Con l’Inflation Reduction Act gli Stati Uniti finalmente si muovono per combattere il cambiamento climatico, ma con un approccio protezionistico che danneggia l’industria europea. L’Unione deve ora fare la sua mossa, ma non riesce ad accordarsi sulle diverse opzioni in campo. L’articolo di Georgina Wright su ENERGIA 1.23.
La lotta ai cambiamenti climatici è una corsa che necessita di cooperazione ma che stimola competizione alla transizione energetica. Due elementi antitetici, la cui convivenza è parte del dilemma che ostacola il raggiungimento di un obiettivo vitale a tutti. Negli scorsi decenni si può dire abbia prevalso la componente cooperativa, mentre alla competizione industriale prestavano grande attenzione solo alcuni paesi, Cina in primis.
Per lo meno a livello apparente. A ben vedere infatti la competizione industriale si è comportata come un fiume carsico che scorreva sotto il terreno della cooperazione anche in un “unione” come quella europea. Sulle nostre pagine, GB Zorzoli ha, ad esempio, più volte denunciato come la politica climatica europea fosse plasmata dalla realpolitik industriale tedesca a tutela della sua economia (si veda ENERGIA 4.20 o il post Deutschland uber alles), mentre più palese è stato lo scontro che si è tenuto sulla cosiddetta Tassonomia tra Francia e Germania a favore, rispettivamente, dell’inserimento di nucleare e gas.
Con la rottura delle supply chain nel 2020 della pandemia, l’esplodere della crisi energetica e dell’inflazione e l’invasione russa dell’Ucraina il quadro sembra definitivamente mutato, con le questioni di geopolitica, di sicurezza e di competizione industriale che hanno preso prepotentemente il sopravvento.
Dopo aver affrontato su ENERGIA 3.22 lo stagliarsi all’orizzonte di un Nuovo Ordine Energetico caratterizzato dal ritorno degli Stati, il terremoto nelle supply chain globali e il dominio cinese nei metalli strategici prendiamo in esame in questo nuovo numero quella che è stata la principale risposta degli Stati Uniti a questo cambio di scenario – l’Inflation Reduction Act (IRA) – e le reazioni che ha suscitato nella controparte europea.
Quasi la metà del valore totale del NextGenerationEU
Nel suo articolo, Georgina Wright (Senior Fellow and Director, Europe Programme, Institut Montaigne) evidenzia come, nonostante le richieste del Presidente francese al suo omologo statunitense di «modificare» l’IRA per impedirgli di discriminare le società europee, l’Unione non possa fare affidamento sulle esenzioni all’IRA per proteggere la propria industria dalla concorrenza sleale.
“Per ridurre le emissioni, l’amministrazione statunitense vuole potenziare la sua industria delle tecnologie verdi. Attraverso l’IRA, mette a disposizione 369 miliardi di dollari in agevolazioni fiscali e sussidi nella produzione manifatturiera ed energetica, in particolare per veicoli elettrici, pannelli solari e batterie prodotti negli Stati Uniti. Si tratta di quasi la metà del valore totale del NextGenerationEU, il massiccio piano di investimenti adottato dall’UE nel 2020 per rilanciare l’economia europea dopo il Covid-19”.
Il problema è che gli Stati membri dell’Unione non riescono ad accordarsi sulle diverse opzioni in campo, che riequilibri lo svantaggio per l’industria europea e che vanno dalle norme in materia di aiuti di Stato ad un ruolo più importante per la Banca Europea per gli Investimenti. Politiche che dovranno essere definite nel 2023, che l’Autrice presenta e analizza e che imprimeranno, con nuovi ulteriori sussidi, una spinta alla penetrazione delle rinnovabili.
In prima battuta, inquadra l’”ambivalente” valutazione europea dell’IRA (1. Gli europei non odiano l’IRA). “Da un lato, lo si ritiene il primo serio tentativo da parte di un’amministrazione statunitense di combattere il cambiamento climatico (…). Ma l’enorme pacchetto di sussidi contenuto nell’IRA (…) si sta rivelando problematico”.
Un bagno di realismo sul supporto industriale
Anche perché conferma la tendenza protezionistica degli Stati Uniti (par. 2). La prospettiva dei sussidi “combinata con i bassi prezzi dell’energia negli Stati Uniti, probabilmente spiega perché Tesla ha annunciato a settembre che stava aprendo un impianto di batterie negli Stati Uniti, piuttosto che in Germania (9). Anche la società energetica spagnola Iberdrola e Safran, la multinazionale francese specializzata nei mercati dell’aviazione, della difesa e dello spazio, hanno trasferito parte della loro attività negli Stati Uniti (10).
Non è tutto. L’IRA sfida anche altri settori dell’industria europea. Include nuovi crediti d’imposta per promuovere la cattura del carbonio, l’idrogeno pulito e gli investimenti nelle tecnologie energetiche in grado di mitigare le emissioni di gas a effetto serra. Tutti settori in cui l’Unione è già leader globale o intende sviluppare ulteriormente la propria expertise industriale. In altre parole, è una sfida diretta alla competitività dell’UE”.
4 opzioni sul tavolo
L’IRA statunitense obbliga l’Unione Europea a un bagno di realismo sul supporto industriale (par. 3). L’Autrice analizza quindi i pro e i contro delle diverse opzioni al vaglio nell’Unione.
- Un nuovo Fondo Sovrano Europeo (par. 3.1.) “La più popolare … per sostenere l’innovazione e i programmi industriali «Made in Europe»”.
- Più sussidi per favore! (par. 3.2.) “Due opzioni sono state lanciate in UE. Entrambe comportano rischi e richiederebbero un allentamento delle regole di concorrenza dell’Unione”.
- Norme più semplici sugli aiuti di Stato, per un’assistenza più rapida (par. 3.3.) “alcuni governi, come quello spagnolo, chiedono di mantenere le norme sugli aiuti di Stato così come sono, ma di rendere più rapido e agevole il processo di concessione, ad esempio alle imprese specializzate in tecnologie carbon neutral, … che è significativamente più lento in Europa che negli Stati Uniti”.
- «Made in Europe» (par. 3.4.) “Un’altra idea avanzata dalla Francia è quella di adottare un «Buy European Act» che garantisca la preferenza europea nelle gare che regolano gli appalti pubblici, mantenendo anche una porta aperta agli investimenti esteri, ai servizi e ai prodotti che rispettano i nuovi criteri europei di sostenibilità”
“La politica industriale europea sarà un obiettivo chiave per il 2023. Le capitali dell’Unione potrebbero non volere che l’UE (in particolare la Commissione) assuma più potere decisionale in questo campo, ma potrebbero non avere altra scelta. Sarà un acceso dibattito. Tuttavia, almeno questo offre agli analisti come me molto su cui lavorare”.
Il post presenta l’articolo di Georgina Wright IRA: cosa preoccupa davvero l’Europa? (pp. 24-28) pubblicato su ENERGIA 1.23
Georgina Wright è Senior Fellow and Director, Europe Programme, Institut Montaigne
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