Per ogni articolo che tesse le lodi dell’auto elettrica, un altro evidenzia l’azzardo dell’imposizione per legge. Occorre cercare di essere oggettivi e di evitare cadute ideologiche. Senza trascurare i rischi: di mancare l’obiettivo principale e dell’epocale cambio di approccio alle policy.
Auto elettrica sì, auto elettrica no? Il giudizio appare spaccato. Per ogni articolo che dice sì, se ne trova un altro che dice no. In genere le esternazioni sul tema, semplici o complesse, si configurano come un elenco di punti positivi che decantano le lodi del nuovo paradigma che irreversibilmente avanza, oppure una lista di aspetti negativi che evidenziano la scelleratezza di una scelta azzardata imposta dalla politica al business.
In questo articolo, ci sforzeremo di essere oggettivi e di evitare cadute ideologiche, aprendoci alle due visioni e confrontandole.
Le (principali) ragioni del partito del sì
Gli argomenti principali del partito del sì sono i seguenti:
1. l’auto elettrica riduce le emissioni di gas serra e quindi contribuisce al raggiungimento del target emissioni nette zero.
2. Essa abbatte anche altre emissioni nocive (ossidi di zolfo e di azoto, in primis) che affliggono le nostre città e, dunque, le rende più vivibili e abbassa la mortalità da inquinamento.
3. I costi della ricarica elettrica tendono a essere più bassi di quelli associati ai combustibili fossili.
4. Il nuovo paradigma tecnologico fondato sull’auto elettrica si imporrà comunque: accelerarne la penetrazione non fa altro che favorire l’industria automobilistica europea garantendole una posizione di leadership a livello mondiale.
5. Il divieto di vendita di auto alimentate a benzina e diesel a partire dal 2035 irrobustisce la posizione di leadership dell’Unione Europea che potrà continuare la sua azione di traino nella lotta al cambiamento climatico rispetto agli altri paesi.
6. L’Unione Europea aprirà una nuova rotta che gli altri paesi potranno seguire.
Le (principali) ragioni del partito del no
Coloro che sono contrari all’obbligo di vendita di auto elettriche dal 2035 sostengono che:
a. le EV sono caratterizzate da elevate emissioni nella parte alta della catena produttiva e, pertanto, la riduzione effettiva delle emissioni di gas serra è minima. E ciò è ancor più vero se la produzione delle batterie avviene in paesi, come la Cina, che hanno un mix energetico molto carbonico.
b. Se anche le emissioni dei trasporti europei venissero annullate, il peso del settore sul totale mondiale sarebbe modesto.
c. La decisione europea basata sulla sola considerazione delle emissioni al tubo di scarico non è caratterizzata da neutralità tecnologica. In particolare, essa sfavorisce nuove filiere, ad esempio quella degli e-fuels, che potrebbero in futuro ridurre sensibilmente le emissioni di gas serra senza dover rivoluzionare industria e infrastrutture e, soprattutto, gioverebbero a settori di difficile decarbonizzazione quale l’aereo e il navale.
d. L’auto elettrica ha un costo superiore a quella tradizionale e, dunque, l’obbligo di vendita sfavorisce persone e paesi con reddito medio-basso.
e. La decisione penalizza l’industria europea e mette a rischio milioni di posti di lavoro.
f. L’eliminazione dei combustibili fossili nei trasporti ridurrebbe una fonte di gettito oggi preziosa per i bilanci degli Stati europei.
g. Si sottovaluta la dipendenza economica ed energetica che si verrebbe a creare rispetto alla Cina che, al momento, possiede il quasi monopolio di parecchi minerali critici.
h. Si pone sia un problema di generazione di volumi crescenti di elettricità decarbonizzata sia una questione, cruciale, di ammodernamento della rete elettrica.
i. Le infrastrutture andrebbero rinnovate in toto. L’EV ha una complessità di ricarica superiore a quella delle auto tradizionali e, di nuovo, svantaggia quelle fasce di popolazione, verosimilmente non abbienti, che non dispongono di un garage.
Il confronto
Proseguendo nel nostro sforzo di oggettività, riteniamo che si possa affermare quanto segue:
Sia il punto 1 che i punti a) e b) hanno un contenuto di verità. L’auto elettrica riduce le emissioni ma non di molto, se si considera l’intero ciclo di vita di un’auto. La letteratura sull’argomento è molto vasta. Qui citiamo il confronto della IEA.
202 vs 83 gCO2/km, la media di emissioni ICE vs BEV, ma il delta è molto ampio (e può perfino ribaltarsi)
Un’auto con motore a combustione interna (ICE) emette in media 202 gCO2/km laddove un’auto elettrica (BEV) ne emette 83. Da notare l’ampio livello di incertezza: sotto certe condizioni, il delta tra BEV e ICE può raggiungere i 245gCO2/km mentre sotto altre ICE potrebbe addirittura emettere meno di BEV (150 vs 187).
Se assumiamo valori medi, tenendo presente che le emissioni di CO2 dei trasporti su strada europei sono intorno a 0,8 mld ton CO2, il passaggio totale all’auto elettrica implicherebbe una riduzione annua delle emissioni pari a circa 0,47 mld ton CO2.
0,9% annuo, il calo dei gas serra globali se l’Europa passasse totalmente all’auto elettrica
Segnaliamo che la riduzione è molto ottimistica: nel suo Global vehicle outlook 2022, la IEA perviene a una stima di riduzione totale mondiale pari a 0,58 mld ton CO2 nel 2030 nel caso in cui i paesi che hanno annunciato target net zero li rispettassero.
Ad ogni modo, assumendo una riduzione di 0,47 mld ton CO2, si tratterebbe dello 0,9% dei gas serra globali (circa 55 mld ton CO2). D’altra parte, non si può escludere che il costo maggiore dell’auto elettrica implichi, qualora non compensato da adeguati sussidi, un invecchiamento del parco automobilistico, soprattutto nei paesi meno ricchi.
Ma concreto è il rischio che l’obbligo ritardi il ricambio del parco auto nei paesi meno ricchi, con un aumento delle emissioni rispetto a scenari alternativi
I dati sono chiarissimi: l’Europa è spaccata in due, con paesi in cui circolano molte auto vecchie e si comprano poche auto elettriche.
Se ciò accadesse, paradossalmente, si perverrebbe a un volume di emissioni maggiore rispetto a uno scenario alternativo meno aggressivo, in cui, ad esempio, l’UE imponesse come standard tecnologico minimo le Plug-in Hybrid (PHEV) anziché le elettriche toutcourt (emissioni medie 107 gCO2/km vs 83).
Il prezzo del veicolo rappresenta una variabile chiave
È chiaro, dunque, che il prezzo rappresenta una variabile chiave del confronto: nella misura in cui l’auto elettrica, oggi più costosa di quella tradizionale, diventa più economica, come sta accadendo in Cina – ma non in Europa e Stati Uniti – la sua penetrazione crescerà e, con essa, i vantaggi ambientali.
Il maggior costo delle auto elettriche in Occidente – il contrario in Cina – appare un punto fermo. Non altrettanto si può dire circa il confronto tra il costo di una ricarica elettrica e quello di un pieno di benzina/diesel. Qui il raffronto è influenzato dalla variabilità dei prezzi di mercato dei combustibili e dell’elettricità, come pure dal luogo in cui avviene la ricarica (casa, più economica, oppure colonnina).
Altri inquinanti, nel lungo senz’altro meglio l’elettrico
Circa il punto 2, è indubbio che la circolazione di un’auto elettrica abbatte inquinanti quali gli ossidi di zolfo e gli ossidi di azoto nei luoghi in cui essa avviene. La vivibilità delle città migliorerebbe.
D’altra parte, occorre considerare quale sia il mix di generazione elettrica: mix carbonici significano maggiori emissioni nei luoghi in cui sono situate le centrali elettriche. In Polonia, ad esempio, l’auto elettrica implicherebbe maggiori emissioni di quelle a benzina/diesel, e non solo di CO2.
Naturalmente, il progressivo processo di decarbonizzazione del mix elettrico favorisce, nel tempo, l’auto elettrica.
L’infrastruttura, tasto dolente
Altra questione cruciale è quella relativa all’infrastruttura il cui sviluppo, oggi, procede con lentezza rispetto alle vendite delle auto elettriche.
In sintesi, il confronto è assai complesso. Tirare una linea definitiva è arduo stando agli stessi numeri e tralasciando altri aspetti del raffronto – impatto sul business, sull’occupazione, sullo sviluppo degli e-fuels e dei biofuel, sicurezza energetica, ecc. – più sfumati e multiformi.
È certo che, anche assumendo che vi sia un vantaggio dell’auto elettrica sul lato delle emissioni, si tratta un impatto sui volumi globali inferiore all’1%. Lasciamo al lettore – era questo lo scopo di questo articolo – la riflessione su questo numero e sugli altri punti di forza e di debolezza della rivoluzione dell’auto elettrica che l’Unione Europea congettura, con stop and go, di introdurre.
Domande più ampie concernono la replicabilità di questo modello in realtà meno avanzate e caratterizzate da una minore penetrazione elettrica – si pensi all’Africa – e da minori risorse economiche complessive.
il meglio è nemico del bene?
È presumibile che una rampa di decollo molto breve possa soffocare alla nascita tecnologie promettenti, per la stessa lotta al cambiamento climatico, quali, ancora una volta, gli e-fuels e/o i biofuel.
Così come non è da escludere una dilazione temporale nel rinnovo dell’auto da parte dei consumatori meno abbienti con un conseguente invecchiamento del parco auto e incremento delle emissioni.
La combinazione di questi due effetti darebbe luogo alla classica situazione in cui “il meglio è nemico del bene”: ambire a 100, al posto di 70, può portare a perdere sia 100 che 70 per doversi accontentarsi, poi, di 50.
Sono fenomeni che non possono essere esclusi, come non si può scartare l’ipotesi che l’accresciuta dipendenza dalla Cina – assai maggiore di quella, dolorosa, dalla Russia – possa un domani manifestare i suoi effetti nefasti.
È chiaro che, in uno scenario in cui tutto fila liscio come l’olio, la strategia europea può essere vincente. D’altra parte, chi può garantire che ciò accadrà?
Un dibattito, nei fatti, già superato?
Forse, in ultimo, l’intero dibattito è già vecchio. Strette nella morsa della nuova regolazione Euro7 e dell’auto elettrica, molte case automobilistiche – Stellantis, Volvo, VW, GM, Ford, Renault, Mercedes – hanno in programma di immettere sul mercato quote significative di auto elettriche a partire dal 2030.
Ciò non significa che l’industria sposi in toto la posizione dell’Unione Europea quanto, piuttosto, che la spinta della politica è stata irresistibile. È come se, obtorto collo, i car makers si fossero convinti che la strada è segnata, laddove i consumatori sono ancora timorosi, anche a ragione dei costi.
“Senza incentivi le auto elettriche sono ancora troppo costose per la classe media, oggi come oggi l’elettrificazione non è accessibile”, ha affermato recentemente l’AD di Stellantis Carlos Tavares.
Si pone, comunque, una questione inerente al metodo. La decisione europea, se verrà confermata, va oltre l’approccio classico della politica climatica e, più in generale, ambientale.
L’UE non sta introducendo uno standard di emissioni o un carbon pricing tradizionale. Non sta nemmeno introducendo uno standard tecnologico, come può essere l’Euro 6 o la marmitta catalitica.
Un epocale cambio di approccio, costellato di rischi
L’Unione Europea sta spostando in avanti, e di molto, la frontiera della politica ambientale trasformandola in una politica industriale radicale, fatta con il martello. Il regolatore decreta l’eutanasia di un settore portante dell’economia imponendone la trasformazione, in una manciata di anni, in qualcosa di diverso.
Per registrare qualcosa di analogo occorre studiare la storia delle economie centralizzate, basate su piani quinquennali e target produttivi decisi dall’autorità centrale. Il pubblico decide il paradigma tecnologico, la destinazione e la connessa assunzione di rischio degli investimenti privati. L’equilibrio stesso tra sfera pubblica e mercato è messo a rischio.
Cosa accadrebbe se nella prossima legislatura del Parlamento Europeo una diversa maggioranza dovesse rovesciare l’attuale decisione? Può un paradigma tecnologico essere deciso e condizionato, a zig-zag, dal policy maker? Non sarebbe più proficua una linea di policy di maggiore equilibrio che, comunque riducendo sostanzialmente le emissioni, evitasse di decidere per il mercato?
In medio stat virtus
Nessuno può dire quale sarà l’esito finale di questa sfida visionaria – aggettivo double face che può significare tanto allucinazione quanto acume – certo è che si assiste per la prima volta, in un’economia di mercato, alla cancellazione per decreto di un settore industriale e di un’infrastruttura di rete creata nei secoli.
Si dirà: sì, ma è necessario se vogliamo salvare il pianeta. Il punto è che – lo dicono i numeri – il pianeta non verrà salvato né si può escludere che un approccio più morbido possa avere, favorendo anche altre tecnologie, un effetto complessivo migliore. In medio stat virtus.
Enzo Di Giulio è economista ambientale e membro del Comitato Scientifico di ENERGIA
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