Per comprendere la portata del recente risultato è importante conoscere alcuni aspetti generali della fusione nucleare ed altri specifici del concetto di fusione a confinamento inerziale, su cui si basano gli esperimenti del NIF. Se fino a pochi giorni fa l’obiettivo era l’ignizione del plasma, è ora possibile concentrare gli sforzi verso il raggiungimento di guadagni compatibili con l’operazione di un reattore.
Lo scorso 5 dicembre ai Lawrence Livermore National Laboratories in California i ricercatori della National Ignition Facility (NIF) sono riusciti, per la prima volta nella storia, ad ottenere un guadagno di energia maggiore di 1 (Q > 1) in un esperimento di fusione nucleare controllata. A fronte di 2,05 MJ (megajoule) di energia fornita al target di combustibile, una sfera millimetrica di deuterio e trizio ghiacciati, si sono prodotti 3,15 MJ di energia da fusione nucleare con un fattore di guadagno pari a circa 1,5.
La notizia è stata diffusa lunedì 12 dicembre dal Financial Times, poi ripresa da diverse testate internazionali ed italiane. L’annuncio ufficiale è stato dato martedì 13 dicembre con una conferenza stampa del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti.
Per comprendere la portata di questo risultato è però importante conoscere alcuni aspetti generali della fusione nucleare ed altri specifici del concetto di fusione a confinamento inerziale, su cui si basano gli esperimenti del NIF.
Il concetto di guadagno
Per prima cosa, perché è necessario parlare di guadagno quando si parla di fusione nucleare? Quando pensiamo ad altri metodi per produrre energia abbiamo in mente concetti come efficienza di conversione dell’energia o rendimento termodinamico che, peraltro, si applicano anche alla fusione. Il guadagno, al contrario, è un concetto peculiare di questa tecnologia. Il motivo per cui dobbiamo introdurlo è che la reazione di fusione dei nuclei atomici può avvenire solamente in condizioni estremamente difficili da ottenere sulla Terra. Una su tutte la temperatura, che deve superare i 100 milioni di gradi Celsius. Per portare e mantenere il sistema in condizioni adatte a far fondere i nuclei è necessario fornire al combustibile una grande quantità di energia.
Un reattore a fusione nucleare funziona dunque come un amplificatore di energia ed il guadagno è il rapporto tra l’energia prodotta dalla reazione di fusione e quella assorbita dal combustibile.
La temperatura non è tuttavia l’unico requisito. Serve infatti che il combustibile, che si trova allo stato di plasma, sia mantenuto ad una densità sufficientemente alta per un tempo sufficientemente lungo. L’espressione matematica di questa condizione prende il nome di Criterio di Lawson e definisce il valore minimo del prodotto tra la densità e il tempo di confinamento del plasma ad una certa temperatura. Per soddisfare il Criterio di Lawson è possibile sfruttare due differenti approcci.
e quelli di confinamento magnetico e confinamento inerziale
Una strategia è quella di incrementare il più possibile il tempo di confinamento, ovvero mantenere il plasma confinato a centinaia di milioni di gradi e con una densità circa 10.000-100.000 volte inferiore alla densità dell’aria. Questo è l’approccio della fusione nucleare a confinamento magnetico, nel quale il plasma è racchiuso all’interno di una grossa macchina di forma toroidale, il tokamak, e confinato sfruttando intensi campi magnetici.
Alcuni dei maggiori esperimenti a livello mondiale che sfruttano questo approccio sono JET nel Regno Unito, che ha recentemente ottenuto il record in termini di energia da fusione prodotta con 59 MJ per 5 secondi, e EAST in Cina, che è il principale tokamak che sfrutta magneti superconduttori per produrre il campo magnetico.
L’utilizzo di magneti superconduttivi ha il vantaggio di garantire il confinamento del plasma per tempi maggiori: in EAST, ad esempio, è stato dimostrato di poter confinare un plasma con caratteristiche adatte ad un reattore a fusione per 1.000 secondi.
A questi due esperimenti, che sono in funzione da diversi anni (JET è stato costruito addirittura nel 1984), si aggiungeranno JT60-SA in Giappone, che sarà il più grande tokamak con magneti superconduttori al mondo, e ITER, in costruzione in Francia, che sarà il primo esperimento di fusione a confinamento magnetico in grado di avere un guadagno maggiore di 1.
La NIF è dotata di 192 fasci laser in grado di rilasciare sul target la stessa potenza istantanea richiesta in media dall’intera rete elettrica americana
Gli esperimenti del NIF di cui si è parlato nei giorni scorsi sfruttano un approccio differente per soddisfare il Criterio di Lawson. Invece di puntare sul tempo di confinamento, mirano ad aumentare la densità del combustibile il più possibile. Si parla in questo caso di fusione a confinamento inerzialee il combustibile, che si trova sempre allo stato di plasma, è portato a densità circa 100-1.000 volte superiori alla densità del piombo solido.
Pochi microgrammi di combustibile sono immagazzinati in una sfera di circa 1 mm di diametro, chiamata target. Come per la fusione a confinamento magnetico, il combustibile è una miscela di deuterio e trizio, due isotopi dell’idrogeno. Per comprimere il target alle densità e temperature desiderate sfruttando l’approccio del confinamento inerziale si utilizzano fasci laser estremamente energetici ed intensi.
Il NIF è dotato di 192 fasci laser che rilasciano sul target un’energia di circa 2 MJ in un tempo di circa un nanosecondo (un miliardesimo di secondo). La potenza sul target è dunque circa equivalente alla potenza istantanea richiesta in media dall’intera rete elettrica degli Stati Uniti.
Un interesse anche militare
I fasci laser possono essere focalizzati direttamente sulla sfera di combustibile, seguendo il cosiddetto approccio diretto oppure, come al NIF, possono essere focalizzati all’interno di un piccolo cilindro d’oro, detto hohlraum, che contiene la sfera di combustibile. Questo secondo approccio, detto indiretto, sfrutta i raggi-X prodotti dall’interazione tra il laser e l’hohlraum per comprimere la sfera di combustibile, garantendo una migliore simmetria di compressione rispetto all’approccio diretto.
È sicuramente anche degno di nota l’interesse strategico dell’approccio indiretto a confinamento inerziale. Il processo di produzione dei raggi-X all’interno dell’hohlraum e la successiva compressione del combustibile sono aspetti alla base della detonazione di ordigni nucleari a due stadi (fissione-fusione).
Non deve sorprendere, dunque, che parte degli esperimenti del NIF siano finanziati dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti come, per altro, ben esplicitato durante la conferenza stampa di martedì 13.
Il risultato raggiunto e i prossimi passi
Per quanto la definizione possa non essere univoca, in questo contesto definiamo l’ignizione del plasma come la condizione per cui l’energia prodotta da fusione nucleare supera quella fornita dal laser al target, ovvero proprio il Q > 1 che è stato raggiunto per la prima volta lunedì 12 dicembre.
Ultimato nel 2009, il NIF è ancora oggi l’unica facility in funzione al mondo progettata per fare esperimenti sulla fusione nucleare in grado di portare il plasma in condizioni di ignizione (ignition, appunto, in inglese). Una seconda facility con lo stesso scopo è Laser Megajoule (LMJ), ora in costruzione in Francia presso il CEA di Bordeaux.
Nel contesto della ricerca sulla fusione a confinamento inerziale, dunque, il raggiungimento della condizione di ignizione era una tappa fondamentale ed è stata raggiunta lo scorso 5 dicembre presso i Laboratori Nazionali Lawrence Livermore. Questo risultato, arrivato dopo tredici anni di tentativi (senza contare quelli di studi per la progettazione e costruzione dell’esperimento) e maggiori difficoltà di quelle inizialmente ipotizzate, è indubbiamente un traguardo scientifico che aprirà una nuova fase della ricerca nel settore.
Se fino a pochi giorni fa l’obiettivo era l’ignizione del plasma, è ora possibile concentrare gli sforzi verso il raggiungimento di guadagni compatibili con l’operazione di un reattore. Il Q raggiunto al NIF non è, infatti, in alcun modo adatto a produrre energia elettrica; per questo scopo occorrerà raggiungere guadagni almeno 100 volte maggiori, per compensare le perdite dovute alla conversione di energia nel laser e al rendimento del ciclo termodinamico per la produzione di energia elettrica.
Nell’esperimento al NIF, ad esempio, i 2 MJ di energia sul bersaglio sono stati ottenuti a fronte di un assorbimento di circa 300 MJ da parte del laser. Se l’obbiettivo è progettare una macchina che produca energia elettrica, si introduce solitamente il cosiddetto guadagno ingegneristico Qeng, ovvero il rapporto tra l’energia elettrica prodotta a valle della conversione del calore rilasciato dalla reazione di fusione e l’energia elettrica assorbita dal laser. Un impianto di potenza deve chiaramente avere Qeng > 1 e, se basato sul confinamento inerziale, Q > 100.
Un altro tassello fondamentale in vista della progettazione di un reattore a confinamento inerziale, è il rateo di ripetizione del laser, ovvero il numero di impulsi che il laser è in grado di fornire al bersaglio nell’unità di tempo. Per la progettazione di un reattore che produca energia in modo continuo sono necessari alcuni impulsi al secondo. Attualmente, il sistema laser del NIF può produrre un singolo impulso laser al giorno.
Una strada ancora lunga
Alla luce di questi aspetti, dunque, oltre a riconoscere il risultato scientifico degli esperimenti al NIF, dobbiamo altrettanto chiaramente riconoscere che la strada verso il primo reattore a fusione nucleare è ancora lunga.
Simile, anche se con qualche differenza, è la situazione nel contesto della fusione a confinamento magnetico. Nonostante non sia ancora mai stato raggiungo un fattore di guadagno vicino a 1, questa tecnologia è paradossalmente più vicina alla realizzazione di un impianto in grado di generare potenza elettrica. Questo è dovuto, da un lato, al fatto che per avere un Qeng > 1, con il confinamento magnetico può essere sufficiente un Q ~ 5-10.
In secondo luogo, le fasi di progettazione del primo prototipo di reattore che produca energia elettrica, denominato DEMO, sono molto più avanzate per l’approccio magnetico. Mentre si sta costruendo ITER, il primo tokamak progettato per raggiungere Q ~ 5-10, la progettazione di DEMO è già ben avviata.
A questo proposito, in particolare, vorrei menzionare il progetto DTT (Divertor Tokamak Test), in costruzione in Italia a Frascati. Questo tokamak avrà lo scopo di testare il divertore, un componente essenziale per la dissipazione del calore residuo del plasma, in condizioni simili a quelle previste in DEMO.
Alla luce di tutto quello che è stato detto, credo dunque risulti evidente che, nonostante gli ottimi risultati degli ultimi anni, la fusione non sarà una tecnologia in grado di contribuire al raggiungimento degli obbiettivi climatici al 2050. Per quella data si ipotizza di avere in funzione i primi prototipi di DEMO, che ancora non saranno reattori commerciali. Tuttavia, le sue grandiose potenzialità rendono questa tecnologia degna di tutti gli sforzi possibili nel campo della ricerca, per poterla inserire nel mix energetico dei prossimi secoli.
Elena Tonello è Dottoranda in Scienze e Tecnologie Energetiche e Nucleari del Politecnico di Milano
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Foto: Lawrence Livermore National Laboratory
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