Il petrolio getta per l’ennesima volta incertezza sull’economia mondiale. Lungi dal ridurre il suo ruolo, l’andamento del petrolio rischia di spingere l’inflazione e influenzare le decisioni delle banche centrali, e quindi la crescita economica.
Vale tornare sul tema del petrolio su cui scrivemmo il 4 aprile scorso dopo l’inattesa decisione dell’Opec Plus di tagliare la produzione di altri 1,66 mil.bbl/g, così portando il taglio complessivo dal novembre scorso a 3,66 mil.bbl/g.
Decisione adottata nonostante la robusta domanda che aveva sostenuto i prezzi e solo in parte motivata dall’ulteriore rilascio di scorte negli Stati Uniti (precipitate ai livelli minimi dai primi anni 1980) ma riconducibile forse ancor prima a ragioni di carattere politico, sul rafforzato asse Mosca-Riyad.
In un mercato già di per sé corto, i prezzi non potevano che risentirne balzando da 80 a 85 doll/bbl attorno a cui hanno da allora oscillato.
Scrivemmo che il taglio dell’offerta, intorno al 4% del totale mondiale, avrebbe avuto ulteriori effetti sui prezzi se la domanda avesse continuato a crescere come generalmente previsto, a partire dall’Agenzia di Parigi.
Quel che oggi si va profilando in misura sempre più netta. La produzione dell’Opec Plus già a marzo si è ridotta a meno di 38 mil.bbl/g in calo di circa 0,8 mil.bbl/g sul mese precedente. Da maggio dovrebbe scendere a 36,3 mil.bbl/g.
Il deficit di offerta potrebbe toccare i 2,2 mil. bbl/g già nel IV trimestre 2023
Secondo l’influente e aggiornato Petroleum Intelligence Weekly (6 aprile), nel III trimestre dell’anno potrebbe osservarsi un deficit di offerta di 1,5 mil.bbl/g che potrebbe salire a 2,2 mil.bbl/g nel IV trimestre.
Volumi, pari all’1-2% della domanda mondiale, che non potrebbero essere soddisfatti da capacità inutilizzata al di fuori dell’unica esistente in Arabia Saudita ed Emirati Arabi.
Gli investimenti upstream stanno aumentando su scala mondiale da parte soprattutto delle majors americane, anche se dovuti per la loro metà all’aumento dei costi.
Ci vorrà comunque tempo perché possano divenire produttivi. L’inevitabile impatto sui prezzi per il calo dell’offerta potrebbe essere acuito verso l’alto da una crescita della domanda cinese superiore a quella stimata, per l’allentarsi delle misure restrittive adottate da Pechino lo scorso anno a fronte del riacutizzarsi del Covid.
Verso l’alto o verso il basso?
Oppure, ben magra consolazione, verso il basso per una dinamica delle economie occidentali peggiore di quanto previsto con conseguente distruzione di domanda.
Goldman Sachs già rialzista prima del taglio deciso dall’Opec Plus ha ulteriormente alzato le previsioni di prezzo portandole a 95 doll/bbl a fine anno e a 100 doll/bbl l’anno prossimo.
Continua invece ad essere di parere opposto Ed Morse che, prima della decisione dell’Opec Plus scriveva che l’interesse dei paesi Opec è di mantenere un “prezzo del petrolio sufficientemente alto per coprire il pareggio di bilancio degli Stati membri, che in media dovrebbe attestarsi intorno ai 70 doll./bbl per il 2023, ma al contempo non così elevato da strozzare l’economia mondiale, già indebolita dall’inflazione e dalle politiche monetarie restrittive delle banche centrali (si rimanda all’articolo su ENERGIA 1.23 con Francesco Martoccia).
“There is a scenario for $100 a barrel oil. But I don’t think we’re anywhere near that yet,” Ed Morse
Il capo della commodities research di Citigroup ha di recente sostenuto che lo scenario 100 dollari al barile è ancora lontano e che per realizzarlo la quantità di offerta sottratta al mercato deve essere “significativamente di più”.
Per due ordini di ragioni – una minor crescita della domanda cinese rispetto a quanto previsto e un aumento dell’offerta venezuelana – comunque non scevre da grande incertezza.
Le crisi bancarie e la decisione di Opec Plus hanno per altro accresciuto la volatilità dei prezzi rendendo più rischioso il trading fisico.
L’aspetto cruciale è l’incertezza che il petrolio getta per l’ennesima volta sull’economia mondiale, specie su quella europea, col rischio di un’ulteriore spinta all’inflazione che andava diminuendo, e sulle decisioni delle banche centrali, e quindi sulla crescita economica.
Il recente World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale (FMI) prevede per il 2023 una crescita del pil mondiale del 2,8%, rispetto al +3,4% del 2022, scontando un calo dei prezzi del petrolio nell’anno in corso di ben il 24%, a 73 doll/bbl per il Brent Dated contro gli attuali 85 doll/bbl, e di un ulteriore 5,8% nel 2024 per scendere nel biennio successivo a 65 doll/bbl.
Assunzioni molto ottimistiche di cui il FMI non spiega comunque le ragioni. Con l’amara conclusione che se i prezzi del greggio dovessero invece aumentare la crescita delle economie potrebbe risultare di non poco inferiore a quella prevista.
A dimostrazione della persistente eppur dimenticata essenzialità del petrolio
Alberto Clô è direttore della rivista Energia e del blog RivistaEnergia.it
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