febbraio? Due i concomitanti effetti.
Da un lato, verrà meno sul mercato petrolifero internazionale un volume consistente di petrolio e derivati (specie diesel, nafta, olio combustibile) esportati dalla Russia (stimati prima della guerra in 5,3 mil.bbl/g di greggio e 2,8 mil.bbl/g di prodotti., di cui 4 verso l’Europa), il secondo paese esportatore al mondo.
Dall’altro lato, l’Europa dovrà rimpiazzare le importazioni russe che nel 2021 hanno coperto circa 1/3 di tutte le sue importazioni petrolifere, specie diesel (40% importazioni) con un sistema raffinativo interno incapace di porvi rimedio.
La Russia tenterà di dirottare le sue esportazioni verso i paesi asiatici, come in parte già avvenuto ma con limiti ormai raggiunti, dovendo quindi sopportare un calo consistente dei suoi ricavi petroliferi, quelli più importanti tratti dalle sue esportazioni energetiche.
Circa 2,5 mil.bbl/g di petrolio e derivati russi potrebbero sparire (da un mercato privo di capacità produttiva inutilizzata)
Dal che la conclusione che circa 2,5 mil.bbl/g di petrolio e derivati russi potrebbero sparire dal mercato, anche per la difficoltà della Russia a trovare 100 petroliere non soggette al divieto di assicurazione.
L’Europa per contro dovrà rimpiazzare le importazioni russe incontrando verosimilmente non poche difficoltà nello scacchiere medio-orientale per l’alleanza tra Russia e sistema Opec (specie Arabia Saudita) e la difficoltà dell’Organizzazione di Vienna di rispettare i suoi stessi target produttivi (si veda Philip Verleger, Occidente o Russia: da che parte sta l’OPEC+ ?, 6 Ottobre)
Di capacità produttiva di petrolio inutilizzata in giro per il mondo d’altra parte non ve ne è col rischio che l’embargo si traduca in un boomerang per l’Europa, senza che nel decretarlo Bruxelles ne avesse piena consapevolezza.
Prezzi petroliferi: pressioni di segno opposto
Le incertezze si riflettono sulle previsioni di prezzo condizionate da pressioni di segno opposto. Da un lato, al ribasso, dai segnali di recessione che si vanno manifestando, dal rafforzamento del dollaro che si ripercuote su una domanda che si mantiene comunque inaspettatamente resiliente (100 milioni di barili giorno nell’ultimo trimestre), dalla recrudescenza del Covid in Cina.
Dall’altro lato, al rialzo, dal possibile deficit di offerta causato dalle sanzioni europee; dai minimi storici delle scorte americane dopo il loro enorme rilascio voluto dalla Casa Bianca; da ultimo dal price cap al petrolio russo decretato dai paesi del G7, ad un livello ancora ignoto, con una concorrenza tra i paesi consumatori per accaparrarsi le quantità disponibili, che si acuirà se la Cina dovesse uscire dal lockdown.
Da qui, previsioni di prezzo nel I trimestre del 2023 per il greggio Brent comprese tra i 115 doll/bbl di Goldman Sachs – in netto aumento rispetto al range 85-95 doll/bbl di fine agosto – e i 92-95 di Barclays, Citi, Bank of America.
Un’incertezza che potrebbe aggravare o alleviare i rischi di recessione, con l’agenzia Fitch Ratings già pronta a declassare i paesi che ne fossero più colpiti.
Alberto Clô è direttore della rivista Energia e del blog RivistaEnergia.it
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