La riforma più contestata dell’ultimo trentennio in Francia ha destabilizzato un modello politico, sociale e industriale di vitale importanza per la sicurezza e transizione energetica europea. In questo nuovo articolo della rubrica di geopolitica dell’energia, approfondiamo quali siano le cause e le implicazioni di questa crisi del modello energetico francese.
La riforma pensionistica continua ad agitare la Francia, mettendo a repentaglio un già difficile equilibrio politico che vede il Presidente Macron legiferare grazie ad un governo di minoranza. Il turbamento ormai cronico della scena politica rischia di far deragliare il piano di rilancio del modello energetico francese. Ciò comprometterebbe non soltanto la sicurezza interna e il percorso di transizione ad oggi disegnato, ma anche la sua stessa credibilità internazionale. Lo stato di salute del sistema energetico francese, e la sua sempre più tortuosa evoluzione, hanno enormi implicazioni per l’intera Unione Europea.
L’isolamento di Emmanuel Macron è sempre più evidente e le strade d’uscita per l’impasse politico in cui il paese di trova bloccato da mesi si chiudono, una dopo l’altra. La riforma, che porta l’età di pensionamento dai 62 ai 64 anni e il numero minimo di anni di contribuzione a 43, è stata approvata aggirando un altrimenti impossibile compromesso parlamentare, visto il governo di minoranza di cui dispone il Presidente. La nuova legislazione, imposta attraverso una prova di forza erculea del potere dell’Eliseo, e che la stessa Corte costituzionale ha ritenuto legittima, ha fatto insorgere le opposizioni.
Fallito per un soffio un voto di sfiducia a marzo, il leader della sinistra di France Insoumise Jean-Luc Melenchon punta ad una mobilitazione straordinaria per la classica marcia del 1° maggio che forzi la mano del governo. Nell’opposto campo, Marine Le Pen afferma che il destino politico della riforma è tutt’altro che deciso. La retorica anti-macronista di Rassemblement National ha attratto molti consensi e i sondaggi sembrano tutti concordi. Se si dovesse votare oggi, in una ripetizione della sfida al ballottaggio avvenuta proprio un anno fa, Macron avrebbe la peggio.
Il grave bollettino energetico degli scioperi francesi
Segnali inequivocabili per un Presidente che non a caso ha evitato l’aria parigina nelle ultime settimane. Dopo aver visitato Paesi Bassi e Cina, ed essere stato fortemente criticato per le ambigue affermazioni pronunciate durante la seconda tappa, Macron si è poi impegnato in un tour nella Francia rurale, alla ricerca di un rinnovato contatto con quella “rabbia” popolare che afferma di aver compreso nel profondo. L’obiettivo è stato quello di spostare l’attenzione mediatica sul piano in tre punti che in 100 giorni, dal sapore napoleonico, dovrebbe rilanciare il paese.
Secondo il Presidente, questo consentirebbe anche una maggiore indipendenza da potenze straniere. Si insinua qui il dubbio che Macron, più che a Mosca o Pechino, si riferisse alla tanto dibattuta strategia autonoma europea da Washington, declamata durante la tappa cinese del tour all’estero. Un escamotage narrativo, che fa appello al nazionalismo e antiamericanismo di matrice degaullista di cui la Francia è tuttora imbevuta. Tuttavia, in un contesto tanto burrascoso, il trucco non pare aver funzionato.
Così, il piano del Presidente francese rimane l’ultima linea Maginot. Il programma, basato su lavoro, abbassando il tasso di disoccupazione e re-industrializzando il paese attraverso tecnologie verdi, rafforzamento della sicurezza, ovvero nuove assunzioni nei corpi di polizia,e progresso sociale, con un aumento salariale per il corpo docenti, non ha emozionato. Protetto da un robusto cordone di sicurezza, Macron invita il paese a “muoversi in avanti” e accettare la riforma. Nonostante questo, neppure la quieta campagna francese risparmia critiche. In tal senso, qualche responsabilità potrebbe esse condivisa con l’influente Ministro delle finanze Bruno Le Maire, il quale ha paventato nuovi tagli alla spesa pubblica e un ritorno all’austerità nei prossimi 12 mesi.
Uno dei risultati certo più eclatanti dell’intera vicenda è la sostanziale unitarietà del fronte sindacale francese. Non solo, dunque, la più radicale CGT, ma anche la moderata CFDT, il cui ex segretario Berger ha parlato di “disprezzo per il mondo del lavoro e disconnessione con la realtà”. Il riferimento era all’inserimento della riforma, nella notte tra il 14 e 15 aprile, nel Journal Officiel, il corrispettivo della nostra Gazzetta Ufficiale, compiendone l’iter legislativo.
La mobilitazione sindacale dei lavoratori dell’industria energetica francese è stata travolgente, andando ben oltre i confini dello stesso paese. Le implicazioni di questa agitazione dovrebbero far riflettere profondamente non solo sul futuro del modello francese, ma anche sul livello d’interdipendenza e integrazione raggiunto nei sistemi energetici europei.
L’effetto sul settore Oil&Gas
Dopo un turbolento autunno, da gennaio in poi le raffinerie francesi hanno subito arresti continui. Talvolta, picchetti e blocchi sono stati risolti con l’intervento della polizia. Con una capacità di raffinazione in caduta libera nell’ultimo ventennio (oltre -40%) e una crescente dipendenza da importazioni di greggio e prodotti petroliferi, inevitabili sono state le conseguenze per l’approvvigionamento interno. Il governo ha dovuto ripetutamente attingere alle riserve strategiche per rimpinguare l’offerta sul mercato. Circa il 15% dei distributori del paese ha interrotto l’erogazione di almeno un prodotto e il traffico aereo ha subito molte cancellazioni.
Ricoprendo circa il 30% dell’approvvigionamento energetico totale francese (Vedi figura sotto) e oltre il 40% dei consumi energetici finali, la scarsità di prodotti e i prezzi del Brent, tornati stabilmente sopra gli 80 dollari al barile dopo il taglio alla produzione annunciato dall’alleanza OPEC+, hanno contribuito a mantenere un alto tasso d’inflazione. Ciò è accaduto nonostante consumi in calo e la presenza di un mix e politiche energetiche sostanzialmente differenti dai maggiori partner europei. Tutto questo mentre, secondo l’agenzia statistica nazionale Insee, l’inflazione di fondo accelererà nei prossimi mesi.
Nel frattempo, decine di petroliere sono rimaste in attesa di fronte ai porti nell’Atlantico e nel Mediterraneo. Dalla metà di aprile, la situazione sembra essere lentamente migliorata. Molti impianti che hanno ripreso l’attività e le importazioni sono in crescita, ma servirà però tempo per recuperare la produzione perduta. Di contro, gli effetti delle chiusure sono stati estesi. La rilevanza dei prodotti raffinati francesi nel mercato americano permane uno dei fattori che suggerisce prezzi petroliferi sostenuti negli Stati Uniti durante tutta la prossima estate. La chiusura delle raffinerie ha anche esacerbato la crisi dell’industria petrolifera nigeriana, la quale fatica a trovare mercati verso cui indirizzare le proprie esportazioni.
In maniera similare a quanto accaduto al petrolio, decine di vascelli sono stati costretti ad attese infinite davanti ai quattro terminal GNL francesi. In molti casi, questi hanno a dirottare i propri carichi altrove. Un fattore che ha accentuato i ribassi registrati sugli indici europei maggiormente legati alle importazioni di GNL come NBP (Regno Unito) e PVB (Spagna), incrementandoli invece per quei mercati più dipendenti da importazioni via gasdotto come PSV (Italia) e VTP (Austria-Repubblica Ceca-Slovacchia).
Parigi possiede, ad oggi, la maggiore capacità di importazione di GNL in Europa. Nel 2022, la Francia è stata anche il principale importatore di GNL in Europa, 26 milioni di tonnellate, contro le 21,5 della Spagna. Nonostante gli scioperi, Parigi sopravanza Madrid in termini di volumi importati anche nel 2023. Eppure, l’impossibilità di utilizzare i terminal ha imposto alle compagnie francesi un ritiro molto più significativo del gas stoccato. Ciò ha determinato un picco negativo inferiore al 28% della capacità totale disponibile. Questo imporrà al paese acquisti maggiori di GNL sul mercato spot per questa estate.
In conseguenza agli scioperi nei terminal GNL, altri stati membri come Spagna e Belgio hanno invertito i consueti flussi in arrivo, riesportando consistenti volumi di gas verso la Francia. Anche Germania e Italia hanno così dovuto incrementare il ritiro dai propri stoccaggi, pur con consumi in significativo calo rispetto la media storica del periodo. Di conseguenza, le iniezioni in vista del prossimo inverno sono rallentate, facendo ritornare il quantitativo presente negli stoccaggi europei all’interno della media storica degli ultimi 5 anni (2017-2021).
Una colonna portante sempre più fragile: lo stallo del settore nucleare in Francia
Croce e delizia del sistema energetico francese, il governo ha affidato al settore nucleare il compito di sorreggere il paese durante questa crisi energetica. Il price cap alle forniture di elettricità, largamente dipendenti dal funzionamento della flotta di reattori francesi, è stato recentemente confermato sino al 2025. Entro l’anno, dovrebbe concludersi invece quello sul gas, i cui prezzi sono arretrati rispetto gli assurdi picchi dell’estate 2022.
Ciò ha due implicazioni. Da una parte, il governo deve avere massima fiducia in EDF e nella nuova guida di Luc Rémont. Arrivato a novembre, l’AD e già alle prese con l’ennesimo test di affidabilità. Nuove crepe di corrosione da sforzo a tre reattori sono state trovate in parti dell’infrastruttura che si ritenevano precedente immuni. Una criticità che potrebbe inficiare l’intero programma annunciato da EDF per riportare la generazione francese da nucleare tra i 330-300 TWh, dopo il record negativo di 279 TWh nel 2022 (Vedi figura sotto). Per ora, EDF conferma ottimisticamente il target. L’autorità per la sicurezza nucleare francese (ASN), ha in questi giorni approvato la strategia della compagnia, messa precedentemente in dubbio. Le sfide dei prossimi mesi per evitare un peggioramento della crisi del modello energetico francese paiono davvero delicate.
Nel primo trimestre del 2023, la produzione di EDF è calata di 6,5 TWh rispetto allo stesso periodo del 2022. Allora, già molti reattori erano stati fermati per controlli di sicurezza. A marzo, EDF ha anche fallito l’obiettivo di un ritorno ad una produzione maggiore rispetto al marzo 2022. Il traguardo dovrebbe essere infine centrato ad aprile, un mese in cui la domanda elettrica è storicamente inferiore. Un sollievo che però pare essere di breve durata, visto che ci si aspetta il ritorno di quattro reattori a fronte dell’interruzione della produzione di sei di essi, sempre per manutenzione.
Gli scioperi hanno infatti determinato tra i 18 e i 24 mesi di ritardi nel cronoprogramma stimato da EDF. Un danno pari a circa 1 miliardo di euro. I rallentamenti si faranno sentire in particolare nel quarto trimestre del 2023 e nel primo trimestre del 2024. Non a caso, i prezzi dei future sul mercato elettrico hanno superato i 400€/MWh, scendendo recentemente sui 270€/MWh. Essi rimangono però consistentemente più alti dei prezzi di Spagna e Germania.
Il pericolo è che la Francia, privata di decine di reattori, possa divenire nuovamente un importatore netto di elettricità durante il prossimo inverno, aggravando la crisi energetica europea.
Ulteriori spese sono all’orizzonte per le casse della compagnia di stato, con perdite operative di circa 19 miliardi di euro nel 2022. Spese esorbitanti per l’importazione di elettricità hanno peggiorato la situazione. Maggiori forniture da altri paesi europei hanno anche comportato un loro maggiore consumo di gas naturale. Nel frattempo, EDF ha già fermato la campagna di nuove assunzioni, tra 3,000 e 3,500 previste nel 2023. Mancano all’appello circa 100,000 lavoratori che, nell’arco dei prossimi 15 anni, dovranno consentire la realizzazione di una nuova serie di sei reattori, il primo dei quali già collegato alla rete entro il 2035. A questi se ne potranno aggiungere sino ad altri otto, costituendo quella rinascita del nucleare in Francia voluta e annunciata dal Presidente in persona.
Un paradosso, se si pensa che la spina del fianco alla rinnovata grandeur del nucleare, parte integrante della strategia di decarbonizzazione della Francia, è la mancanza di un numero sufficiente di lavoratori specializzati. Gli stessi, che in queste settimane sono scesi nelle piazze e che ambiscono ad un cambiamento di rotta nelle politiche del lavoro dell’Eliseo.
La sicurezza energetica francese e della stessa Europa passano anche da una pace sociale che a Parigi, oggi, sembra vacillare.
Francesco Sassi è dottore in geopolitica dell’energia presso l’Università di Pisa e analista dei mercati energetici presso Rie-Ricerche Industriali ed Energetiche
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