9 Gennaio 2023

Dalla FIAT a Stellantis: cronaca del ritardo italiano nell’auto elettrica

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Scelte strategiche sbagliate, mancanza di visione, scarsità di capitali, sono tra le ragioni del ritardo dell’Italia sull’auto elettrica. La cronaca di questo ritardo, dall’articolo di G.B. Zorzoli su ENERGIA 2.22.

Nell’ottobre 2019 ha inizio la fusione tra il gruppo automotive italiano FCA e quello francese PSA che si concluderà il 16 gennaio 2021 con la nascita di Stellantis, quarto gruppo al mondo per produzione e capitalizzazione.

Obiettivo è “unire le forze per creare un leader mondiale in una nuova era della mobilità sostenibile”. Ma a ben vedere le necessità dei due gruppi non erano propriamente eguali, come dimostrano i dettagli della fusione.

L’Italia entra così nell’industria dell’auto elettrica. Un percorso lungo e tortuoso, e soprattutto a un prezzo elevato. Ripercorriamo i fatti con l’aiuto di alcuni estratti dell’articolo di G.B. Zorzoli Per una riconversione eterodiretta dell’industria automotive pubblicato su ENERGIA 2.22.

Operazioni finanziarie a scapito degli investimenti produttivi

“L’attuale assenza di una casa automobilistica controllata da capitale italiano non era affatto scontata. Tutto torna, solo se si ripercorre la storia della Fiat durante la gestione Romiti, nomina suggerita a Gianni Agnelli da Cuccia, numero uno di Mediobanca, nel bene e nel male allora dominus degli equilibri e delle scelte del capitalismo italiano.

Sotto la guida di Romiti viene data priorità alle operazioni finanziarie, a scapito degli investimenti produttivi; scelta contrastata da Vittorio Ghidella, allora responsabile del settore auto, al quale si doveva lo straordinario successo di vendite della Uno, il più prestigioso dei modelli da lui creati.

Nessuno meglio di Ghidella era in grado di comprendere le future conseguenze negative della politica di Romiti e, forte dei risultati conseguiti, sperava di convincere la proprietà a intervenire. Accadde il contrario: Ghidella fu cacciato sulla base di accuse infamanti e la «diversificazione» della Fiat continuò imperterrita, anche con lo spericolato ingresso nell’azionariato della moribonda Montedison, finché nei primi anni 2000 arrivò la resa dei conti, con l’ennesimo intervento delle solite banche a evitarne il fallimento.

Innovazione tecnologica, vittima della politica romitiana

Vittima predestinata della politica romitiana fu l’innovazione tecnologica, come testimoniano due casi eclatanti, uno noto, l’altro mai emerso alla luce della cronaca. (…) Il common rail venne sviluppato nei primi anni 1990, con il supporto di fondi pubblici, dal Centro Ricerche Fiat e dalla Magneti Marelli, fino ad arrivare alla pre-industrializzazione del sistema. Ebbene, proprio mentre le auto diesel stavano conquistando la maggioranza del mercato europeo, nel 1994 il progetto common rail fu venduto alla Bosch. Incredibile, ma vero.

Nel 1993 venni chiamato da Umberto Colombo, nominato Ministro dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica (MURST) nel governo Ciampi, a ricoprire l’incarico di suo consigliere scientifico. Uomo dotato di grande visione, Colombo decise di promuovere lo sviluppo dell’auto ibrida, incaricandomi di assisterlo nella messa a punto del relativo programma.

Alla Fiat, nostro naturale interlocutore, venne proposto il cofinanziamento di un piano pluriennale, con l’obiettivo di arrivare alla pre-industrializzazione della vettura ibrida in tempi confrontabili con quelli previsti dalla Toyota. A (…) inizio 1994 il progetto decollò. Nello stesso anno il risultato delle elezioni politiche portò alla costituzione di un governo sorretto da una diversa maggioranza (…) il progetto (…) era stato chiuso, senza incontrare nessuna opposizione da parte della Fiat, che verosimilmente aveva accettato la proposta di Colombo solo perché a un ministro si preferisce dire di sì.

L’era Marchionne, FCA e l’obbligato scetticismo sull’auto elettrica

Questa la situazione, quando Marchionne venne chiamato al timone della Fiat. Scelse di mettere insieme due debolezze, Chrysler e Fiat, con problemi analoghi, ma con il vantaggio della presenza in due grandi mercati complementari. Lo fece col massimo di durezza e di spregiudicatezza (…).

Riuscì a risanarle entrambe sotto il profilo finanziario, ma non disponeva delle risorse richieste da investimenti delle dimensioni (decine di miliardi) necessarie per il passaggio all’auto elettrica avviate nel frattempo in Europa dai competitori più agguerriti.

(…) Fino a poco prima della conclusione del suo mandato, Marchionne è stato costretto a dichiararsi scettico sulle prospettive dell’auto elettrica (Spini 2017), non potendo esternare le ragioni dei mancati investimenti per lo sviluppo della filiera elettrica, perché avrebbero indebolito l’immagine di FCA.

Un uomo delle sue capacità non poteva non essere consapevole del contrario, come confermano le dichiarazioni rilasciate poco prima della sua preannunciata fuoriuscita da FCA e dell’imprevisto decesso. Si tratta di «un processo graduale ma ineluttabile. Che ha come corollario un’accelerazione di FCA sul fronte delle motorizzazioni ibride, benzina più elettrico» (Chiarelli 2018).

Era un chiaro messaggio ai suoi successori: cercate in fretta un’alleanza che vi consenta di recuperare il ritardo tecnologico nella motorizzazione elettrica. Costoro, non avendo né i fondi né il tempo necessario per realizzare l’obiettivo in proprio, come unica soluzione per risolvere il problema scelsero di puntare sulla fusione con chi aveva già le carte in regola, e allo stesso tempo fosse di dimensioni similari, al fine di rendere meno evidente la condizione di subalternità che FCA avrebbe dovuto accettare.

L’estrema ricerca di un partner, da Renault…

L’ufficializzazione, il 27 maggio 2019, della trattativa in corso fra FCA e Renault era pertanto un evento da tempo annunciato. Mancava solo il nome della controparte. Anche l’impostazione data all’intesa era la conferma delle cause strutturali, che ne rappresentavano il presupposto. Letti diversamente, i contenuti dell’accordo sarebbero infatti poco comprensibili.

È FCA che propone al gruppo Renault una fusione, nella quale il controllo della nuova capogruppo sarà paritario, ma l’amministratore delegato spetterà al gruppo francese, malgrado i numeri ci raccontino una storia diversa (…).

Il «fidanzamento» fra FCA e Renault (…) durò ufficialmente soltanto dieci giorni. FCA decise infatti di ritirare l’offerta di fusione, dopo che per ben due volte il CdA di Renault non era stato in grado di fornire una risposta sulla bozza di accordo, perché il governo francese (5), per evitare tagli occupazionali in Francia e difendere l’interesse nazionale, gli aveva richiesto di soprassedere in attesa di ulteriori garanzie da parte di FCA, tra cui: il quartier generale operativo del nuovo gruppo a Parigi, un dividendo straordinario per gli azionisti di Renault e un posto al governo in CdA (Mangano 2019).

…a PSA: stesso copione, attori diversi

Pochi mesi dopo (30 ottobre 2019) FCA e PSA, controllata da Peugeot, annunciano l’inizio di un processo di fusione alla pari. Si trattava di una quasi replica della precedente trattativa con Renault, circostanza che non doveva stupire, dato che il copione era lo stesso (6) e solo il cast degli attori era in parte diverso. Infatti, anche l’accordo con PSA apriva a FCA il mercato asiatico e alla controparte quello nordamericano e brasiliano. E pure PSA aveva una piattaforma per la produzione di vetture elettriche (…).

Il CdA di Stellantis è però composto da undici membri (…). Anche se formalmente i poteri esecutivi sono congiunti tra John Elkann, presidente della società, e Carlos Tavares, di fatto il secondo è il top executive.

La nascita di Stellantis dalla fusione FCA-PSA ha formato un gruppo che, per capitalizzazione e produzione, è quarto al mondo, dopo Volkswagen, Toyota, Renault-Nissan-Mitsubishi, ma non sideralmente lontano da loro, quindi in grado di diventare uno dei protagonisti della transizione alla mobilità elettrica e a veicoli a guida sempre più autonoma. Un protagonista, però, a trazione francese”.


Il post riprende contenuti dell’articolo di G.B. Zorzoli Per una riconversione eterodiretta dell’industria automotive (pp. 64-69) pubblicato su ENERGIA 2.22

GB Zorzoli (Presidente AIEE e Comitato Scientifico «Energia»)



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