Come unire diversificazione del 30% delle forniture di gas (derussificazione) e riduzione dei consumi del 30% (decarbonizzazione) entro il 2030? Dopo il famoso 20-20-20 di una quindicina di anni fa, ecco la nuova terna magica di Bruxelles: 30-30-30.
Il gas russo non c’è (quasi) più. Via pipeline ne arrivavano 130 miliardi di metri cubi/anno (mc), ora i flussi si sono ridotti a una ventina scarsa, e magari si bloccheranno anche quelli. (ndA, Sono poi oltre la ventina e in crescita i miliardi di metri cubi che tuttora importiamo in forma di gas naturale liquefatto; ma qui omettiamo di trattarne).
Metti che un poco ci riesca di risparmiare e di sostituire da subito (riduzione della domanda e in parte sua distruzione; più efficienza; e magari una schizzata di biogas) e però metti anche che gli attuali flussi via tubo si interrompano. Nell’immediato ci toccherebbe sostituire un centinaio di miliardi speriamo scarsi di metri cubi: arrotondando grosso modo un 30% del gas che consumiamo.
Non potendo usare i tubi che vengono dalla Russia per importare gas non russo la sostituzione implica il rafforzamento e la massimizzazione dell’utilizzo delle altre infrastrutture di importazione. Ma soprattutto l’installazione di nuove infrastrutture aggiuntive.
Dal tubo al rigassificatore
I tubi sono affare lungo e complesso. L’infrastruttura aggiuntiva prenderà quindi preponderantemente la forma di infrastruttura di rigassificazione per l’importazione di gas naturale liquefatto. In ciò anche favorita dal fatto che sul mercato si può trovare una flottiglia di rigassificatori galleggianti (FSRU) già pronti per l’uso (magari a condizione, come a Piombino, di riverniciarli in ottemperanza ai desiderata di una Sovrintendenza).
Time is of the essence. La piena sostituzione del gas russo con fonti non fossili non è per domattina, e l’urgenza si può solo affrontare sostituendo il fossile russo con quello non russo. Per quest’anno il Generale Inverno ci ha mostrato di stare con la Russia quando è invasa, ma non quando invade. Il prossimo inverno potrebbe però essere meno estivo di questo.
È partita così la caccia agli FSRU, con la Germania che da sola prevede di installarne 5, noi 3 e gli altri a seguire. Il conto è che tra il settembre 2022 e la fine di ottobre 2023 avremo messo in pista una cinquantina di miliardi di metri cubi di nuova capacità di rigassificazione.
Mi si può osservare che così abbiamo sostituto solo la metà di quel che ci potrebbe servire. Però, se portiamo al massimo le importazioni via tubo da Norvegia, Algeria e Azerbaijan, riusciamo a farci trovare a ottobre a stoccaggi pieni (grazie anche al poco che nell’inverno estivo ne abbiamo usato) e, risparmiando un po’ di più in punto di consumi, se non ce la facciamo dovremmo comunque andarci vicino. Con l’aiuto del Generale Inverno abbiamo comunque già ottenuto in termini di messa in sicurezza del sistema un risultato forse impensabile (e sicuramente impensato a Mosca) all’inizio della crisi.
Un problema con le infrastrutture è che richiedono tempi lunghi di ammortamento (alcune FSRU sono affittate e non acquistate, ma questo come vedremo non cambia la considerazione di fondo). Un problema dell’approvvigionare gas è che se pensi sia possibile ci si ripresenti un mercato corto, per avere certezza dei volumi da approvvigionare, sarebbe forse buona prassi munirsi di contratti di importazione di lungo periodo e non affidarsi solo al mercato spot. Dicono a questo proposito che nel giro di un paio d’anni ci sarà nuova capacità di produzione (intesa come liquefazione all’origine) tale da riportare in equilibrio domanda e offerta anche a gas russo scomparso dall’Europa. Ma l’equilibrio del mercato è e sarà in buona parte funzione del consumo cinese, e dunque del solo spot magari meglio non fidarci.
Corto vs lungo periodo
Il problema è che ci troviamo costretti a prendere iniziative (nuove infrastrutture, long term contracts,…) di regola legate a esigenze di lungo periodo ma che qui servono per affrontare contingenze che dovrebbero essere limitate al breve periodo. O così, almeno, a voler rispettare le direttive bruxellesi in materia di metano e decarbonizzazione. Laddove, in sintesi, e in un working document di accompagnamento al piano REPowerEU a proposito della scadenza 2030 di Fit-for-55 ci viene espressamente sottolineato che “the full implementation of our Fit-for-55 proposals would lower our gas consumption by 30% equivalent to 116 cubic meters (bcm) by 2030” (ndA, la differenza tra 116 e i miei spero scarsi 100 sta nel fatto che il mio 30% era limitato al gas via tubo).
Dunque, per derussificare dovrei creare infrastrutture e acquisire gas in modo da variare, rispetto al periodo pre-guerra, l’origine del 30% del gas che consumo. Però per decarbonizzare dovrei tagliare del 30% i miei consumi di gas fossile entro il 2030. Da escludere in questa cornice europea investimenti privati che si espongano al rischio del lungo periodo. L’investimento o l’impegno di lungo per fronteggiare l’emergenza del breve o è a garanzia pubblica o non è. E comunque, che i soldi siano pubblici o privati, l’infrastruttura come la recupero? E sarà perciò solo spot?
Difficile riconciliare. Tra lungo e corto, l’invenzione creativa sembrerebbe essere il temporaneamente lungo. Io devo tagliare i consumi di gas del 30% al 2030; però la Cina annuncia che raddoppia entro il 2035, e il gas come intermedio di lungo periodo della transizione è scelta di molti. Se l’infrastruttura galleggia in caso di sottoutilizzo la puoi sempre rivendere, e se hai un contratto di fornitura di gas via nave la puoi sempre mandare dove ancora c’è e cresce mercato.
Necessità e virtù
Il lungo che si accorcia. Il FRSU non solo come unica infrastruttura immediatamente disponibile per l’emergenza ma anche come unica infrastruttura trasportabile e rivendibile altrove. Se poi non hai in casa un bravo trafficante di gas per l’approvvigionamento, puoi sempre – come hanno fatto i tedeschi – metterti nelle mani di un grande trader (Trafigura) e lasciare a lui di equilibrarsi il portafoglio con impegni di lungo e non.
Il temporaneamente lungo come suggestione ma, come è evidente, non necessariamente come soluzione affidabile. L’alternativa però implica il dimenticarsi il 30% di riduzione al 2030 e così prolungare, modulandola meglio, la vita del metano.
Come spesso, o forse sempre, in Europa potrebbe finire che decidono i tedeschi. Hanno annunciato (e però poi non definitivamente confermato) che alcuni dei FSRU in affitto saranno sostituiti da impianti fissi a terra. E anche che costruiranno 17/21 gigawatt di capacità di generazione elettrica a gas, con impianti comunque già ovviamente e virtuosamente predisposti a funzionare a tempo debito alimentati da Godot idrogeno dipinto di verde.
Se fanno entrambe le cose, ho il sospetto che il 30 al 2030 possa andarsi ribassando e il quantum di riduzione dei consumi dipendere di più dal recuperare efficienza che dal sostituire. Il che, confrontando lo scarso impatto emissivo di un contenuto prolungamento e i costi di una sostituzione accelerata, potrebbe anche non essere una sciagura.
La decarbonizzazione è necessità e priorità, però anche ragione e non religione.
Massimo Nicolazzi è docente di economia delle risorse energetiche presso l’Università di Torino.
L’articolo è stato pubblicato su ISPI.
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