Il corso degli avvenimenti sembra confermare il configurarsi di un Nuovo Ordine Energetico Mondiale, così come delineato da Jason Bordoff (Columbia University) e Meghan L. O’Sullivan (Harvard Kennedy School) nel loro articolo comparso su ENERGIA 3.22.
Il corso degli avvenimenti sta confermando la giustezza dell’intuizione di Jason Bordoff Meghan L. O’Sullivan sul progressivo configurarsi, a seguito della guerra ucraina, di un Nuovo Ordine Energetico Mondiale. Un Ordine che si regge su tre pilastri:
- massiccio ritorno degli Stati;
- nazionalismo economico;
- retrocedere dei mercati.
Partiamo dal primo. Siamo tornati e forse abbiamo superato i livelli di interventismo che si ebbero in reazione alle Crisi Petrolifere degli anni Settanta, quando l’esplosione dei prezzi del petrolio generò la più grave crisi economica del Secondo Dopoguerra.
Ne seguì un massiccio accentuarsi della regolazione pubblica che già dominava l’intero continente europeo. Regolazione che non può dirsi di per sé negativa dipendendo dalle modalità con cui la si concretizza. Anche se l’urgenza delle cose finisce per limitarla alla gestione del quotidiano al di fuori di una ponderata prospettiva di lungo periodo.
Il ritorno degli Stati può essere rapidissimo, ma la loro uscita estremamente lenta e difficoltosa
Un fatto però la storia insegna: che il ritorno degli Stati avviene in genere in modo rapidissimo – in risposta all’urgenza degli avvenimenti – mentre la sua uscita può essere estremamente lenta e difficoltosa.
Negli Stati Uniti avvenne solo con la rivoluzione reaganiana e in Gran Bretagna con quella thatcheriana negli anni Ottanta, mentre nel resto dell’Europa dalla seconda metà di quelli Novanta.
Non vi è ormai ambito decisionale nell’energia che non veda un’ampia presenza degli Stati; si tratti di prezzi, investimenti, forniture estere, etc. Mentre le imprese sono in posizione subalterna e residuale: vuoi per gli spazi acquisiti dagli Stati vuoi per la loro ritrosia a sobbarcarsi eccessivi rischi di mercato.
Diverse le motivazioni che ne sono all’origine.
Primo: la tutela dei consumatori, con l’erogazione da parte dei governi europei da un anno in qua di 681 miliardi di euro che aggiunti a quelli di Gran Bretagna e Norvegia, portano il totale a 792 miliardi di euro, pari grosso modo al PIL dei Paesi Bassi.
Va da sé che il sollievo sui prezzi ha comportato un relativamente maggior livello dei consumi, con un indesiderato impatto – in un giro vizioso – sui prezzi di mercato. Per contro, il loro aumento ha accresciuto la povertà energetica che si stima possa aver colpito nel mondo sino a 538 milioni di persone (una stima che varia dal 2,4 al 7,9% della popolazione globale).
Tutela dei consumatori, necessità di liberarsi del gas russo, lotta ai cambiamenti climatici: 3 ambiti dove è lampante il ritorno degli Stati
Secondo: la necessità di liberarsi del gas russo, con l’individuazione dei nuovi paesi fornitori riflesso di esigenze geopolitiche più che strettamente economiche e soprattutto col ricorso dell’Europa nel 2022 a forniture addizionali di GNL per 53 miliardi di metri cubi, sulla scia di quanto concordato tra Joe Biden e Ursula von der Leyen un anno fa.
Terzo: lotta ai cambiamenti climatici che ha portato alla predisposizione di Piani Verdi da parte della Commissione europea e dell’amministrazione americana con azioni a favore delle industrie rinnovabili, perché funzionali all’abbattimento delle emissioni ed ora anche al rafforzamento della sicurezza energetica.
La reazione europea alla politica protezionistica americana, incardinata nell’Inflation Reduction Act che ha stanziato 360 miliardi dollari a favore delle tecnologie e manifatture green domestiche, accentuerà la penetrazione delle tecnologie green.
Gli spazi che i mercati si erano guadagnati con le politiche di liberalizzazione e gli effetti positivi che ne erano derivati grazie alla grande abbondanza dell’offerta di energia (specie nel gas) si sono di molto ristretti.
La crisi energetica ha posto in evidenza i limiti delle logiche di mercato specie perché privilegiano il breve termine sul lungo. Come nel caso dell’abbandono dei contratti a lungo termine nelle forniture dei gas, preferendo i regolatori agganciare i prezzi al consumo direttamente a quelli dei mercati spot, favorevoli in condizioni di mercato del compratore, sfavorevoli in mercati del venditore.
Lo stesso è accaduto negli investimenti realizzati solo quando erano in grado di garantire (specie grazie a supporti pubblici) un appetibile tasso di ritorno a breve. Il vuoto degli investimenti che si è registrato nello scorso ventennio dopo le liberalizzazioni dei mercati ha generato la crisi energetica in cui ci dibattiamo.
Si potrebbe – scimmiottando la frase di James Carville a Bill Clinton nella campagna elettorale contro George Bush “it’s the economics, stupid” – affermare “it’s the market, stupid”! Sarebbe stato opportuno averlo presente quando esplose la sbornia liberista.
Nazionalismo Economico
Al ritorno degli Stati e a ritrarsi dei mercati si è poi aggiunto, terzo pilastro del Nuovo Ordine Energetico, il Nazionalismo Economico. Gli Stati tendono infatti a privilegiare sempre più la produzione energetica domestica su quella estera per ragioni di sicurezza e di convenienza, come nel caso del carbone tedesco, incuranti degli impatti ambientali.
Quel che rischia di avviare una frammentazione energetica contradditoria rispetto alla sempre più stretta interdipendenza dei mercati Europei. Ove quel che decide un paese – si pensi al nucleare francese – impatta in tempi reali sugli altri paesi spesso contrapponendosi alle loro decisioni interne.
Un problema, quello della mancanza di coordinamento, sottolineato anche da Dominique Finon su ENERGIA 4.22 con riferimento ai rischi di blackout in Europa e, in particolare, alla prassi ormai consolidata di fare affidamento sul supporto dei sistemi elettrici altrui.
“Se le chiusure non sono coordinate tra i paesi” si chiede Finon “fino a che punto possiamo fare affidamento sui sistemi vicini, soprattutto se non hanno più margini di riserva per via della chiusura delle centrali controllabili e per l’inadeguato sviluppo di misure di flessibilità a supporto della capacità rinnovabile?”
Vi è la percezione che, del Nuovo Ordine, le strategie degli operatori private e quelle dei governi, come anche gli scenari sul futuro dell’energia come quelli dell’Agenzia di Parigi, paiono non tenerne pienamente conto.
Si continua ad estrapolare il passato e a disegnare il futuro come se le crisi energetica ed ucraina non avessero creato una discontinuità. Mentre è certo che il loro perdurare non potrà che consolidarlo.
Alberto Clô è direttore della rivista Energia e del blog RivistaEnergia.it
Potrebbero interessarti anche:
Verso un Nuovo Ordine Energetico, di Redazione, 23 Novembre 2022
Crisi 1973 e 2021-22 a confronto: ne usciremo meglio o peggio?, di Redazione, 31 Gennaio 2023
Rinnovabili e la minaccia di blackout, di Redazione, 16 Gennaio 2023
L’embargo al petrolio russo in un mondo inquieto e frammentato, di Francesco Sassi, 12 Dicembre 2022
Foto: Unsplash
Per aggiungere un commento all'articolo è necessaria la registrazione al sito.
0 Commenti
Nessun commento presente.
Login