L’Europa deve affrontare in misura crescente i gravi impatti del cambiamento climatico, sia prevenendo che risarcendo i danni. L’articolo di Klaas Lenaerts, Simone Tagliapietra e Guntram Wolff (Bruegel) pubblicato su ENERGIA 4.22 presenta una disamina dei possibili impatti, delle misure e strategie finora intraprese e avanza alcune proposte per un’azione più determinata.
Nella chiusura del suo articolo su ENERGIA 3.22, Pippo Ranci scrive “Della scienza abbiamo bisogno più che mai per rendere possibile una mitigazione della minaccia climatica a costi affrontabili: l’elettronica e l’intelligenza artificiale, la scienza dei materiali e le nanotecnologie, la scienza dell’atomo. Ma occorre anche programmare su base scientifica l’adattamento, tanto più necessario quanto più reale e minacciosa si presenta la sfida”.
Il tema dell’adattamento è cruciale, eppure in questi decenni ha ricevuto minor attenzione sia mediatica che politica che economica rispetto al gemello fronte d’azione della mitigazione. “Alle misure di adattamento (…) confluiscono meno del 10% degli investimenti, principalmente per progetti di gestione delle acque” rilevano Enzo Di Giulio e Stefania Migliavacca in un articolo del 2020 in cui indagano Quanto è green la finanza mondiale.
Come mai questa disattenzione? Parte della risposta può ritrovarsi sempre nelle parole di Ranci: “dedicando attenzione all’adattamento si dovrà superare il timore che il solo parlarne sia un segnale di resa, in contrasto con l’impegno a mitigare il cambiamento climatico”.
Un timore quanto mai fondato, che può trovare riscontro nelle dinamiche che si sono potute osservare nell’ultima COP dove il tema del fondo “loss and damage” ha irretito l’intero negoziato. “È come se questo doppio registro segnasse un primo, implicito passaggio di consegne, in ambito COP, tra la mitigation e l’adaptation” ha scritto Enzo di Giulio a commento della chiusura della COP. “I tagli latitano ma i danni ci sono e vanno controbilanciati”.
L’adattamento è questione prevalentemente regionale e locale, ma chiama in causa anche l’Unione (vantaggi di scala, spillover territoriali, impatti su competenze comunitarie)
Che sia un segnale di resa o di accresciuta consapevolezza resta il fatto che il tema è e sarà sempre più cruciale. Su ENERGIA 4.22 abbiamo quindi deciso di ospitare uno studio firmato da Klaas Lenaerts, Simone Tagliapietra e Guntram Wolff del think tank Bruegel sulla strategia di adattamento dell’Unione Europea.
“L’Unione è ambiziosa nell’affrontare il cambiamento climatico, ma la maggior parte delle sue iniziative si focalizzano sulla mitigazione. L’adattamento – sforzi per evitarne, limitarne e gestirne gli effetti più dannosi (1) – è per lo più una questione regionale o locale. Ciononostante, l’Unione si sta muovendo anche su questo fronte, e per buone ragioni”.
Dato che “dovrà comunque confrontarsi con sempre più frequenti e intense ondate di calore, siccità, allagamenti e con l’innalzamento del livello dei mari. In aggiunta a politiche di mitigazione del cambiamento climatico, dovranno essere effettuati maggiori sforzi in quelle di adattamento”.
Tuttavia, il ruolo dell’Unione Europea rimane mal definito. L’articolo presenta una disamina di come il cambiamento climatico può cambiare l’Europa, come può condizionare la popolazione e l’economia, quali politiche di adattamento vengono perseguite a livello europeo e su quali basi, per chiudere con alcune proposte per un’azione più determinata.
In Europa, la temperatura terrestre è cresciuta di più che nella media mondiale (2°C vs 1,1°C)
La prima parte è dedicata all’inquadramento dell’impatto del cambiamento climatico sull’Europa (par. 1) a partire dagli effetti fisici (par. 1.1), i relativi danni e impatti economici (par. 1.2) e, calandosi più nel dettaglio, gli impatti settoriali (par. 1.3) in quanto “le citate stime non incapsulano necessariamente la complessità dei mutamenti derivanti dal cambiamento climatico. Le maggiori temperature e conseguente siccità spingeranno, ad esempio, gli agricoltori a modificare le loro colture o l’irrigazione dei campi”.
Una questione legata tipicamente a vantaggi di scala, come nel caso della conoscenza scientifica
La seconda parte mira a rispondere all’interrogativo perché l’Europa deve agire? (par. 2) mentre la terza presenta le politiche europee di adattamento (par. 3), a partire dalla strategia (par. 3.1) il suo finanziamento (par. 3.2) e quella parte delle iniziative che non riguardano la prevenzione dei danni ma l’intervento a posteriori (par. 3.3. La risposta ai disastri).
“La base dell’azione europea in tema di adattamento sono i trattati europei (3), i quali stabiliscono che la politica ambientale dovrebbe contribuire anche alla protezione della salute umana e al prudente e razionale uso delle risorse naturali. Dovrebbe inoltre basarsi sul principio di precauzione e sull’azione preventiva”.
“Le politiche di adattamento sono in senso stretto preventive, ovvero tese a ridurre l’esposizione e la vulnerabilità delle popolazioni, degli asset e degli ecosistemi alle conseguenze del cambiamento climatico. Tuttavia, poiché non tutti i danni possono essere evitati, le politiche devono anche essere in grado di prevedere una capacità di risposta alle calamità naturali sempre più frequenti e gravi”.
Una strategia «smarter, faster and more systemic»
La quarta parte dell’articolo è dedicata alle proposte per una più determinata azione di adattamento (par. 4) che gli Autori individuano in 3 ambiti di azione:
- Una governance multi-livello per strutturare la cooperazione (par. 4.1): “Creare una struttura a tre livelli di governance basata su un’intensa cooperazione e con divisione delle informazioni per stabilire piani vincolanti di adattamento”;
- Un fondo assicurativo e di solidarietà per incentivare e aiutare gli Stati membri (par. 4.2): “Fissare a livello europeo assicurazioni contro i danni causati dal cambiamento climatico, con contributi nazionali legati al raggiungimento di obiettivi fissati dai paesi nei piani nazionali”;
- Risorse finanziarie per le regioni svantaggiate e principali interventi (par. 4.3): “Aumentare ex-ante i fondi per l’adattamento, fissandone i livelli nelle politiche regionali e agricole specie nelle regioni più vulnerabili e istituendo strumenti finanziari per la protezione di infrastrutture e catene del valore di scala europea”.
Nelle conclusioni gli Autori ricapitolano come “le due strategie di adattamento adottate (…) hanno consentito progressi a livello europeo, ma a livello (sub)nazionale mancano ancora conoscenza e consapevolezza, adeguate capacità finanziarie e il riconoscimento dell’adattamento come priorità politica, così che l’implementazione delle decisioni resta ancora troppo debole. L’attuale strategia europea non affronta questi problemi in modo sufficiente, come dimostrato dalla mancanza di obiettivi vincolanti e misurabili, tuttora non richiesti ai paesi membri”.
Chiudiamo la presentazione di questo articolo con una citazione tratta dall’articolo Scenari demografici di fine secolo del demografo Massimo Livi Bacci anch’esso pubblicato su questo numero di ENERGIA e che ci aiuta ad estendere l’importanza dell’adattamento oltre i confini continentali: “Saranno quindi soprattutto le politiche di adattamento quelle che consentiranno, nel futuro, di moderare gli effetti negativi di una crescita demografica che si prospetta ancora robusta nel prossimo mezzo secolo”.
Il post presenta l’articolo di Klaas Lenaerts, Simone Tagliapietra e Guntram Wolff Unione Europea: adattarsi ai cambiamenti climatici (pp. 24-33) pubblicato su ENERGIA 4.22
Klaas Lenaerts, Simone Tagliapietra e Guntram Wolff (Bruegel)
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