Si tratti di auto o case, il forte scontro che fa seguito ad ogni proposta green di Commissione o Parlamento europeo ha alla radice più questioni: dall’assenza di ‘democrazia energetica’ e di impatto sulle specificità nazionali, agli enormi costi per i cittadini, all’incostanza del supporto dell’opinione pubblica l’azione pro-ambientale.
Il forte scontro che fa seguito ad ogni proposta avanzata dalla Commissione e Parlamento europeo per accelerare la transizione energetica – si tratti di auto elettrica o, da ultimo, dell’efficientamento energetico del parco edilizio – ha alla sua radice più questioni.
La prima è la totale assenza di ogni ‘democrazia energetica’: ovvero di ogni partecipazione e confronto della popolazione – su cui ne ricadono le conseguenze – alla loro elaborazione, trovandosi completamente disinformata quando le proposte vengono avanzate e adottate, di cui vengono a sapere da un giorno all’altro.
L’interfaccia con gli organismi pubblici o con i partiti, i cui rappresentanti si esprimono a favore o contro nel Parlamento europeo, è d’altra parte del tutto inesistente, quel che non facilita la consapevolezza su quel che si propone.
I cittadini ignorano le dinamiche politiche europee, organismi pubblici e partiti non colmano questo vuoto
La seconda questione è che ogni proposta comporta enormi costi per i cittadini: liberi, se vogliono, di acquistare auto elettriche, accessibili peraltro solo alle classi agiate, ma obbligati a sostenerli nel caso delle case green.
Come possa sostenersi con certezza che esse consentiranno di ridurre e di molto le bollette energetiche, senza aver contezza dei costi di investimento è affermazione strumentale, come quella sull’enorme aumento che ne deriverebbe sull’occupazione e sulla crescita industriale.
Proposte che dovrebbero realizzarsi in tempi estremamente brevi, fissati per le case green nel 2033 (perché non 2034 o 2032?) come data ultima per ottimizzarne l’intero parco nella maggiore classe energetica, quella D (salvo qualche eccezione).
Parco, vale evidenziare, che assorbe il 40% dei consumi di energia in Europa ed è responsabile del 32% delle emissioni europee. Che su di esso si debba intervenire è fuori di discussione; altro è però il modo e i tempi con cui lo si fa.
Esiste un impact assessment che tenga conto delle specificità nazionali?
Vale rimarcare che le proposte avanzate da Commissione e Parlamento non sono corredate da alcun serio impact assessment sugli effetti che ne potrebbero derivare, tenendo conto delle specificità nazionali, anche se ad ogni paese è consentito di declinare la proposta tenendone conto.
Lo stesso può dirsi per le auto elettriche, la cui penetrazione è molto difficile possa produrre sostanziali riduzioni delle emissioni globali di CO2, se si tiene conto del loro complessivo ciclo di vita e non solo del confronto “allo scarico” rispetto alle auto endotermiche.
Determinante è poi il modo in cui l’elettricità, di cui devono alimentarsi, è prodotta nei singoli paesi, con situazioni fortemente disomogenee.
La terza questione è la perentorietà e obbligatorietà di quel che si decide con la data limite per la quasi totalità degli edifici residenziali fissata nel 2032. Tutto ciò al di là degli effetti che ne potrebbero derivare sulle emissioni globali nel lungo termine, considerando la quota poco rilevante e decrescente che su di esse ha complessivamente l’Europa, attualmente intorno al 7% per quelle generate dalla combustione di energia.
In sostanza: si pagano oggi costi certi ed elevati a fronte di benefici incerti nel lungo termine. Un’asimmetria temporale che non agevola le decisioni individuali, propensi a risolvere le pesantissime difficoltà attuali più che quelle future, specie per le classi di reddito più disagiate, o dei governi per gli enormi e ancora non quantificati esborsi che dovranno sopportare.
Una questione “di classe”
L’idea che i 25 milioni di proprietari di abitazioni in Italia siano in grado di sobbarcarsi enormi costi – si è letto sino a 40 mila euro per un’abitazione di 100 metri quadri – è altamente opinabile, con la necessità che sia lo Stato a intervenire sul piano fiscale, proprio all’indomani della sostanziale soppressione del bonus 110 che ha interessato 360 mila edifici con una spesa di 60 miliardi di euro.
Quel che serve a rendere l’idea della spesa che nel nostro paese potrebbe richiedersi per l’intervento iniziale di circa 2 milioni di edifici.
Vale rimarcare inoltre che le case energeticamente più inefficienti sono quelle in cui abitano le classi povere nell’ancor maggiore impossibilità a sostenerne i costi.
La proposta del Parlamento risulta, in conclusione, difficoltosa a realizzarsi, altamente costosa, incerta quanto a riduzione delle emissioni non tanto europee quanto su scala mondiale.
Vi è poi scarsa attenzione al fatto che i consumatori sono anche elettori che inviperiti reagiranno contro i partiti che hanno sostenuto queste proposte nel Parlamento europeo: sinistra e verdi. Che dovranno spiegare la ragione della loro posizione, specie nel caso dell’auto elettrica che potrebbe causare la perdita di lavoro in Europa per 600 mila unità.
È da augurarsi che il negoziato che ora dovrà avviarsi tra Commissione, Parlamento, Consiglio e singoli governi per concordare la forma definitiva della normativa – con la annunciata ferma opposizione di alcuni paesi, tra cui il nostro – abbia a modificare in modo sostanziale la proposta avanzata.
Col rischio che essa finisca, come nel caso dell’auto elettrica, per essere posticipata in un cul de sac che non si sa come risolvere e quanto potrà durare.
Un vento incostante: politiche climatiche e opinione pubblica
Una quarta ragione alla radice degli scontri che si creano sulle proposte green di Parlamento e Commissione si può individuare nell’opinione pubblica, in quella che Luigi Pellizzoni nell’ultimo numero di ENERGIA indica come “incostanza del supporto verso le politiche per il clima e l’azione pro-ambientale in generale”.
Anziché costituire “un pungolo importante per spingere i governi a ridefinire la propria agenda”, l’attenzione “altalenante” dell’opinione pubblica su queste questioni lascia aperti dei margini sui quali ci si scontra una volta che si entra nel merito delle singole decisioni.
“Per stimolare un’opinione pubblica risolutamente orientata all’attuazione di politiche efficaci (…) non c’è quindi una sola strada: occorre un’azione coordinata che partendo da un’analisi chiara della problematica (…) punti in una pluralità di direzioni”.
Un approccio che non può dirsi sia avvenuto nei casi esaminati delle auto elettriche e delle case green.
Alberto Clô è direttore della rivista Energia e del blog RivistaEnergia.it
Potrebbero interessarti anche:

La presentazione di ENERGIA 1.23, di Redazione, 14 Marzo 2023

Auto elettrica sì, auto elettrica no?, di Enzo Di Giulio, 8 Marzo 2023


950mila minorenni in povertà energetica in Italia, di Redazione, 13 Febbraio 2023
Foto: Unsplash
Per aggiungere un commento all'articolo è necessaria la registrazione al sito.
0 Commenti
Nessun commento presente.
Login